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Cosa c’è dietro la partita italiana sul Digital Single Market

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L’Europa svolge un doppio ruolo di sprone e vigile sull’Italia, per lo sviluppo digitale. Un ruolo complesso, quindi, che non è ancora chiaro a molti. Ma è opportuno metterlo in luce, proprio in questa fase delicata, in cui dovrà passare da Bruxelles la nostra strategia banda ultra larga e Crescita Digitale (per un totale di 6,5 e 4,5 miliardi di euro pubblici). Al tempo stesso, le istituzioni Ue stanno lavorando a un piano di rilancio del mercato digitale europeo. È dello scorso mese la presentazione della strategia per il Digital Single Market, da parte della Commissione europea, e al tempo stesso siamo alle battute conclusive (che richiederanno alcuni mesi ancora) per il pacchetto del Telecom Single Market.

Sprone e vigile, quindi, dicevamo.

Con diversi strumenti e prerogative, che qui in Italia – concentrati come siamo sui fattori di politica nazionale – siamo al solito tentati di sottovalutare.

Vediamo quindi che cosa ci aspetta.

I 3 PILASTRI DEL NUOVO MERCATO DIGITALE UNICO

Ben 16 punti per generare un’ulteriore crescita economica di 415 miliardi di euro grazie al digitale. Possiamo riassumere così la strategia presentata dalla Commissione europea. Per la precisione, l’obiettivo è creare un mercato digitale unico, senza frontiere, tra i diversi Paesi.

Facendo un ulteriore sforzo di sintesi, la Commissione divide la strategia in tre pilastri:

1. migliorare l’accesso ai beni e servizi digitali in tutta Europa per i consumatori e le imprese;

2. creare un contesto favorevole e parità di condizioni affinché le reti digitali e i servizi innovativi possano svilupparsi;

3.

massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale.

Ciascun pilastro risponde a problemi precisi che la Commissione identifica all’interno dei mercati digitali europei.

La buona notizia è che queste priorità coincidono con gli aspetti su cui l’Italia sconta ritardi storici.

ITALIA, SIAMO IN RITARDO

La copertura banda ultra larga e il tasso di adozione. Il basso utilizzo di e-commerce da parte di cittadini e imprese (appena il 5 per cento delle Pmi, nel 2014; nel 2013 era il 4 per cento). Si pensi all’occasione perduta per usare il digitale nell’export del Made in Italy: la Commissione europea vuole appunto agevolare il commercio elettronico transfrontaliero, armonizzando burocrazia, regimi fiscali e semplificando la logistica delle spedizioni.

Siamo in ritardo anche per uso di servizi della pubblica amministrazione digitale (da appena il 18 per cento degli utenti, secondo dati della Commissione, contro la media Ue del 33 per cento).

I servizi digitali sono poco funzionali e poco usabili. Tutte questioni che l’Agenzia per l’Italia Digitale e il Governo, già da un anno, stanno affrontando direttamente. Il piano di Italia Login (una piattaforma che semplifica l’accesso a servizi pubblici e privati digitali) e di Spid (l’identità digitale) servono appunto a diffondere questi servizi tra la popolazione, abbattendo costi, tempi, burocrazia. Entrambi dovrebbero maturare a cavallo dell’estate, secondo fonti della Presidenza del Consiglio.

Che l’Europa metta l’accento su questi aspetti è la conferma che l’Italia ci ha visto giusto a considerarli tra le priorità da sviluppare, come pilastri fondanti per tutto il resto.

Non è altrettanto chiara e decisa invece la strategia con cui il Governo intenda sviluppare l’e-commerce. Ci si può auspicare, però, che ne verrà un incentivo indiretto grazie alla semplificazione dell’autenticazione (identità digitale), alla crescita della banda ultra larga e alle politiche di competenze digitali (che il Governo sta sviluppando con Confindustria nelle imprese).

IN EUROPA SI DISCUTE (E I TEMPI SI ALLUNGANO)

Per il resto, l’Europa avrà un ruolo di sprone su questi punti, ma non nel breve periodo. La strategia infatti non sono norme, ma ha il valore di una dichiarazione di intenti: i 16 punti dovranno tradursi – tra il 2015 e il 2016 – in azioni dei diversi rami della Commissione. Potranno essere proposte legislative o modifiche di norme esistenti. In molti casi si dovrà poi passare da Parlamento e Consiglio UE per arrivare alla fine dell’iter e ci potranno volere anni, secondo l’analisi di Cristoforo Morandini (analista di E&Y) e Innocenzo Genna (esperto di policy digitali a Bruxelles).

Il pacchetto Single Telecom Market è partito nel 2007 e ancora non è completo, attraverso diversi conflitti di vedute (all’interno della Commissione e poi tra Consiglio e Parlamento), durante i quali ha perso via via i pezzi. Adesso si “limiterà” a eliminare il roaming (nei prossimi anni) e a sistemare (forse) la questione della neutralità della rete.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi

NON CI RESTA CHE ATTENDERE LA FINE DELL’ESTATE

Nel frattempo, il Governo Renzi dovrà affrontare il confronto con l’Europa sui temi del digitale (per la prima volta in via formale, dopo i dialoghi informali degli scorsi mesi). Sul tavolo ci sono i piani Crescita Digitale e Banda Ultra Larga, passati al Consiglio dei Ministri di marzo. L’Europa ci potrebbe impiegare sei mesi per rispondere sulla loro correttezza e quindi ora è probabile che dovremo aspettare la fine dell’estate. I punti potenzialmente critici sono numerosi (per esempio, la correttezza degli incentivi, con fondi pubblici, nelle aree dove gli operatori telefonici stanno già investendo in banda ultra larga). L’esito della partita non è scontato.

Insomma, finora siamo stati abituati a considerare il ruolo di fattori nazionali, nel percorso verso una Italia digitale: il confronto Stato-Regioni; il dialogo con Telecom Italia e le posizioni di Cassa Depositi e Prestiti e di attori vari come Enel. Le scelte politiche sulla governance della materia e sulle priorità da perseguire. Il fattore Europa tende a essere trascurato e potrebbe rivelare sorprese: nel bene e nel male.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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