Il presente dell’Italia, il futuro del crowdfunding.
Roma, sabato mattina, ore 8.30. Una città in fermento tra sciopero, manifestazioni, antagonisti, agenti in tenuta antisommossa. Ma non possiamo restare a casa: è il giorno di Crowdfuture, l’incontro italiano sul crowdfunding, che quest’anno, per la sua seconda edizione, ha scelto la sede della facoltà di Giurisprudenza della LUISS, una curiosa palazzina a più livelli incastonata tra le ville e i palazzi eleganti della Nomentana.
Alle 9 la sala è già affollata e viviamo il trambusto tipico dell’avvio di un convegno: accrediti, badge, saluti calorosi tra amici, shopper, registrazione per l’accesso al wi-fi, caffè d’ordinanza per affrontare la giornata impegnativa.
L’anno scorso, al primo appuntamento, non c’ero: una brutta distorsione alla caviglia mi aveva costretta sul divano e avevo seguito l’evento tra streaming e live tweeting, dando il mio contributo con un intervento via skype.
Quest’anno la curiosità è davvero grande: mi occupo di crowdfunding dal 2010, da quando la parola era ancora sconosciuta o quasi in Italia, e sono arrivata a Roma con la voglia di captare quale fermento si muove intorno a questo fenomeno, che in poco più di tre anni ha attirato su di sé un’incredibile attenzione anche in Italia.
Aula magna stracolma per l’apertura: mi guardo intorno e colgo subito lo strano incrociarsi del pubblico degli attori della sharing economy e dell’open source (a cui è stata dedicata un’intera track durante la giornata) con quello degli avvocati, dei commercialisti, dei bancari, degli investor, che si sono avvicinati al crowdfunding nell’ultimo anno grazie alla normativa sull’equity based. T-shirt colorate da una parte, cravatte, collettoni e giacche dall’altra: un buffo mix che rende la platea eterogenea (maggioranza maschile schiacciante nella lista dei relatori della giornata, solo io, Ivana Pais e Daniela Castrataro a bilanciare, mentre tra il pubblico le donne sono molte).
Mi siedo volentieri tra due amici, Angelo Rindone di Produzioni dal basso e Claudio Bedino di Starteed: due delle piattaforme più importanti d’Italia, due persone con una visione molto diversa del fenomeno e delle sue declinazioni, ma che secondo me testimoniano la ricchezza delle prospettive che il crowdfunding italiano offre. Stranamente assenti protagonisti di altre piattaforme italiane, incontro solo le responsabili di Retedeldono. Peccato, perché credo fermamente che la collaborazione per la diffusione della cultura sul tema sia interesse di tutti, anche di piattaforme che poi vivono sul mercato una dinamica di concorrenza tra loro.
Dopo i saluti di rito degli organizzatori si parte con Kevin Miller che ci illustra il suo progetto LiveCode: 493.795 £ raccolte su Kickstarter UK e tante indicazioni (in realtà un po’ ovvie per chi conosce il mezzo) su come realizzare una campagna, sulla promozione da fare all’interno della community, sulle motivazioni che un progetto in reward based crowdfunding deve saper usare come leva per convincere il suo pubblico a sostenerlo.
Interessante un passaggio dello speech: «Abbiamo scelto un reward based perché volevamo essere liberi dagli obblighi stringenti dell’equity e puntare più sul senso di appartenenza della community dei coders», affermazione che fa un po’ sbandare la quota di cravatte in sala, ma tant’è: la bellezza del crowdfunding è anche saper tenere dentro stimoli, necessità e soluzioni diverse tra loro.
Al termine del primo speech il pubblico si disperde nel labirinto della facoltà, tra piani interrati e corridoi nascosti, per partecipare alle diverse track in parallelo: Gamification, Aspetti giuridici, EN Regulations, Civic crowdfunding e Open source. A me spetta il compito di moderare la track sul civic crowdfunding, sviluppata da Alessio Barollo e Tim Wright: la sala è molto affollata e scoprirò dopo che la nostra è stata la parte più seguita del convegno. Pubblico molto attento e confronto interessantissimo tra relatori molto diversi tra loro: architettura e sviluppo urbano partecipato, esperienze di riqualifica del territorio, bilancio partecipato e nuove forme di democrazia e il crowdfunding civico, considerato da tutti il passo successivo che questo fenomeno deve compiere (e nel mondo sta già compiendo, vedi la costruzione della piattaforma pedonale di Rotterdam realizzata da ZUS) per entrare pienamente nel vissuto dei cittadini. Angelo di Produzioni dal basso, il più visionario tra i promotori delle piattaforme italiane, ci dà la sveglia: «Il crowdfunding o é popolo, o non è. Dobbiamo farne anche una questione di linguaggio: la vostra vicina di casa sa cos’è, ma magari ancora lo chiama colletta». Da questa riflessione parte un lungo scambio tra pubblico e relatori sul rapporto che questa forma di raccolta fondi per la comunità deve tenere con la politica. Dal tono generale della discussione salta agli occhi un disprezzo e quasi una ossessione per la politica italiana, che monopolizza il dibattito.
Se la partecipazione attuale ci va stretta, se siamo scontenti di come lo Stato usa i soldi delle nostre tasse, perché non provare a innescare una rivoluzione dal basso usando il crowdfunding come leva per portare trasparenza e partecipazione?
Il tema è talmente caldo che devono letteralmente chiuderci i microfoni per liberare la sala ed andare a pranzo.
E’ il momento delle interviste, delle chiacchiere con gli amici e di un’ora di assemblea di ICN, l’associazione che abbiamo fondato per analizzare, sostenere e promuovere il crowdfunding italiano e che sta muovendo i primi passi. Eventi come questo, con una larga partecipazione di un pubblico così eterogeneo, ci dicono che c’è tanto da fare per cogliere le sfumature, essere utili e cercare in qualche modo di lavorare anche sul futuro del fenomeno, non per piegarlo, ma per assecondarlo.
Dalle 15 alle 18 spazio a workshop e approfondimenti: mentre nella sala accanto Daniela Castrataro e Ivana Pais presentano l’aggiornamento del report sulle piattaforme italiane e Tim Wright il focus sul DIY crowdfunding, a me tocca una classe di 30 persone e un tema molto gettonato e molto spinoso: come costruire una buona campagna di crowdfunding?Non è facile dare i giusti consigli: continuo a pensare che il crowdfunding sia uno strumento tanto duttile da potersi adattare (e liberare potenziali che non possiamo prevedere!) alla mano di chi lo usa. Mi diverto a rispondere alle domande e mi accorgo che avevo sbagliato pensando di poter evitare la parte introduttiva sul “come si fa” e pensando ingenuamente che il tema fosse arcinoto: le persone hanno molti dubbi su come individuare budget e motivazioni, sulla struttura delle ricompense, sullo storytelling e su come muoversi per la promozione del progetto. Con più di 30 piattaforme sul territorio e 3 anni di storia ancora devo spiegare che coinvolgere la propria community è un passo fondamentale e che nessuna piattaforma, nemmeno Kickstarter, ti porterà magicamente contatti e farà esplodere la tua raccolta fondi se tu non sei bravo a dare fuoco alla miccia al momento giusto.
Ripeto incessantemente il mio mantra: se pensate solo al funding la vostra campagna potrebbe fallire: se pensate alla crowd sicuramente non lo farà!
Fine giornata. Dal treno finalmente scorro il live tweeting e studio commenti e reazioni. Gli amici dell’organizzazione (nois3lab e twintangibles) mi confermano ottimi numeri per la partecipazione: con tutta la fatica che hanno fatto è senz’altro una soddisfazione che li ripaga in pieno.
Chiudo citando ancora una volta Angelo Rindone, che ha disegnato per noi uno scorcio del “future of crowdfunding” che tutti cercavamo di intravedere. «La piattaforma che dobbiamo ancora scrivere per il crowdfunding di domani, civic e non, deve essere orizzontale, per consentire l’accesso al più vasto numero di persone possibili; deve saper far leva sulla resilienza, sull’autodeterminazione della community; e deve scatenare serendipità, stupore, coinvolgimento profondo e capacità di accendere positivi punti di contatto tra persone e idee». Mi piace molto questo crowd-futuro!