Netflix arriverà in Italia a ottobre (si vocifera il 16) ma voglio spegnere un po’ di facili entusiasmi. L’evento di per sé è interessante solo se lo comprendiamo in un quadro più ampio, con cui si sta trasformando il mondo della produzione, distribuzione e vendita dei contenuti.
Credits: variety.com
Su questo punto sono d’accordo alcuni esperti con cui ho potuto parlare, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè (dell’Università Bocconi di Milano) e Bruno Zambardino (Sapienza di Roma, osservatorio I-Com).
Forse i fan acritici delle novità tecnologiche americane non si rendono conto che qui da noi il mondo di Netflix è roba vecchia.
La multinazionale ha snobbato finora il nostro Paese (giustamente, dal punto di vista del calcolo business) e quindi nel frattempo i campioni nazionali sono cresciuti.
TimVision, Sky e Infinity hanno un catalogo ricco (6 mila film) e anche se certo ha alcuni buchi, per una questione di esclusive, Netflix non potrà fare meglio. I tre hanno prezzi base che sono quasi la metà di quelli di Netflix al lancio e hanno rapporti più strutturati con gli operatori, il che li rende più convenienti (sono in omaggio con certe connessioni fibra e Adsl) e, forse, funzioneranno pure meglio (sfruttando la Content delivery network di Telecom Italia, che invece Netflix – per risparmiare – al momento non utilizzerà).
HOUSE OF CARDS E L’INCOGNITA DELLE LICENZE
Qui Netflix non potrà nemmeno fare tanto leva su contenuti che ha prodotto, dato che quelli più noti sono già dati in licenza esclusiva a concorrenti (la serie Orange is the new Black a Mediaset e House of Cards a Sky).
Scavando scavando, che cosa resta nelle mani di Netflix, come vantaggio effettivo sui concorrenti? Una flat che comprende tutto (mentre con gli altri le novità sono da pagare a parte) e il supporto 4K (per cui serve però la fibra). E certo ai concorrenti non ci vuole molto per creare un offerta che comprenda anche queste cose. Tutto il resto è marketing e potere del marchio. Forse ci sarà qualcuno che riterrà avere Netflix più “figo” rispetto a TimVision, Infinity e Sky, ma certo non è un criterio razionale di scelta e forse nemmeno tanto diffuso tra la popolazione (quanti conoscono il nome Netflix tra i vostri amici che non leggono siti tecnologici? Fate una prova).
Piuttosto, la rivoluzione nascente è un’altra: l’integrazione di ciò che prima era frammentato tra diversi Paesi e attori, nel mondo dei film e delle serie tv.
Netflix integra in sé tre figure: produttore (sempre più spesso), distributore e venditore al pubblico finale.
Non solo: lo fa su scala globale (in sempre più Paesi). «Alla mostra del cinema di Venezia, appena concluso, per la prima volta si è visto un film prodotto da Netflix: Beasts of No Nation. Sarà probabilmente anche il primo che non vedremo nelle sale», dice Zambardino. Già questo basterebbe a cogliere il senso del cambiamento.
ANCHE AMAZON PRODURRA’ FILM. ED APPLE SCALDA I MOTORI
Idem Amazon, che mira a produrre dodici film all’anno, a partire da questo 2015. Il primo, Chi-Raq, ha Spike Lee come regista e dovrebbe uscire a dicembre. Si vocifera che anche Apple potrebbe diventare produttore. Sarebbe una scelta perfettamente logica, compatibile sia con gli ultimi annunci (il potenziamento della piattaforma Apple Tv) sia con la storica vocazione di Apple dell’integrazione verticale (hardware-software sviluppati in casa; a cui potrebbe essere appunto aggiunta una terza gamba, i contenuti).Si potrebbe dire che andiamo verso un futuro in cui pochi soggetti multinazionali ci faranno costante compagnia, nelle nostre occupazioni, badando da cima a fondo (end-to-end) a svariati bisogni.
COSA CAMBIERA’ DOPO IL GEOBLOCKING
Tuttavia il quadro è più complesso di così, perché anche vari soggetti tradizionali si stanno organizzando in tal senso. «Più che il lancio di Netflix, la notizia davvero importante in questo settore è l’alleanza Telecom Italia-Vivendi per fare produzioni internazionali. Un ambito in cui in Italia e in Europa siamo stati storicamente deboli», dice Zambardino. E pazienza che, come spesso accade nel mondo dell’informazione, “importante” e “popolare” sono agli antipodi. «L’alleanza tra i due è favorita ovviamente dal fatto che Vivendi è diventata il principale azionista di Telecom Italia», motiva il docente della Sapienza. La tendenza all’internazionalizzazione potrebbe essere promossa anche dalla cadute delle barriere territoriali nel copyright (il “geo-blocking”), ora in discussione in Europa con il pacchetto Digital single market.
Tutti retroscena che potrebbero cambiare non solo il modo in cui si vendono e fruiscono opere (questo è già avvenuto con l’avvento dello streaming ed è ormai “cosa vecchia”). Ma anche il modo in cui i contenuti stessi nascono. Una rivoluzione, questa, che ha risvolti ben più profondi e ancora in larga parte inesplorati.