I nostri diritti e libertà fondamentali rischiano davvero qualcosa per via delle nuove norme che danno a un’autorità amministrativa (l’Agcom) il potere di rimuovere contenuti sul web e oscurare siti, in nome del diritto d’autore?
È questa la domanda che ora dobbiamo porci, mettendoci le polemiche alle spalle, all’indomani del nuovo regolamento Agcom sul copyright. Ed è una domanda che in effetti i giuristi cominciano a porsi. Perché ora è il momento di stimare gli impatti della nuova normativa.
COSA PREVEDE LA NORMARiassumiamola in breve. La normativa copyright scatta a marzo 2014. L’autorità, su segnalazione dei detentori di diritto d’autore. La girerà quindi ai soggetti responsabili, che potranno scegliere di rimuovere spontaneamente le opere in questione.In caso contrario, avvierà un dibattimento con i provider.
Da questo deciderà se lasciare cadere la questione o se ordinare agli hosting provider o ai provider d’accesso internet rispettivamente di rimuovere il contenuto dai propri server o di oscurare il sito. La procedura durerà 35 giorni e l’ordine andrà eseguito in cinque giorni (i tempi scendono a 12 e tre giorni nei casi più gravi e urgenti).I provider rischiano fino a 250 mila euro se non ubbidiscono.
PARERI FAVOREVOLI E CONTRARINelle ultime settimane ho interloquito con entrambe le parti della barricata, commissari Agcom, il suo presidente Angelo Cardani e i vari detrattori della delibera (tra cui il movimento Sito Non Raggiungibile e associazioni dei consumatori).
Credo che tutto sommato il nodo sia il seguente. La nuova normativa mira a facilitare la rimozione di contenuti protetti/l’oscuramento di siti web che li ospitano, con tempi più brevi e gratis, quindi senza gli oneri (per i detentori di diritto) di un processo.
Secondo Agcom questo è solo un vantaggio e il dibattimento è sufficiente a evitare violazioni dei diritti e delle libertà. Secondo i detrattori della delibera, invece, una procedura così spedita e facile, alternativa alla via giudiziaria, espone a forti rischi di storture delle garanzie democratiche.
Rischi sia ideali sia pratici. Il nodo è tutto qui: Agcom è titolata o no a fare una normativa sul copyright e oscurare siti? Bypassare la magistratura è o non è un rischio per i diritti costituzionali, che tutelano la libertà di espressione e di accesso alle informazioni? Agcom, a questo punto, proverebbe a parare il colpo facendo notare che nella delibera è previsto si blocchi il suo procedimento qualora sia chiamata in causa la magistratura da una delle parti. Tuttavia questa clausola non mi pare che sposti la questione.
La procedura Agcom equivale comunque all’istituzione di una via sbrigativa e facilitata, per i “denuncianti”, rispetto a quella giudiziaria. Se così non fosse, del resto, non si capirebbe perché i detentori di diritti (Confindustria digitale, Siae, Fapav…) abbiamo applaudito alla delibera, dopo averla fortemente voluta. Il punto è che la segnalazione ad Agcom è gratuita, chi la fa non spende niente e non rischia niente. Ad avere interesse a tirare in ballo la magistratura può essere il gestore del sito che ha subito la misura restrittiva. Ma per fare questo deve sobbarcarsi costi non indifferenti.
Allora torniamo al punto: questa via accelerata è un pericolo per i nostri diritti o non lo è? Per prima cosa, sgombriamo il campo a un dubbio.
I detrattori della delibera non sono un manipolo di ingenui sognatori pro web né un branco di pirati (Cardani ha detto più volte che li ritiene appartenere a una o all’altra categoria). In realtà si sono espressi contro la delibera il giurista Stefano Rodotà, il presidente della Camera Laura Boldrini, l’esperto per i diritti umani dell’Onu Frank La Rue e il giurista Marco Ricolfi.Dall’altra parte invece spicca il parere del giurista Alberto Gambino secondo cui l’azione Agcom è mite appunto perché limitabile dall’intervento della magistratura in qualsiasi momento.
Ecco quindi che, da qualunque parte la si vede, la dialettica Agcom-magistratura è al centro della questione se ci sia o no un rischio per i diritti fondamentali.
Dal punto di vista ideale, si potrebbe già dire che «la delibera è a forte rischio di incostituzionalità. Perché per la nostra costituzione solo la magistratura -e non un’autorità amministrativa, per quanto indipendente come Agcom- può limitare le libertà fondamentali relative all’accesso a informazioni e all’espressione», dice a Chefuturo Ernesto Belisario, noto avvocato esperto della rete. «Questa è stata una tutela pensata in opposizione al fascismo, durante il quale era l’amministrazione a limitare direttamente le libertà dei cittadini. Si è pensato che solo la magistratura offrisse i modi e i tempi adeguati per tutelare il diritto dell’imputato alla difesa», aggiunge.
Ma forse si può obiettare che la rimozione/oscuramento di contenuti pirata non abbia nulla a che fare con le libertà e i diritti di cui sopra. L’obiezione però non tiene conto della natura di internet e che non sia sempre così netto il confine tra pirateria e uso legittimo. In particolare è sotto accusa lo strumento- previsto nella delibera- dell’oscuramento dei siti web tramite blocco dei relativi indirizzi IP.
Bloccare l’IP equivale a bloccare la comunicazione tra le due parti, di contenuti legittimi e non presenti su quella pagina. Non solo: sotto lo stesso indirizzo IP ci possono essere anche altri siti, che non c’entrano niente con quello denunciato e che verrebbero comunque oscurati.
Secondo molti (tra cui Maurizio Dècina, ex commissario Agcom che si è dimesso in estate) il blocco IP equivale a censura.
E la rimozione di contenuti pirata da un server che problema di diritto pone, invece? Il punto è che a volte il confine tra legittimo e pirata è sottile, interpretabile. Può entrare in ballo il diritto di commento, citazione, studio o di cronaca. Il rapporto tra libertà di espressione e diritto d’autore c’entra eccome. Solo che questa valutazione l’ha fatta finora la magistratura, scegliendo quando tutelare la libertà d’espressione e quando limitarla in nome di un altro diritto (d’autore). Adesso lo farà Agcom, con altri mezzi e modalità più rapide, economiche per i denuncianti, come si è detto.
Torna insomma il punto iniziale: questo nuovo ruolo, al posto della magistratura, è un rischio per i diritti diversi da quelli del copyright?
C’è un piano ideale e uno pratico, da considerare. Quello ideale è che «la stessa idea che un’autorità non giudiziaria possa decidere in questo ambito apre un vulnus nella democrazia.
Crea un precedente: altri presunti reati d’espressione potrebbero essere in futuro stabiliti da un’autorità amministrativa e non con un regolare processo», dice Belisario.
«L’affermazione di una responsabilità giuridica, sia essa civile o penale, è infatti giurisdizione esclusiva della magistratura che, tramite le regole processuali, garantisce i diritti di tutte le parti in causa. Un’autorità indipendente – la cui esistenza non è nemmeno costituzionalmente prevista – non può invadere il campo di un potere dello Stato», dice anche Andrea Monti, avvocato noto difensore dei diritti della rete.
Ma forse questi rischi prospettici non sono abbastanza concreti per qualcuno. Allora se ne possono indicare alcuni di carattere pratico. «Ogni volta che citeremo un articolo di giornale, riporteremo la foto di un evento o un video per commentarlo, si porrà il problema di un’autorità che dovrà stabilire se stiamo violando o no il diritto d’autore- dice Belisario. La facilità con cui i detentori possono segnalare la cosa all’Agcom porterà a un’inondazione di istanze che si riverseranno sui provider».
Risultato, alcuni provider accetteranno di rimuovere subito l’opera o oscurare il sito, prima del dibattimento. Altri si adegueranno comunque all’ordine senza fare opposizione, non avendo le risorse o comunque un vero interesse a farlo. Solo i provider, infatti, sono i soggetti che Agcom coinvolgerà per forza nel dibattimento, secondo quanto si legge nella delibera. Potrebbe succedere insomma che il gestore della pagina web, l’autore di un articolo non siano proprio contattati o lo siano troppo tardi, per esprimere le proprie ragioni durante la fase di dibattimento. E si ritrovino con il contenuto rimosso dal web.
«Pensiamo a tutti i siti che consentono lo scambio di software open source, anche loro saranno soggetti alla disabilitazione a seguito di una o più segnalazioni delle grandi software house, o delle loro Associazioni di tutela», aggiunge Fulvio Sarzana, avvocato esperto della materia e da sempre in prima linea nel contestare la delibera.
Sarzana ipotizza anche uno scenario in cui potranno sparire articoli giornalistici solo perché accusati di plagio, presso Agcom, anche ingiustamente, da parte di aziende o politici che li ritengono scomodi. Sì, nella delibera si legge che l’Autorità farà salvi i diritti e le libertà “di comunicazione, di manifestazione del pensiero, di cronaca, di commento, critica e discussione, nonché delle eccezioni e delle limitazioni di cui alla Legge sul diritto d’autore”.
Non basta scriverlo, però, per riuscirci. Non si sposta infatti il punto iniziale: il semplice fatto di affidare questa valutazione (è un uso legittimo o no? Rientra nel diritto di cronaca?) a un’autorità amministrativa invece che alla magistratura apre a rischi di censura di materiali legittimi, come abbiamo visto. Perché è un procedimento più veloce, senza costi per la denunciante e perché non è garantita la possibilità dell’interessato finale a difendersi con modi e tempi consoni.
Insomma, c’è un equivoco di fondo da parte dei sostenitori della delibera: credere che l’impatto sia solo sui contenuti pirata. Se fosse così, allora tanto vale accelerare la procedura. Seguendo lo stesso ragionamento: se qualcuno è un ladro perché dobbiamo fargli un processo con tutti i crismi e persino concedergli un appello? Per fortuna non è così che ragionano i sistemi democratici, secondo cui bisognerebbe stabilire l’eventuale colpa e punizione con un meccanismo di tutela equilibrato, affidato alla magistratura. Per la prima volta, un Paese democratico decide di privarsene. Resterà da vedere se i rischi citati saranno sventati o si concretizzeranno.