Si può insegnare gratis? E in caso fosse possibile, questo migliorerebbe o peggiorerebbe la qualità dell’insegnamento? In questi giorni in Italia è ripartito il tormentone delle tasse universitarie, che nella sostanza sembra penalizzare in maniera definitiva e categorica gli studenti lavoratori. Tutto coloro, che cercano di conciliare formazione e produzione, rimangono stritolati da vincoli insormontabili, di orario, di presenza, di età, e adesso anche di tasse.
Viene da chiedere perché il mondo della formazione universitaria sia obbligata a occuparsi di una fascia generazionale molto precisa, e soprattutto pre-lavorativa e non invece a offrire formazione a un mondo di ex-occupati che necessitano di riformarsi per entrare nuovamente nel mondo del lavoro. Nella situazione corrente, di crisi e di incertezze sul futuro, il mondo globalizzato offre ai giovani molte possibilità di spostamento, di trovare altrove sbocchi lavorativi ed esistenziali.
Ma chi, magari a cinquantacinque-sessanta anni, con un passato in un settore professionale di cui ha un significativo know-how, con figli ancora a carico e magari un mutuo ancora da estinguere, forse è lo studente migliore e più promettente a cui fornire nuovi strumenti professionali, ma insieme potrebbe diventare, in alcuni casi, una straordinaria risorsa per le stesse università.
È il concetto di linearità cattedratica tradizionale (docente/studenti) che viene messo in crisi dalla situazione attuale. Ed i motivi per cui tutto ciò accade sono semplici: per le nostre università è quasi impossibile seguire ed ascoltare il mondo che cambia e, contemporaneamente, è complicato riportare generazioni apparentemente escluse dal mondo universitario a rivedere i propri strumenti professionali e modificarli profondamente.
In altri paesi, come ad esempio la Germania (questa frase sta diventando un odioso ritornello), se perdi il lavoro oltre ai sussidi attraverso il welfare puoi anche usufruire di corsi gratuiti in qualsiasi campo della formazione (persino all’estero).
Il processo ri-formativo non è consigliato, ma obbligatorio, e può servire da semplice aggiornamento, ma anche come avvio di nuove competenze in nuovi settori.
Questa modalità è stata introdotta dalla riforma del mondo del lavoro, iniziata nel 2005, e rende i percorsi formativi il punto cardine del successo industriale del paese. Perché in Italia nessuna università si preoccupa di offrire formazione a chi ha 50-60 anni? Eppure parliamo di persone che magari hanno perso il lavoro ma hanno ancora una prospettiva di altri 5-15 anni di produttività. Perché in Italia nessuno vede il potenziale economico di questa nuova classe lavorativa? Crediamo sia un problema culturale e di resistenze a rinnovare una macchina formativa che ha bisogno di una profonda revisione e riorganizzazione.
Eppure, guardando all’istruzione e al mondo della formazione si intravvedono segnali di interessante sperimentazione. Uno tra i più significativi è il sistema delle Trade School. A parlarcene sono stati Alessandro Contini e Danila Pellicani, che hanno diretto l’edizione di Milano (con Serena Schmid e Elèna Beatriz Olavarria Dallo) e che ora si accingono a inaugurare una nuova esperienza a Berlino.
La scuola del baratto è figlia della rete, ossia senza internet non riuscirebbe ad essere così efficace e virale. Nasce a New York dal lavoro di network di Or Zubalsky, Caroline Woolard, Louise Ma e Rich Watts con l’idea che chiunque voglia tenere una lezione su un argomento di cui è competente, può farlo chiedendo in cambio 5 desiderata (idee, aiuti, servizi e raramente beni materiali). Lo studente baratta con l’insegnante uno dei beni richiesti, senza passare attraverso il denaro.
Questo non significa che la scuola sia gratis, ma che si basa su altri paradigmi economici e finanziari. Trade School funziona così anche in Italia: chiunque abbia qualcosa da insegnare propone la sua lezione sul sito, stabilisce una data e il numero di studenti e oggetti in cambio. L’elenco delle lezioni, così come l’eterogeneità di persone che transitano come studenti e come docenti, è irresistibile perché mescola saperi analogici e conoscenze digitali: accosta la cucina alla sartoria e il nucleare allo yoga tantrico.
Le lezioni non possono essere attività commerciali, ossia nessuno può vendere, pena l’estromissione dal network. A noi sembra un modo straordinario di affrontare altre forme d’istruzione, di traduzione della community in comunità, di agire su altre forme di economia e soprattutto di trasferire i saperi di una generazione a un’altra avendone in cambio altrettante conoscenze irrinunciabili per un oggi in profonda metamorfosi.
Milano, 9 agosto 2012LUCA MOLINARI E ANNA BARBARA