Così un maker barese riesce a muovere oggetti col pensiero

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Ci sono porte che non ti aspetti di varcare. Ce n’è una ad esempio che dà in un mondo dove gli oggetti si muovono con la forza del pensiero. Una volta varcata è come iniziare un viaggio nel futuro presi per mano dalla curiosità di un bambino. Si trova in un appartamento alla periferia sud di Bari. Zona industriale, quartiere Stanic. Qui abita Antonio Blescia, 25 anni. E’ un maker, un programmatore, un inventore, un hacker. Ma a lui tutte queste definizioni non piacciono molto. “Preferisco carpentiere della tecnologia, mio nonno era un meccanico”.

La porta è quella del suo laboratorio. Per evitare lo stipite Antonio deve abbassare un po’ la testa. E’ molto alto e magro. La semplicità con cui introduce alle sue ricerche è paragonabile solo a quella dello spazio in cui le ha elaborate.

Chi si immagina il caos creativo del Doc di Ritorno al futuro si sbaglia di grosso.Dentro è tutto incredibilmente ordinato. Più che un laboratorio sembra la stanzetta di un liceale. Il Mac sulla scrivania. Le foto della sua Yamaha R1. Una lampada mappamondo. Qualche libro impilato in uno scaffale. E tutto intorno poster di Robocop a cui si alternano modellini di Robocop, e le armi di Robocop. “E’ la mia vera grande passione Robocop, ci sono in fissa da quando ero bambino. Non ci crederai ma è la mia fonte di ispirazione”. E sembra quasi che preferirebbe parlarmi dell’uscita dell’ultimo film della serie piuttosto che delle sue invenzioni.

IL LABORATORIO. Su un muro c’è una lavagna bianca. Sopra è disegnato un cervello in blu, sezionato nelle sue parti.

Lobo frontale, parietale, occipitale. Qualche appunto e un paio di equazioni qua e là. E’ la chiave per entrare nel suo mondo. “Il cervello è incredibile” la voce e il viso di Antonio si illuminano “tutti dicono che possiamo utilizzare solo il 10% delle sue capacità, ma quel 10% può fare tantissimo. Guarda qua”. Infila un caschetto, ne posiziona i sensori sulle tempie, una sulla fronte e comincia a guardare il suo smartphone. Lancia un’app che ha sviluppato. Si concentra. L’app sembra riconoscere il movimento delle palpebre e seleziona da sola un elenco gli oggetti presenti in quella camera. La luce al led. Il mappamondo. La luce principale. Rimane su quest’ultimo. Antonio fissa le lettere illuminate dallo schermo del suo smartphone.

Un secondo, due. La luce della camera si spegne. Non una parola. Non un gesto. Poi si riaccende. E poi così di nuovo con il mappamondo, con la luce al led dietro il Mac. Tutto si accende e si spegne grazie ad una forza invisibile. Quella del pensiero. E poi una piccola macchina. Una sedia a rotelle che si muove da sola. Non è semplice fermare quella magia.

MUOVERE OGGETTI COL PENSIERO. Almeno nell’etimo è telecinesi, ma niente a che fare col paranormale. Come fai? “Guarda il meccanismo è piuttosto semplice: questo casco rivela l’attività del cervello in base alle onde cerebrali. Vedi quella?” indica quello che potrebbe sembrare un router “è una centralina domotica. L’ho programmata io. E’ collegata via wireless a tutti i nodi che ho disseminato per la stanza che accendono e spengono le luci al suo segnale”. Il segnale in questo caso parte dalla percezione che i sensori del caschetto hanno di una variazione dell’attività cerebrale. Quando Antonio si concentra su un elemento della lista presente sulla sua app, l’attività cerebrale aumenta e dà un input che viene tradotto in luce accesa, se è spenta. Luce spenta se è accesa. “Se ci pensi è una scemenza” prova a minimizzare.

SMART CHAIR, LOGGY E THINKUINO

Su questa tecnologia ha sviluppato Smart chair: una sedia a rotelle intelligente, capace di muoversi grazie alle intenzioni del disabile. C’è dentro tutta la tecnologia wireless che ha sviluppato nella domotica, più una scheda Arduino per muovere la sedia e uno smartphone sul poggia braccio per l’elenco degli oggetti da attivare. Ma la stessa funzione potrebbe averla GlassUp, gli smart glass italiani a cui Blescia sta lavorando come responsabile dello sviluppo mobile. Oppure uno smart watch, come quello che ha al polso. La sua è la prima tecnologia capace di coprire tutte le disabilità motorie di una persona. Se gli si chiede perché Smart chair la sua risposta è: “Perché volevo aiutare gli altri”. E se invece si parla di possibilità di business taglia corto: “Non lo so, non sono bravo in queste cose e non so se ci farò i soldi. Per ora l’ho solo creata, come ho fatto tante altre cose. E’ tutto online e open source e se qualcuno vuole migliorarlo è il benvenuto. Non so nemmeno quanto potrebbe costare Smar chair”.

Sulla sua pagina di Code project, una delle maggiori community di sviluppatori al mondo, si possono vedere altri progetti a cui l’ha applicata. Loggy, un sistema che permette di registrare attraverso foto e video i momenti della giornata in cui cambia il livello di attenzione, per rivedere i momenti di cui ci si è dimenticati. Oppure Thinkuino, dove i led di Arduino si illuminano grazie alle onde cerebrali. Entrambe hanno ottenuto il punteggio massimo dagli sviluppatori, entrambe basate sui suoi studi sulle brainwaves. Perché ad Antonio interessa sì la tecnologia, ma quello che gli preme è capire come usare il cervello al massimo delle sue potenzialità.

“Perché il cervello? Ricordi cosa restava di sano dopo l’incidente al poliziotto che poi diventa Robocop? I polmoni, il cuore e il cervello. Ma è soprattutto il cervello a permettere alla macchina di funzionare. Robocop in fondo è una macchina meravigliosa per aiutare una persona a riprendere la vita normale anche con delle gravi menomazioni. Un po’ come smart chair”. Torna la passione di Antonio bambino a raccontare come una mente brillante possa trovare ispirazione in cose semplici, che non ti aspetti. E che in quel momento smettono di essere fanciullesche, magari di poco conto, e acquisiscono uno spessore inaspettato. E ti viene voglia di rivedere quel film perché i tuoi occhi non saranno più gli stessi.

UN CARPENTIERE DELLA TECNOLOGIA

“Ho studiato il cervello da autodidatta scaricando dalla rete manuali universitari. Io non sono laureato, sono un perito industriale. Ma ho sempre lavorato, e mi sono sempre informato. In rete ho trovato tutto quello che mi serve. E questa è la mia grande fortuna. Prendo della conoscenza quella che mi serve per il mio lavoro da carpentiere. Mi muovo in una terra di mezzo tra l’intellettuale e il manuale che mi consente di capire tanto e sporcarmi tanto le mani. E come me lo possono fare tutti perché è tutto open”. La semplicità con cui riesce a muovere gli oggetti della sua camera è una finestra nella sua dimensione. Lo fa con una semplicità incredibile. Racconta della volta in cui è riuscito a farlo per la prima volta. “Un’emozione che è difficile raccontare a parole. Ce l’avevo fatta. Ho cominciato a ballare nella mia camera su un pezzo dei The 1975. Avevo i sensori ancora attaccati e accendevo luci, muovevo oggetti, la mia camera ballava con me”.

Antonio hackera tutto. Modifica tutto. La sua R1 è diventata un bolide da 314 Km/h che può usare solo in pista. “Vengo da una famiglia di meccanici, per me è normale smontare e modificare le cose”. E poi le armi, per quando si concede un pomeriggio al poligono di tiro. Il suo mondo è un po’ tutto questo, passioni che si incontrano, collidono, danno vita a nuove idee, a nuovi progetti a cui lavora nei ritagli di tempo o a notte fonda quando tira fino a tardi per programmare, sviluppare software, costruire nuovi oggetti. “Il mio sogno? Programmare un software senza tastiera, ma solo col pensiero. So che è possibile farlo, ma non so ancora come”. Lo farà. Magari in una delle notti insonni dedicate alla ricerca. “Se ci riuscirò questa volta dovrò ringraziare la mia ragazza, che con me ha una pazienza incredibile”. Vive con lui alle porte di Bari. Sono andati a vivere insieme dopo cinque mesi di fidanzamento. “Non mi piace aspettare, le cose se si vogliono vanno fatte in fretta e poi farne altre ancora”. C’è da scommetterci, quel software arriverà presto.

Bari, 24 marzo 2014Arcangelo Rociola

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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