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Così per 30 anni la mia Calabria ha ingoiato soldi per diventare la Silicon Valley europea

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I bronzi di Riace sono stati ritrovati per caso da due ragazzini, a qualche centinaio di metri dalla riva. Lo dissero a un sub romano, che poi si intesterà il rinvenimento (e il premio dello Stato). Alle due statue mancano le lance e gli scudi, e da queste parti c’è chi è pronto a giurare di aver visto (casualmente) chi e quando li ha trafugati. Sono passati 40 anni, e non si sa più nulla né degli armamenti, né addirittura di un fantomatico terzo bronzo, che nessuno di noi conosce. Ufficialmente.

Oggi i due meravigliosi guerrieri, dopo un lungo restauro conservativo, sono ospitati in un salone supertecnologico (ristrutturato apposta per garantirne la conservazione e costato diversi milioni di euro) nel Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria.Per vederli, però, un turista qualsiasi può scegliere se passare metà delle sue ferie incolonnato sulla Salerno-Reggio Calabria, se prendere uno dei 3 treni “ad alta velocità” da Roma e metterci quasi 7 ore di viaggio, oppure spendere 400€ per un volo da Roma o Milano.Ma il nostro turista tedesco, russo, giapponese non demorde e sceglie di venire in Calabria.

Scarica sul proprio smartphone l’app del turismo fatta sviluppare dalla Regione, ma purtroppo non funziona. Va allora sul sito internet Turiscalabria, messo online per “solo” un milione di euro meno di 10 anni fa riciclando parte dei contenuti di calabriaweb.it, altro sito realizzato a spese di Pantalone e che oramai riposa nel cimitero del web dal 2003. Ma nonostante i non pochi bug e difficoltà di navigazione del portale istituzionale del turismo calabrese, il nostro stoico turista decide comunque di mettersi in viaggio.

Una volta arrivato a Reggio, avrà di fronte a sè due opportunità: prendere uno dei treni a gasolio monobinario, oppure mettersi in macchina, alla volta del parco archeologico di Crotone, sulla strada statale 106 Reggio-Taranto, meglio nota come “la strada della morte” da almeno cinquant’anni.

Giunto a Capo Colonna, potrà parcheggiare liberamente nel nuovo parcheggio realizzato affogando nel cemento i resti di un antico foro romano.

E tutto questo è normale.

Normale non solo per la nostra classe dirigente (e per noi calabresi struzzi), ma anche per la soprintendenza dei beni culturali e il Ministro Franceschini.No, meglio fare un volo a 30€ con Ryanair per Roma, e dopo aver visto il Colosseo prendere uno dei 30 (e più) Frecciarossa per Milano ed essere in meno di 3 ore a Expo.

Colpa di Cavour e dell’unità d’Italia? Forse. Colpa del nord che cannibalizza le risorse del Sud? Non proprio, visto che la Cassa del Mezzogiorno è stata “cosa nostra” fino all’altro ieri, così come la gran parte dei fondi strutturali dell’Europa e la pioggia di migliaia di miliardi arrivati al Sud e in Calabria negli ultimi cinquant’anni.

Pochi sanno che la Calabria, ad esempio, potrebbe essere oggi la Silicon Valley italiana, se solo avesse sfruttato una straordinaria opportunità creata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 tra pubblico e privato. E’ il 1987, e io ho appena un anno di vita quando, dopo le decine di interventi improduttivi e clientelari degli anni delle vacche grasse, l’IRI, nell’ambito dell’”azione organica numero due” dedicata all’innovazione tecnologica, costituisce il consorzio Telcal (formato da Sip, Intersiel e Italtekna), mettendo in bilancio una spesa di oltre mille miliardi di lire: il più consistente impegno economico dello Stato per la Calabria.Telcal è stato soggetto attuatore del Piano Telematico Calabria, una serie di progetti per la pubblica amministrazione locale (sistema informativo Regione Calabria, automazione delle unità sanitarie locali), la pubblica amministrazione centrale (automazione dei tribunali, monitoraggio ambientale), agricoltura (rete agrometeorologica, collegamento al Sian), turismo (costituzione banca dati delle disponibilità e teleprenotazioni), teledidattica (col potenziamento quindi del Consorzio per l’ università a distanza, una novità nazionale nata e cresciuta in Calabria), ricerca nel campo dell’ informatica e della telematica (e quindi costituzione di laboratori per il software didattico e per l’ ingegneria del software).

A cavallo tra il 1992 e il 1994, la Regione Calabria entra in Telcal divenendone socio di maggioranza.

Si stipulano anche protocolli d’intesa dove si stabilisce che alle imprese informatiche calabresi sarebbero dovuti essere affidati almeno il 50 per cento del lavoro di sviluppo del software.Un successo, insomma, nonché motivo di vanto anche per i pionieri dell’epoca, ovvero l’Università della Calabria e la Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania che avevano dato vita al Crai, il Consorzio per le ricerche informatiche, una sorta di Università del software. Primo esperimento del genere nel Paese.

Quindi, ricapitolando, l’Iri, società dello Stato, costituisce Telcal con società di telecomunicazioni al tempo non ancora privatizzate. Anni dopo sempre lo Stato, ma in questo caso la politica regionale, diventa socio di maggioranza del consorzio.

Dopo un decennio il Piano Telematico Calabria si avvia a conclusione, e finiscono anche i soldi. Telecom si tira fuori dal consorzio insieme alle due controllate Intersiel ed Italeco e il consorzio viene sciolto, lasciando per strada centinaia di famiglie calabresi alle quali la Regione dovrà trovare una soluzione di reimpiego.Se fosse andata male, com’è andata, saremmo dovuti restare comunque la regione più digitale d’Italia, e invece adesso ci troviamo a spendere altri 400 milioni di euro per la banda ultralarga, mentre nel momento in cui scrivo navigo a meno di 4 mega. Anche se pago al mio operatore telefonico gli stessi 39 euro al mese di chi in altre regioni del centro-nord naviga a 100 mega.

Ah, dimenticavo. Dopo Telcal, attraverso un accordo di circa 40 milioni di euro tra governo e Regione Calabria, si decide di costituire in Calabria due Distretti tecnologici, uno della Logistica e della Trasformazione a Gioia Tauro ed uno dei Beni Culturali a Crotone. Inutile chiedersi che fine abbiano fatto questi soldi.

Critichiamo tanto l’Europa, ma sappiamo davvero cosa succede a Bruxelles? Lì ogni regione italiana ha un suo ufficio e alcuni dipendenti, anche se non si sa bene cosa facciano. La Campania paga 80 mila euro di affitto all’anno. La Sicilia ha un palazzo costato 3 milioni di euro, e uno dei segreti di pulcinella è che vi lavorerebbero molti figli di politici locali. E, dulcis in fundo, la Calabria: che spende qualcosa come 200 mila euro all’anno per affittare una stanza dove lavorano 2 persone. La stessa Calabria che in questi anni ha ricevuto tanti miliardi dall’Europa dei quali però è riuscita a spenderne meno della metà, restituendone il resto.

Parliamo ancora di numeri e infrastrutture. Ponte dello Stretto. L’Italia, dopo aver speso quasi 500 milioni di euro tra progetti, simulazioni, burocrazia e convegni, deve adesso pagare 300 milioni al contraente generale Eurolink, visto che ha deciso di rinunciare al ponte. Certo, meglio prima finire la Salerno-Reggio Calabria, costata in poco più di mezzo secolo qualcosa come 10 miliardi di euro. 25 milioni a chilometro.

Spendendo cinque volte meno la Nasa ha mandato Curiosity su Marte. Per dire.

Ma visto che sono uno a cui non piace solo lagnarsi, ho invitato un po’ di amici a Cannitello (Rc) alla nona edizione di “Legalitàlia”, il meeting che con Ammazzateci tutti promuoviamo ogni anno proprio in questi giorni, perché vogliamo ricordare anche un calabrese libero, onesto e coraggioso. Il nostro Falcone. Si chiamava Antonino Scopelliti, ed è stato ucciso il 9 agosto di 24 anni fa, mentre tornava a casa dal mare da solo, senza scorta. Doppiamente illuso, primo perché nonostante fosse in ferie si era fatto mandare giù le carte anche del Maxiprocesso a Cosa Nostra, visto che avrebbe dovuto sostenerne la pubblica accusa in Cassazione. Ma soprattutto, voleva darci una Calabria un po’ meno schifosa di quella che lui ha provato (inutilmente) a salvare.Mentre oggi ci troviamo in balìa dei tanti Kronos che stanno sbranando uno ad uno i propri figli.

ALDO V. PECORACannitello (RC), 7 agosto 2015

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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