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Cosa ci insegna la cyclette di Elisa Di Francisca in Africa

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Sono rimasto a Londra. Considerato che le Olimpiadi sono finite da più di due mesi e le Paralimpiadi da più di un mese, non sono oggettivamente messo bene. Ma sono rimasto a Londra per la convinzione che un certo approccio allo sport sia stato tanto convincente da poter essere vincente anche da noi. Invece.

Invece, noi abbiamo rinunciato a Roma 2020, e fatto marcia indietro su tutto mentre loro, gli inglesi, stanno smontando gli impianti temporanei per rivenderli e terranno lezione a fine novembre, loro vecchio mondo, agli organizzatori di Sochi, Rio e Peongyang, nuovo mondo. Non è solo la vecchia questione della legacy, dell’eredità di un evento: è proprio una questione di metodo. E un certo metodo sportivo vorrei applicarlo, anche solo per prova, a vicende della nostra vita quotidiana.

Esempio: i famosi cieli bui, il taglio dell’illuminazione pubblica per risparmiare. È una manovra già finale: non ci sono alternative, a meno che la prossima puntata non preveda il taglio dei lampioni. Ma questa, appunto, sarebbe una spesa e non un altro risparmio.

Guardiamo la stessa scena con un approccio sportivo. E seguiamo Elisa Di Francisca. Già il fatto che l’atleta azzurra più medagliata nell’estate di Londra, fino all’arrivo paralimpica di Cecilia Camillina e Alex Zanardi, sia adesso in una missione africana, con Intervita, da volontaria e da curiosa, mi sembra un fatto da sottolineare. Poi, lei in Africa non può certo raccontare dei cieli italiani che diventeranno bui. Là hanno poco, e con quel poco sono abituati a fare i conti.

Siccome lei ha detto che l’esperienza le sta insegnando tanto, ma le mancano gli allenamenti, le hanno dato una cyclette. Elisa pedala e il suo allenamento sulla cyclette, un generatore a pedali, serve a ricaricare le pile che sopperiscono alla mancanza di energia elettrica nelle case di Manga.

Voglio dire: invece che rinunciare agli alberi di Natale, prossima declinazione dell’operazione cieli bui, perché non li facciamo splendere grazie alle pedalate non solo del mondo dello sport, ma di tutta la gente, come gia’era stato fatto qualche anno fa a Bologna?

Oltretutto, sarebbe una una lezione di grande impatto sociale: la wikienergia, ovvero l’energia realizzata grazie al contributo di tutti, è l’esatto contrario del taglio della bolletta elettrica degli enti pubblici. Non solo: la lezione (meglio, l’atteggiamento) potrebbe avere piacevoli sviluppi.

Si dice sempre piu’spesso, per fortuna, che l’attività sportiva è un investimento a favore del Paese, perché restituisce cittadini in miglior salute, dunque meno cari per il servizio sanitario nazionale.

In questo caso, farli pedalare per illuminare l’albero di Natale in piazza, o anche mettendo in rete tutti gli attrezzi di una delle tante palestre italiane, rivoluzione possibile e non un delirio post olimpico, realizzerebbe un’altra grande rivoluzione.

Proprio perché rendere più accessibile la frequentazione delle palestre stesse ai frequentatori più assidui: vieni una volta a settimana, paghi 100 euro, perché produci poca energia; vieni quattro volte a settimana, paghi 25 euro. E questa sarebbe una lezione su come affrontare la crisi senza limitarsi a subirla.

Lo sport, per noi rimasti a Londra, e’anche questo. Un modo diverso di guardare le cose.

Secondo esempio: senza grosse proteste, ma qualche segnale di una manifestazione per fine ottobre, il governo quando decide di tagliare le spese va spesso a pescare nelle tasche dei disabili e, in generale, del terzo settore.

A Londra, dove e’andato in scena, per le Paralimpiadi soprattutto, un we-event: ovvero un evento in cui gli spettatori erano attori con e per gli atleti e gli organizzatori, in cui noi tutti ci sentivamo e sapevamo di essere l’evento, ogni volta che si presentava allo stadio un componente della squadra di Cameron, pure quella impegnata a tagliare i fondi per i disabili, il boato solitamente felice degli applausi diventava un fischio unanime.

Qui, al silenzio reagisce un quindicenne, ma non è solo una questione anagrafica. Si chiama Francesco Messori. Lui si definisce un ragazzo in gamba, letteralmente, perché è nato come una gamba sola. Non si piange addosso, al contrario essendo come tanti quindicenni appassionato di calcio, vuole giocare. E ha fondato la nazionale calcio amputati.

Gli manca, al momento, il portiere: per regolamento deve essere una persona a cui manca un arto superiore. Ma ha già raccolto tutti gli altri giocatori. Una pagina su facebook e subito è cominciato il tam tan del reclutamento. In Italia e’difficile, nemo propheta in patria, però il Csi ha raccolto l’appello e, invece che considerare i regolamenti un limite, li interpreterà come un’opportunità per dare spazio alla squadra di Francesco.

Intanto, arrivano le richieste da parti di altri paesi per giocare partite: amichevoli adesso, magari presto un campionato. Alla faccia dei tagli all’assistenza per i disabili. E adesso: c’è qualcuno che vuole venire, o tornare, a Londra per fare il pieno di entusiasmo o sono solo io che non so fare i conti con la nostalgia?

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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