Il mondo del lavoro è ormai cambiato a tal punto che è difficile trovare qualcuno che non se ne sia accorto, ma in quale direzione sta andando?Le professioni del terziario avanzato hanno assunto le dimensioni di una massa critica fatta d’individui che condividono strumenti, luoghi e conoscenze. Tra il 1999 e il 2008 nel nostro paese siamo passati dal crowdsourcing in rete alla condivisione di spazi fisici nelle città. In questa dinamica i freelance fino a qui invisibili, hanno smesso di incontrare i propri partner e clienti al bar, sono usciti da una dimensione di solitudine esistenziale e lavorativa, trovando cittadinanza in hub e connettori di professionalità ovvero gli spazi di coworking. Secondo l’ultima mappatura ce ne sono trecentoquaratanove in Italia.
Nel frattempo ha preso corpo, tra le altre, la definizione di smart working anche nella grande impresa.
Smart working: lavoro flessibile e decentrato, relazionale e adattativo, in cui ha un ruolo strategico la comunicazione digitale.
Questione su cui il governo sta legiferando con un Ddl che norma soprattutto il lavoro a distanza di dipendenti, impiegati e manager. Stiamo parlando di caratteristiche insite nel dna dei coworking, un ecosistema che ridefinisce l’organizzazione del lavoro, facciamo alcuni esempi.
Credits: itmirror.com
Learning by doing
La formazione in questi luoghi non è fatta prevalentemente di workshop e corsi che rappresentano solo la punta dell’iceberg di una modalità d’apprendimento stratificata su diversi livelli e di tipo esperienziale. Giacomo ha ventitré anni, segue un corso di avvio all’attività professionale promosso all’interno di un coworking, in cui applica i suoi studi di economia proprio per il business plan della nuova sede, lavorando alla sua postazione e confrontandosi con gli altri coworker alla presenza di un facilitatore che lo affianca.
Percorsi a cavallo tra formazione e lavoro. Le piccole e medie imprese (Pmi) hanno cominciato a interfacciarsi con i coworking e i loro campus, nei quali si svolge un’attività di matching con le imprese e un’altra di team building, ricercando gruppi di professionisti che possano proporre soluzioni innovative per il proprio business, sperimentando nello stesso tempo nuove modalità di lavoro da incorporare nell’azienda.Potremmo definire queste diverse attività, in cui si mettono a valore le proprie competenze in progetti collaborativi, equivalenti funzionali degli stage aziendali, dell’apprendistato e simili.Un altro tipo di formazione informale, non misurabile, ma efficace è quella di prossimità.
Stephen, cinquantuno anni, professionista di lungo corso lavora al fianco di Luca, nativo digitale, uno stimolo continuo all’aggiornamento.
Viceversa, Antonella, ventisette anni, vuole specializzarsi in content marketng e comincia a scrivere sul web per il coworking seguendo, nella pausa caffè, i consigli di Michele che fa il copywriter.Per queste figure professionali non ci sono mai state garanzie, così si fa di necessità virtù unendosi ai consimili e formando delle community, reti di persone che si aggregano per ambiti d’interesse e stile lavorativo.
Mine, yours, ours
La verità è che ha preso corpo una dimensione sociale del business che non può essere arrestata. La ricerca del Censis Vita da millenials: web, new media, startup e molto altro, realizzata per il padiglione Italia di Expo2015, fotografa una situazione in cui il numero delle imprese di giovani tra i venticinque e i trentaquattro anni, oggi è di 594mila unità, il 9,8 per cento del tessuto imprenditoriale del paese. Molto interessanti le risposte alle domande sui grandi cambiamenti del mondo, in cui
le libertà di scelta e di orientamento si sposano con una dimensione solidaristica globale.
Se guardiamo a questo tratto culturale di nuovo dal punto di vista produttivo, vediamo come si moltiplichino i progetti d’innovazione sociale che hanno un forte impatto positivo sulle città piuttosto che sulle periferie del mondo.
Questo porta con sé la fine di un mito, quello dell’individualismo sfrenato del lavoro autonomo, che al contrario si aggrega e lavora in luoghi condivisi consolidando le basi di una cultura collaborativa. Altrimenti non si spiegherebbe perché a Lucca dentro un polo tecnologico convivano sviluppatori e traduttori che si scambiano lavoro nel coworking Multiverso. Nelle Marche, e precisamente nel Wharhouse coworking factory, ha preso il via un progetto di co-creation e crowdfunding con partner internazionali in cui il ruolo della community e la dimensione partecipativa sono i punti focali del progetto. Il primo passo verso il futuro è imparare a lavorare con gli altri. Queste e molte altre esperienze saranno a Milano il 13 e 14 Novembre al prossimo Espresso coworking.
Factory
Quello che sto dicendo vale del resto per l’esperienza dei maker, in tre anni sono nati cento fab lab collocando l’Italia al secondo posto nel mondo, luoghi in cui l’ingegneria meccanica crea prototipi con la stampa 3D e con l’hardware open source di Arduino, applicando le tecnologie digitali al comparto manifatturiero. Parliamo dello stesso futuro, quello della nuova impresa e della sua possibile dimensione industriale. Il salto di paradigma potrebbe fare perno proprio sulla logica del coworking che riesce a permeare ambiti produttivi differenti. Secondo le statistiche
le grandi aziende , studiano il coworking e cominciano a capire il valore del lavoro agile, integrando in maniera flessibile le diverse professionalità.
Un modo per abbandonare gerarchie statiche e desuete. I dati dell’Osservatorio smart working del politecnico di Milano ci danno alcune informazioni utili: in questo 2015, il diciassette per cento delle grandi imprese ha in atto progetti strutturati di smart working (era l’otto per cento nel 2014). Quasi una grande impresa su due, sta andando in modo strutturato o informale verso questo nuovo approccio all’organizzazione del lavoro e gli strumenti utilizzati per abilitare il lavoro smart sono device mobili e i sistemi di social collaboration.
Vivere da freelance in un coworking vuol dire fare esperienze che contribuiscono alla nascita di una nuova cultura d’impresa. Nessuno sa fare tutto, per questo il prefisso co- si affianca a ogni suffisso.
MICHELE MAGNANI
Lucca, 14 Novembre 205