In realtà non siamo andati da nessuna parte. Siamo stati sempre qui. Anzi, sempre in giro, per strada, a cercare e raccontare storie. Solo, senza il sito. Qualche mese fa, un maledetto malware ha distrutto il database delle storie degli ultimi anni, rendendo inaccessibile il sito. Siamo riusciti, faticosamente, a ripristinare gran parte della nostra storia ma ci vorrà ancora parecchio tempo per recuperare tutti i contenuti, le foto, le storie, le idee. La cosa, come immaginerete, ci ha colpiti in profondità. Ma ovviamente non ci siamo abbattuti. Figuriamoci se ci facciamo piegare da un malware!
Credits: Pininterest ; Tracy Thanh Tran – Veer Ideas
Siamo tornati online con un sito – speriamo – migliore, più efficiente e pronto ad essere riempito di tanti contenuti.
Insieme.
Perché adesso la sezione #communityS4C sarà dedicata espressamente alle storie che ci verranno segnalate dalla nostra community, mantenendo in evidenza alcune delle storie “principali” (tra cui, nel nostro stile, anche tante storie minuscole). Abbiamo tante nuove idee e tanti progetti in cantiere, in giro per l’Italia e il Mondo. Dalle periferie romane ai centri di accoglienza dei rifugiati. Dai vulcani del Chiapas all’Ungheria dove è appena nato un nuovo – giovanissimo – gruppo S4C.Siamo tutti volontari. S4C si fonda sul senso più puro del volontariato. Ci lega passione e amicizia. E non sempre abbiamo le risorse e le energie per fare tutto.
Sapete come la penso, più siamo e più storie riusciamo a raccontare. Fin dall’inizio ho strutturato S4C in maniera estremamente flessibile per resistere ai problemi e alle inevitabili contingenze.
L’ho lasciato crescere, a volte guidandolo, a volte libero di prendere le direzioni del momento, adeguandosi alla comunità di storytellers più che a me.
Esperimento riuscito? Non lo so. Spesso penso di sì. Siamo riusciti a cambiare tante piccole storie anche solo raccontandole.
Altre volte, in momenti di stanchezza, mi domando se vi sia davvero spazio per un modello che coniuga comunicazione visuale e impegno sociale senza un vero e proprio business model.E allora rallento ulteriormente e mi guardo intorno. Rileggo le nostre storie, i vostri messaggi, i tweet, le foto degli schizzi con cui abbiamo “inventato” la Casa dei Raccontastorie a Roma, le serate trascorse a raccontarne tante – di storie – le vostre email con cui chiedete di lanciare dei gruppi nella vostra città, i riconoscimenti, l’energia, i complimenti, le critiche (quasi sempre giuste e ben accette), i post su Facebook e le chiacchiere infinite.
Leggo i resoconti del Team Mexico in Chiapas a raccontare la salute mentale e le prime storie da S4C Budapest. I progetti di S4C Spagna e l’entusiasmo del gruppo di Ferrara. Penso a quello che farà S4C Roma e quanto sta per arrivare da Palermo. E penso anche al nascente gruppo di Bruxelles. Penso alle discussioni infinite tra di noi, alle incazzature, alle incomprensioni, a volte alle lacrime ma soprattutto alle pacche sulle spalle, alle pizze insieme e alle lunghe conference call su Skype. Siamo una grande, enorme, famiglia.
Persino Samantha Cristoforetti ci ha scritto dei messaggi bellissimi dallo spazio per incoraggiarci!E mi carico come una dinamo. Perché ancora una volta ho capito che la situazione mi è sfuggita felicemente di mano. S4C era nato come un blog, è diventato un’associazione non profit e ora sta diventando grande. Sta diventando un vero e proprio movimento. Bello, creativo, tranquillo eppure determinato. Di giovani (e non) talenti che capiscono l’importanza del racconto di prossimità, del guardare con occhi diversi la realtà che ci circonda e di come le nuove tecnologie della comunicazione visuale siano un potentissimo strumento di racconto di massa. La crowdphotography.
Non chiediamo soldi a nessuno sponsor e non dobbiamo, quindi, rendere conto a nessuno se non (importantissimo!) ai soggetti delle storie che raccontiamo e a voi. E’ la nostra vera forza. Il conto corrente è impietoso. Abbiamo meno di 500 euro in banca. Una situazione incredibile. Eppure siamo qui, con l’entusiasmo del primo giorno di scuola (ops, primo giorno di blog). Con tanta voglia di raccontare il bello che accade e che non viene considerato.
Prendere in carico storie, vite, dignità altrui comporta la responsabilità di andare fino in fondo e farle conoscere. Senza se e senza ma. Non ci si lascia fermare da un malware o da un conto in rosso.
E’ la forza del citizen journalism e della crowdphotography. Se uno ha un problema, quella storia la racconterà qualcun altro.
E così via finché non si può dire: bene, adesso sapete, tocca anche a voi reagire.
E’ proprio vero quello che diceva Galeano. Tanti piccoli uomini, che fanno piccole cose, in piccoli posti, possono cambiare il mondo. Si, signori, probabilmente non siamo andati dove volevamo, ma credo proprio che ci troviamo esattamente dove avevamo bisogno di essere.
Dai, mettetevi comodi. Abbiamo tante storie da raccontare insieme.