Si chiudano gli occhi per un momento e si provi ad immaginare se, durante Expo 2015, i visitatori oltre ad avere a disposizione i tradizionali ristoranti andassero a mangiare a casa di privati cittadini; se, potessero imparare dalla famosa casalinga di Voghera come si fa il miglior brasato della zona; se per dormire utilizzassero le case dei cittadini oltre agli alberghi; se per muoversi prendessero in prestito le loro auto; o se, potessero essere guidati per Milano e dintorni, dagli stessi cittadini capaci di confezionargli percorsi su misura.
Si immagini un’Expo 215, insomma, in cui i privati non solo accolgano i viaggiatori, ma che da questa attività guadagnino anche qualcosa. Per trasformare l’Esposizione, in un’occasione per tutti, il 15 aprile al Palazzo delle Stelline di Milano parte Sharexpo, un percorso volto a individuare proposte e sfide da intraprendere per la sperimentazione della sharing economy durante Expo 2015.
Organizzato da Collaboriamo, Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), ModaCult-Università Cattolica di Milano e Secolo Urbano, si snoderà in tre momenti differenti. La giornata aveva l’obiettivo di riunire 60 realtà fra start-up, grandi aziende, associazioni, imprese sociali e rappresentanti della società civile, con lo scopo di individuare le criticità e le potenzialità di adottare la sharing economy durante Expo 2015; la costituzione di un Comitato di indirizzo composto da tredici esperti che a partire dai risultati di oggi ha il compito in dieci settimane di preparare un documento da sottoporre alle Pubbliche Amministrazioni; una conferenza stampa finale di presentazione del lavoro svolto alla comunità e ai media a Milano a giugno 2014.
Ma perché la sharing economy può essere un’opportunità per l’evento, per Milano e per il paese? L’Esposizione, prevista per l’anno prossimo a Milano, con i suoi 15 – 25 milioni di visitatori che dovrebbero arrivare in città nel semestre, segnerà un picco della domanda di servizi sul territorio che l’offerta tradizionale non è detto sia in grado di soddisfare.
Utilizzando i servizi di sharing economy si può rispondere a questa richiesta senza costruire nuove strutture ma semplicemente sfruttando a pieno quello che noi già possediamo. Così facendo vincerebbero tutti:
-I cittadini che potrebbero guadagnare dall’evento e non subirlo come spesso accade durante le grandi manifestazioni;
-I visitatori che potrebbero usufruire di nuovi servizi e sperimentare un viaggio più personalizzato ed esperenziale;
-Le startup del mondo “collaborativo” che potrebbero crescere ed affermarsi;
-Le grandi aziende che potrebbero cogliere l’occasione per lanciare nuovi prodotti (importantissimi, per esempio, quelli assicurativi o turistici), o, per aiutare le start up offrendo capitale ma anche struttura e competenza;
-Il mondo del non profit che potrebbe diventare attore dei diversi servizi sfruttando le loro reti e le loro risorse (posti letti, cucine, competenze);
-Le Pubbliche amministrazioni che potrebbero affermarsi su scala mondiale come modello urbano e territoriale innovativo.
Così facendo alla chiusura dell’Esposizione invece di avere strutture vuote che non si sa come riutilizzare (chi non ricorda Italia90?), si potrebbero avere nuovi servizi, nuove opportunità di lavoro e più coesione sociale.
C’è poco da inventare. Molti servizi esistono già, devono solo crescere e raggiungere quella massa critica necessaria per diventare credibili. Le difficoltà sono altre e non di facile soluzione. Bisognerà lavorare sulle questioni normative (legali e fiscali) che dovranno riuscire a regolare l’attività di questi servizi per renderli più credibili e sicuri; organizzative, per accompagnare e fare crescere le diverse piattaforme all’interno di una progettualità comune e strutturata; culturali affinché si arrivi a far comprendere il cambiamento anche ai più disagiati che non si può – e non si deve – lasciar fuori da questa opportunità. Una ricerca di Duepuntozero Doxa che presentata mercoledì 16 aprile all’evento, rivela che il 67% dei lombardi e il 74% degli italiani tra i 18 e i 64 anni è predisposto a condividere e che 1 italiano su 3 ha già usufruito di servizi collaborativi. Gli italiani quindi paiono pronti. A che punto sono, invece, grandi aziende, pubbliche amministrazioni e terzo settore emergerà lungo tutto il percorso di Sharexpo.