La nascita del Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali ha avuto il primo atto pubblico con la presentazione delle “Linee guida-indicazioni strategiche e operative”, nella versione preliminare per la consultazione pubblica che si è avviata il 10 aprile, ed è un evento la cui portata strategica è stata ancora poco generalmente recepita. La stessa idea di un programma-Paese in cui far confluire e con cui coordinare tutte le iniziative avviate e da avviare nel campo vastissimo dell’educazione, dai bambini delle scuole dell’infanzia agli anziani in pensione, a prescindere dall’attore (e quindi non un progetto per ministero, per ente, ma un unico programma per tutti) denota un radicale cambiamento di approccio.
È un cambiamento che parte dalla consapevolezza che problemi complessi, profondi e capillari possono essere affrontati soltanto con interventi coordinati ma articolati su più livelli, coinvolgendo attivamente attori complementari e molto diversi tra loro, e spingendo sulla creatività e la proattività dei territori, dove le esperienze di eccellenza non mancano certo.
Ma l’avviare un Programma Nazionale per la cultura digitale ha anche un altro senso: significa porre il tema come strategico per il Paese, centrale per la crescita economica e sociale, asse portante (e finora del tutto trascurato) di quell’Agenda Digitale di cui molto si parla da qualche anno, ma che ancora manca di una definizione organica, un quadro complessivo in cui riconoscere la visione strategica del Paese rispetto alle opportunità del digitale. Anche nel Documento di Economia&Finanza (DEF) presentato dal Governo, invece, notiamo come il tema dello sviluppo delle competenze sia trattato come un tema marginale, ricondotto allo sviluppo della domanda di servizi, e non perno del circolo virtuoso della crescita digitale.
Eppure di questo si tratta.
Non è un caso che anche in un Paese come la Danimarca, con le competenze digitali molto più sviluppate e diffuse di quelle italiane, il “team per la Crescita Digitale” abbia recentemente identificato come prima azione necessaria quella della definizione di una strategia nazionale per l’educazione digitale, in grado di elevare il livello di consapevolezza digitale nelle scuole e l’attrattività dell’ICT per gli studenti.
Perché l’economia sempre più si basa sulle competenze di un Paese, che devono essere adeguatamente diffuse da poter consentire la costruzione di contesti favorevoli per una loro evoluzione creativa. Altrimenti, si rimane nella logica dei progetti innovativi che non si fanno sistema, delle eccellenze che non si fanno pratica comune.
L’Italia ormai da tempo manca di politiche che si focalizzino sull’area dell’educazione e dello sviluppo delle competenze, e i risultati sono evidentissimi. Accanto a eccellenze che si esprimono nei diversi campi della ricerca, dell’imprenditoria, della formazione, il panorama complessivo vede l’analfabetismo funzionale attestarsi al 70% della popolazione (tale è la percentuale di chi non raggiunge il livello 3 di competenza secondo l’ultima analisi PIAAC), al 44% la parte di popolazione che non naviga mai su Internet o meno di una volta la settimana (dati Eurostat- Digital Agenda Scoreboard), solo al 20% la percentuale di chi effettua acquisti online (la media europea è del 47%).
Questo analfabetismo digitale diffuso è maggioranza nella società, nelle organizzazioni, nelle professioni, nell’imprenditoria, nella politica.
Finché non sarà superato, l’ostacolo dell’incompetenza e dell’ignoranza digitale si aggiungerà agli ostacoli naturali al cambiamento legati agli interessi contrapposti di chi punta a mantenere le attuali posizioni di privilegio, l’attuale sistema familistico e burocratico, rendendo l’innovazione difficilissima e lenta.
Per questa ragione la leva dello sviluppo delle competenze e della cultura è fondamentale.
E questo è un tema che va molto al di là dell’Agenda Digitale italiana ed europea, e riguarda la possibilità di percorrere una “via italiana” all’innovazione tecnologica, sulla base di eccellenze presenti nell’area della microelettronica, “dell’hardware” essenziale per trasformare l’industria manifatturiera e riportarla al centro dell’economia produttiva italiana, liberando la creatività innovativa che si diffonde nei tanti FabLab che stanno sorgendo in tutti i territori e acquisendo il modello dell’Open Innovation come paradigma di connessione tra grandi e piccole imprese, tra artigianato innovativo e grandi impianti tecnologici.
Quindi il Programma Nazionale della cultura e delle competenze digitali si propone come modello di approccio, ma allo stesso tempo come luogo di incontro delle iniziative innovative anche oltre il digitale, in grado di innescare un circolo virtuoso tra cittadini sempre più competenti e coprogettisti dei servizi, un settore pubblico sempre più consapevole della propria missione di traino di una richiesta di servizi di qualità e un settore privato sempre più affamato di innovatori e di competenze tecnologiche qualificate, per poter soddisfare e anticipare le richieste di cittadini e amministrazioni.
Un Programma Nazionale che pertanto “si fa piattaforma” per coordinare le iniziative e mettere a sistema il knowledge management, come modello evolutivo.
In questo contesto il processo di realizzazione delle strategie e di definizione del Piano coordinato delle iniziative fa già parte degli interventi per lo sviluppo della cultura digitale, ottenere un ampio coinvolgimento nell’ambito di un processo realmente e riccamente partecipativo è già una condizione essenziale per raggiungere l’obiettivo del Programma.
Il metodo è “contenuto”.
Di qui l’attenzione a lavori di gruppo sempre più inclusivi e attenti alle esperienze (anche non di successo, di chi comunque “ci prova”) e ai contributi dei diversi attori, e la naturale apertura a una consultazione pubblica concepita in più fasi, ibrida (online-presenza) e progressivamente aperta a idee e proposte di azione specifica.
Un Programma Nazionale che, per tutte queste ragioni, diventa l’infrastruttura di integrazione delle politiche per la crescita del Paese, e come tale ha bisogno di conquistare una centralità che oggi non è ancora riconosciuta dalla politica, e di avere, concretamente, a partire dal DEF, un committment politico forte e chiaro.
Roma, 23 aprile 2014Giuseppe Iacono
Esperto di processi di innovazione, autore di diversi libri sui temi del management e dell’innovazione, co-fondatore e vicepresidente dell’Associazione Stati Generali dell’Innovazione, coordinatore del gruppo di lavoro “Competenze per la cittadinanza digitale e inclusione digitale” del Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali.