Cosa è social tv e a che punto siamo in Italia

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La rete, quale infrastruttura di connessione di persone e oggetti, sta trasformando, lentamente, anche la cara vecchia televisione. Per descrivere questo cambiamento gli anglosassoni hanno coniato il termine “Social TV”. Con esso si intende far riferimento ad un inedito modo di fare e fruire i programmi televisivi, mediato dalla rete. Due i vettori del cambiamento:

le nuove abitudini di visione delle fasce di popolazione più avvezze alla tecnologia, che hanno incominciato a guardare i programmi e a commentarli in tempo reale. Una visione collettiva abilitata dal secondo schermo, sia esso smartphone, tablet o computer. Lo fanno ogni settimana il 69% degli italiani secondo uno studio Ericsson ConsumerLab. A ciò si aggiunga la tendenza ad estendere l’esperienza oltre il momento della messa in onda: la visione e condivisione di spezzoni da YouTube, la ricerca di contenuti esclusivi tra una stagione ed un’altra;

la crescita di un ecosistema di software e hardware in grado di stimolare il coinvolgimento dello spettatore, non più disposto ad una fruizione passiva.

Si pensi ad esempio alle applicazioni come GetGlue o Miso che permettono di creare reti sociali basate sulla visione di uno show, di dichiarare le proprie passioni (attraverso il check-in) e commentare con gli altri, guadagnando premi virtuali. Lato hardware questa convergenza è spinta da “set top box” come Apple TV, TiVo, Boxee o da televisori che permettono di connettersi alla rete (Samsung, LG, Sony li stanno offrendo in partnership con Google e Yahoo!). Secondo Forrester nel 2015 un terzo degli statunitensi avrà una “smart tv”.

La sfida per i broadcaster è complicata, ma stimolante. Soprattutto per quelli della tv generalista che si trovano ad avere l’occasione di riagganciare il pubblico più giovane e di conseguenza gli inserzionisti pubblicitari. Negli Stati Uniti le sperimentazioni sono innumerevoli.

Spesso si tratta di piattaforme tv o applicazioni per dispositivi mobili che permettono di vedere le trasmissioni e interagire in tempo reale oppure di aggiungere uno strato informativo alla visione. Oppure riguardano programmi pensati per accogliere i suggerimenti degli spettatori, innestando un percorso di co-creazione dei contenuti.

In Italia i primi passi hanno riguardato la creazione di applicazioni ad hoc (per Le Invasioni Barbariche, X Factor, Un passo dal cielo), di piattaforme d’interazione come quella sperimentata da Italia 2, o di coinvolgimento attraverso le piattaforme orizzontali (Facebook e Twitter).

Una fascia di pubblico è già pronta. Ericsson dice che il 69% degli italiani utilizza i social network durante la visione delle trasmissioni televisive (18% in più rispetto allo scorso anno).Un dato confermato da una ricerca che ho condotto attraverso gli strumenti di analisi di BlogMeter e che mostra elevati tassi di coinvolgimento sia su Twitter, che su Facebook.

“X-Factor” si conferma trasmissione regina in termini di engagement (somma di like, commenti, condivisioni, post spontanei in bacheca) su Facebook, dove riceve una media di 10.000 commenti a puntata, e su Twitter, dove registra oltre 2.600 menzioni dell’account a puntata oltre ad essere commentato con oltre 50.000 tweet medi ogni giovedì (il record al momento è relativo alla terza puntata come dimostra il grafico in basso, cliccabile per vedere l’analisi completa).

Questo tipo di coinvolgimento non può essere improvvisato, ma necessita di una progettazione adeguata (supportata da software di analisi, anche semantica, delle conversazioni), di una spinta promozionale (acquisto di promoted tweet o visualizzazione dell’hashtag durante la messa in onda), di una gestione contestuale da parte di un team incaricato di stimolare l’audience.

Vincenzo Cosenza

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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