Cos’è “Brain-Computer Interface” e come ci fa muovere le cose col pensiero

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Mentre Oculus è ormai abbastanza conosciuto, ancora pochi sono al corrente della tecnologia BCI. Io stesso non ne sapevo niente fino a circa un anno fa…

Quando all’inizio del 2014 spostammo il nostro HQ dal centro di Santiago del Cile a Viña del Mar, una città sulla costa e vicina alla più conosciuta Valparaiso, cercavamo qualcuno cui subaffittare la casa in cui stavamo vivendo. A Marzo finalmente, Antonio, uno dei miei partners a Exosphere, tornò con successo da un incontro nella capitale: aveva trovato un team di scienziati dall’Ucraina interessato ad affittare la casa a breve termine, dato che erano temporaneamente in Cile per i 6 mesi garantiti alle startups accettate nel programma Start-Up Chile (a proposito, guardatevi il sito per free money).

Sono persone molto particolari – ci disse Antonio. Mi hanno fatto accendere e spegnere la luce con il pensiero. La loro tecnologia è magica. E sembrano pure maghi e maghe, guardate il loro profilo su facebook!

Fui introdotto così per la prima volta ai ragazzi del team MindHack, e non sapevo che questa coincidenza mi avrebbe aperto le porte della tecnologia del Brain-computer Interface (BCI). Un anno e mezzo dopo stiamo lavorando insieme a sviluppare alcune applicazioni di questa tecnologia, mentre cerchiamo anche di spingere il campo tramite la nostra piattaforma educativa.

BCI è una tecnologia che permette comunicazione diretta tra l’attività neuronale ed un dispositivo esterno: si tratta essenzialmente (potete facilmente approfondire online se interessati) di una tecnologia basata sull’abilità di leggere l’attività neuronale, processare i segnali ed inviare comandi al mondo esterno.

Ricerca e sviluppo sono stati focalizzati soprattutto in applicazioni con l’obiettivo di ripristinare abilità fisiche, specialmente il movimento.

Negli ultimi anni traguardi molto importanti hanno permesso a persone con serissime disabilità motorie di eseguire normali ma complesse azioni, come ad esempio servirsi da mangiare o da bere, controllando un braccio robotico tramite il pensiero. Le storie di Cathy Hutchinson e Jan Scheuermann sono ben documentate.

Come si nota dall’immagine, questo risultato è ottenuto tramite un interfaccia invasiva: un sensore è impiantato chirurgicamente a diretto contatto con il cervello (e nuovi interessanti approcci sono in fase di sviluppo). Il metodo invasivo è necessario per azioni complesse come muovere un braccio (molti gradi di libertà), ma la tecnologia BCI si è evoluta anche nella direzione di sensori parzialmente invasivi e non invasivi, e con questi oggi è possibile comandare un robot esterno o accendere la luce in modo relativamente semplice, proprio come Antonio aveva avuto modo di fare con sua grande sorpresa.

Su Amazon già da anni sono acquistabili dispositivi che leggono la tua attività cerebrale e si possono giocare semplici videogiochi con il pensiero. Per comandare invece robots o altri dispositivi esterni è necessario un ulteriore lavoro di software e hardware, ciò di cui noi ci occupiamo. Qui sotto potete vedere un video di una dimostrazione che abbiamo fatto in un liceo cileno, in cui gli studenti hanno accesso e spento la luce, guidato un piccolo robot-car, giocato sull’Ipad e usato GoogleGlass con i loro pensieri.

Questa tecnologia ha chiaramente un impatto maggiore per persone in condizione di disabilità fisica. I nostri amici in Ucraina per esempio stanno lavorando per aiutare una signora a controllare la propria sedia a rotelle, mentre l’esercito statunitense sta usando questa tecnologia per riabilitare i soldati tornati dalla guerra.

O possiamo immaginare persone disabili controllare un’intera smart-house, dalla macchina del caffè alla luce, dalla porta alla tv. O combattere battaglie di droni.. e vincere!

Per le persone senza disabilità, adottare questa tecnologia nella vita di tutti i giorni rimane, almeno per il momento, più complicato che utile. Il processo di apprendimento infatti è una delle sfide (ma anche uno dei lati più interessanti) di questa tecnologia: come per imparare ad andare in bicicletta, è necessario un periodo di fallimenti e pratica, finchè un giorno rimanere in equilibrio e pedalare diventa quasi automatico. All’inizio devi usare il 100% del tuo spazio mentale per non cadere, ma dopo un pò sei in grado di pedalare mentre parli con un amico, mangi il gelato e guardi la strada. Lo stesso vale per BCI: saremo in grado di accendere la luce col pensiero mentre stiamo chiacchierando a tavola e bevendo un bicchiere di vino, senza particolari sforzi.

Il nostro cervello è flessibile e con il tempo si adatta a coordinare nuove interazioni con il mondo esterno.

Ma già oggi la tecnologia BCI inizia ad avere (o avrà) applicazioni nel mondo comune, in campi come la sicurezza alla guida, il controllo dei danni cerebrali in sports di contatto, la predizione di crisi epilettiche, brain-fitness, musica, neuromarketing, videogames… fino magari al controllo di navicelle spaziali (sì, siamo molto interessati allo spazio, motivo per cui stiamo facendo questa cosa qui a Budapest) e molte altre applicazioni cui ancora non abbiamo pensato (o di cui non ho sentito).

Due trends molto importanti affinchè questa tecnologia possa essere parte integrante della nostra vita quotidiana sono quello della risoluzione delle interfacce non invasive (la cui qualità finora ha raggiunto quella delle interfacce invasive in circa 10 anni) e quello di nuove soluzioni per dispositivi non invasivi più user-friendly (un esempio qui).

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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