Coworking: Da spazi di condivisione a motore della rinascita socio-economica dell’Italia

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I coworking si stanno diffondendo sempre di più anche in Italia e alcuni giornali iniziano a parlare di “fenomeno”, soffermandosi su una delle caratteristiche del coworking: uno spazio di lavoro comune a basso prezzo. Mettendo cioè al centro del ragionamento il concetto di risparmio e riducendo tutto a una questione economica.È bene, allora, leggere la definizione di coworking, così come riportata da Wikipedia: “Il coworking è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro. (…) L’attività del coworking è il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento”.

Ciò che emerge da questa definizione sposta l’attenzione sul senso più ampio, e profondo, di condivisione, uno dei valori basilari del cambiamento che stiamo vivendo nel nostro Paese.

Il coworking, cioè, è un modo di intendere il lavoro, prima che una mera possibilità di risparmio economico. Ciò che chi lavora nei coworking ha perfettamente capito è che la nostra società si sta evolvendo e che, seppur faticosamente, stiamo passando da una Money-Centered-Economy a una Human-Centered-Society. Il percorso è lungo e in salita, la situazione politica italiana così come ci si è chiaramente presentata davanti nelle ultime settimane conferma che non sarà una passeggiata, ma la rivoluzione silenziosa in atto darà i suoi frutti.

Ovviamente, però, le questioni economiche rimangono centrali e quindi è bene trattarle, anzi cercare di trasformare i coworking in spazi che facilitino la crescita economica, perché il risparmio non è la soluzione, per rilanciare il Paese serve aumentare anche il guadagno.

È possibile? Sì, se aggiungiamo alla condivisione di spazi e a quella di idee e relazioni, già presente nei coworking, anche quella di servizi. Commerciali e consulenziali.

I coworking che meglio funzionano, infatti, sono quelli verticali (Talent Garden che accoglie solo imprese e professionisti digital, The Hub che è aperto solo a imprese sociali, per fare due esempi), in cui ogni azienda o professionista presente opera nel medesimo campo degli altri. Proviamo a immaginarcene uno: Francesca fa app, Marco siti web, Luigi si occupa di SEO, Matteo è un UX designer, Carla ha un’agenzia di web marketing e così via. Tutti lavorano nello stesso spazio, con competenze differenti ma affini, tutti cercano ovviamente clienti a cui vendere i propri prodotti o servizi, tutti hanno bisogno di consulenze della stessa natura.

Ecco che quindi una serie di servizi a disposizione di Francesca, Marco, Luigi e tutti gli altri risolverebbero loro diversi problemi.

Provo a elencare i servizi:

  • rete commerciale;
  • avvocato;
  • commercialista;
  • consulente del lavoro;
  • esperto di bandi e finanziamenti.

Immaginiamoci quindi un coworking dove sono presenti questi servizi a prezzi concorrenziali e con una specifica preparazione sulla materia (digital, piuttosto che impresa sociale o altro) dei coworkers: l’avvocato, esperto appunto di questioni e contrattualistica in ambito digital, costerà la metà di un qualsiasi altro legale, così il commercialista e il consulente del lavoro. Inoltre non starà più ai vari Francesca, Marco e Luigi dannarsi alla ricerca di nuovi clienti, perché l’accounting e la chiusura dei contratti sarà demandata a una rete commerciale che venderà, quindi, servizi integrati e che, unendo i contatti dei coworkers e creandone di nuovi, potrà presentarsi alle grosse aziende.

Altri servizi, poi, verranno.

Ciò che immagino, cioè, è che i coworking possano diventare il perno centrale di un nuovo sviluppo socio-economico del Paese, ricoprendo oggi la stesa funzione propria dei distretti industriali negli anni Settanta.

Ancora da Wikipedia:“Il distretto industriale è un’agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale”.

Si tratta cioè di esercitare un doppio ruolo: da una parte quello di motore di una ripartenza economica, dall’altra quello di punto di snodo di un cambiamento sociale e quindi culturale. Non credo che sia questo il tempo delle rivoluzioni accese e dell’esasperazione politica della crisi, ritengo invece che ci siano, in tutto il Paese, tantissime piccole realtà che possono trasformarsi in punti di snodo di azioni che, da meramente economiche, hanno di fatto un riflesso più ampio, perché oggi aprire un’impresa in Italia è un gesto politico forte, una risposta alla fuga dei cervelli e alla paura diffusa. Se riusciremo a percorrere questa strada, significherà che la coworking culture avrà preso piede e contribuito a una grande rivoluzione silenziosa: quella che si pone come doppia alternativa positiva e propositiva, in contrapposizione sia a chi non comprende più le esigenze del Paese, sia a chi alle grida somma altre grida.

Milano, 24 aprile 2013

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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