Così giovani architetti italiani hanno portato l’innovazione al Maxxi

ambiente

Il gruppo di architetti Orizzontale ha appena inaugurato una interessante architettura al Maxxi di Roma. Ci sembra un evento da sottolineare per varie ragioni. Andiamo con ordine.

Innanzitutto Orizzontale è un bel nome per un collettivo di giovani architetti: allude ad opere anti monumentali che esaltano “la linea umana dell’orizzonte” come diceva Frank Llyod Wright (1867-1959), architetto americano delle praterie. Dare al proprio gruppo questo nome ha quindi echi illustri ma anche ragioni nel percorso della propria attività. Gli architetti che hanno dato vita a questo collettivo si sono formati alla facoltà di Architettura di Roma operando ancora studenti con una idea molto chiara: controbattere il burocratismo dell’esamuccio e l’apatia con l’impegno del fare.

Un fare che è prima di tutto costruzione fatta in prima persona, con le proprie forze e spesso con materiali di riciclo.

Le occasioni sono piccole e periferiche.. uno spazio occupato, un piccolo vuoto urbano abbandonato, un festival alternativo. Passo dopo passo il gruppo prende vigore. Ed ecco il piccolo salto. Vincono il concorso per giovani architetti bandito dal Maxxi per un’opera nello spazio aperto investito dal museo. Investito? Eh si, perché il Maxxi di Roma, architetto Zaha Hadid, è concepito non come un oggetto, ma come un’ infrastruttura urbana. I suoi flussi guizzanti servono non solo ad articolare le sale interne, ma soprattutto a far vibrare la città, come se i suoi volumi moltiplicassero le loro linee dinamiche a marcare l’ambiente circostante. Ma non è solo un fatto espressivo, il progetto infatti funziona come “short cut”, scorciatoia tra il terminal degli autobus di Piazza Mancini e via Guido Reni.

Gli Orizzontale capiscono subito che questo è il significato dello spazio in cui sono chiamati ad intervenire. Creano un grande ponte in legno, percorribile come un belvedere, permeabile e filtrante. Verso Piazza Mancini dal ponte si allungano ritmicamente velari che si appoggiano su piccoli bunker con dentro una tanica d’acqua che punteggiano una scalea piazza. Dalle taniche periodicamente schizzi di acqua irrorano l’intorno. Sul fronte verso via Guido Reni il ponte diventa un muro trasparente, letteralmente punteggiato da bottiglioni trasparenti di plastica. Sono contenitori di birra riciclati (tutti ripuliti e montati uno ad uno dai nostri architetti e dai loro amici) e che montati a matrice creano un grande muro pixelato e programmabile. Infatti dentro ogni bottiglia c’è un led che si accende a seconda dello script prescelto.

L’opera insomma è pregevole. Sensibile al suo contesto e all’architettura di mamma Zaha ne rilancia il valore e il senso, ma è anche molto interessante il suo porsi costituzionalmente come oggetto contemporaneo, quindi multitasking, perché si tratta anch’essa di una infrastruttura che è ponte – belvedere – schermo – muro tradizionale ed informatico ad un tempo – piazza attrezzata che invoglia al passaggio e alla scoperta alla città che gli si apre attorno.

Si è inaugurato con una grande festa in cui il Maxxi ha dimostrato quello che potrebbe essere sempre. I cancelli aperti sulle strade di accesso, lo spazio attorno al museo che diventa strada della città, l’architettura grande del Museo che guarda senza sussieguo l’installazione dei ragazzi architetti.

Non sempre è così. Magari ci andate e trovate la parete spenta, i negozi chiusi, i cancelli sbarrati o oggetti incongrui ad interrompere vita e flussi. Ma con Orizzontale abbiamo capito una strada all’innovazione che il Maxxi dovrebbe rilanciare secondo noi sempre di più: aprire aprire aprire. Aprire ai giovani artisti architetti e performer, aprire i suoi spazi e farli vivere veramente con la città sempre.

Roma, 11 giugno 2014Antonino Saggio – NitroGroup

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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