Cambiano le regole di Internet, si evolvono, ma non si può prescindere a un principio che ha ispirato il web sin dalla sua nascita: la neutralità della rete.Gli operatori telefonici saranno costretti a ripensare le proprie mire di business, con indubbi impatti sui mercati locali e gli utenti finali. Al contempo, le istituzioni cercano di mettere ordine sui grandi temi del fisco e della privacy, che sono quelli più cari agli Stati nazionali.È questo lo scenario che ormai sembra impostato, nel 2015, nei giorni in cui l’Authority Tlc Usa Fcc (Federal communication commission) ha scelto la linea dura a favore della neutralità della rete. La notizia segna, prima di tutto, una grande discontinuità. «Tom Wheeler, il presidente di Fcc, ha sorpreso con un radicalismo inaspettato: ha scelto una via senza compromessi», dice Alfonso Fuggetta, a capo del Cefriel-Politecnico di Milano.
Ed è la prima volta che accade, nel dibattito sulla neutralità della rete, con una chiarezza così forte.
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I principi di Wheeler, per ora solo affermati (con un voto previsto il 26 febbraio), sono semplicemente che gli operatori non devono bloccare, rallentare servizi né farsi pagare per trasportarli. Una precedente formulazione lasciava spazio per la nascita di accordi economici tra operatori e over the top, purché “ragionevoli”. Ma Wheeler ha accolto i timori dei molti che temevano l’ambiguità di quella formulazione e quindi ha chiuso del tutto la porta.
Ricordiamo che in Europa il Parlamento europeo, nello stabilire una delle normative più forti a tutela della neutralità, ha comunque previsto la nascita di “servizi specializzati” frutto di accordi tra telco e over the top.
Anche se ha posto come condizione che questi servizi non interferiscano in nessun modo con la “normale Internet”. Di fatto, probabilmente, rendendoli impraticabili, poichè qualsiasi servizio con banda garantita ne sottrae a quella della normale internet e quindi vi interferisce, perchè la rete, fisicamente, è una sola.
Non solo, Wheeler ha detto che le regole valgono anche per la rete mobile. Qui finora non c’è, nemmeno in Italia, una vera e propria neutralità.
A differenza di quella fissa, dove gli operatori hanno sempre evitato di manipolare il traffico, per consuetudine e nell’attesa di regole più chiare. Gli operatori mobili si possono permettere di fare (quasi) ciò che vogliono, perché la banda è più limitata per via dell’accesso condiviso alle frequenze radio-mobili.
Allora possono tariffare di più o di meno alcuni servizi over the top (come il video, a seconda di accordi presi con i fornitori). O decidere di restringere la banda di peer to peer, VoIP. In Italia c’è il caso di Tim che esclude dal monte di gigabytes il traffico generato da alcuni servizi (propri e di terzi parti), di fatto favorendoli. Insomma, rispetto all’esistente, su rete fissa l’atto di Fcc è di difesa; su quella mobile è rivoluzionario.
È interessante ricordare come siamo arrivati a questo punto: l’ingordigia delle telco, di una in particolare (Verizon), è stata fatale.Le precedenti regole Fcc (del 2010) aprivano uno spazio per la nascita di servizi specializzati (proprio come in Europa), ma per Verizon non era sufficiente. Ha quindi fatto ricorso sostenendo che con le attuali regole di mercato Fcc non avesse il potere di stabilire quei principi, perché i servizi tlc sono classificati, negli Usa, come “information services”. La Corte le ha dato ragione.
A questo punto Barack Obama ha detto: cambiamo le regole. Così nuovi principi scaturiti da Fcc nei giorni scorsi prevedono che i servizi broadband siano riclassificati come “public utilities”, dove la mano dell’autorità è più libera.Per altro questa modifica potrebbe avere conseguenze dirette oltre alla neutralità della rete, perché ora Fcc ha più potere di aprire la concorrenza sui servizi di accesso a internet, dove il mercato negli Usa è parecchio concentrato. E’ lo stesso presidente degli USA ad aver compreso l’importanza della neutralità della rete, al punto da sovvertire uno dei principi di natura “liberale” che contraddistinguono il mercato Usa.
Una manifestazione contro FCC. Foto: whashingtonpost.com
A tal punto è arrivato l’interesse per i diritti della rete. Obama è stato convinto da incontri con alcune aziende internet, come Etsy, Kickstarter, Meetup e Tumblr, le quali gli hanno spiegato che non avrebbero mai potuto svilupparsi se avessero dovuto pagare i fornitori della banda larga per gli accordi.
Ma ha inciso molto un altro fattore: a favore della neutralità della rete sono piovuti su Fcc circa 4 milioni di commenti dalla società civile
Tim Wu, l’esperto che ha coniato il termine “net neutrality”, sul New Yorker ha detto che non c’è stata una cospirazione delle lobby di internet, a convincere Wheeler; ma è stato proprio il peso dell’opinione pubblica che si è fatto sentire. Come mai prima per un tema fino a poco tempo fa giudicato troppo tecnico. E se lo si proponesse in Italia, in quanti risponderebbero?
La situazione è ancora aperta, beninteso. Negli Usa, le telco hanno annunciato battaglia legale. I repubblicani si sono impegnati a contrastare la normativa. In Europa, le regole del Parlamento europeo devono ancora passare dal Consiglio Ue, dove l’impostazione sembra più “light”.Ma «la presa di posizione di Fcc fa intuire la direzione che ormai il mondo ha intrapreso. A favore di una internet aperta, dove le telco dovranno rinunciare a costruire reti parallele per i servizi», dice Fuggetta.
È d’accordo Cristoforo Morandini, analista di Ernst&Young: «i grandi over the top risultano, ad oggi, i vincitori della sfida per l’economia digitale. Le telco e gli attori nazionali in genere, devono inevitabilmente trasformarsi rilanciando gli investimenti, sia sulle infrastrutture che su applicazioni e contenuti, ma con inevitabili tensioni sul loro modello di business. La sfida è sulla conquista dell’insieme della spesa digitale del cliente finale, nelle sue varie declinazioni». «Restano fuori da questa globalizzazione solo i temi della privacy e del fisco, su cui gli Stati nazionali si rivelano sempre più intenzionati a ricondurre i big alle regole». Lo dimostra la nuova normativa Iva di gennaio, da ultima, e tutta la tensione verso un regolamento Data Protection europeo.
Alle telco spetta ora la doppia partita. Da una parte, sviluppare propri servizi “on top”, in diretta concorrenza con quelli dei big internazionali, marcando quel terreno lasciato un po’ più libero, puntando sulle proprie prerogative nazionali (la sicurezza, la privacy, il rapporto con il cliente). Dall’altra, migliorare la rete, rendendola più intelligente e più capiente. Su questa strada, sembra inevitabile un consolidamento tra gli operatori in Europa: la partita si gioca al rialzo e i piccoli ne faranno le spese.
ALESSANDRO LONGO