La febbre da virus che ha colto titoli e capitali non ha risparmiato le criptovalute, viste più come azioni che come beni rifugio. Il Bitcoin è sceso fin sotto i 5mila dollari recuperando col ricorso al terzo storico halving, il dimezzamento delle ricompense dei suoi minatori. E l’emergenza non ha certo invogliato l’ampia parte della popolazione che ancora non sa bene come funziona la moneta virtuale a indossare i panni del cercatore d’oro, investendo in un bene apparentemente impalpabile. Inoltre non si è fermato nemmeno il cryptocrimen, la gestione illegale dei Bitcoin.
Gli aspetti negativi dei Bitcoin: Cryptocrimen
Non è l’assenza della carta, essendo tutti abituati al bancomat, e neanche il fatto che siano gettoni controllati da una società privata, dotati di valore finché c’è una vasta utenza che glielo attribuisce liberamente in virtù di una convenzione: il valore materiale di un foglietto o di un cerchio in metallo non è meno, se virtuale. Gli ostacoli da abbattere affinché diventi a ogni effetto una doppia valuta ufficiale non sono nemmeno la sfiducia verso l’esatta possibilità di stima della sua spendibilità a lungo termine, nè l’inefficacia come unità di conto o il non avere corso legale: i bitcoin scontano, fin dal principio, un sospetto ben più grave, quello del riciclaggio.
Patiscono il “pregiudizio”, secondo alcuni osservatori, che rappresentino il nuovo vaso in cui la criminalità organizzata, anche non informatica, riversa i proventi illeciti di traffici, rapine e omicidi per reimmetterli in circolo puliti.
Come fatto finora con le false fatture emesse da imprese e fondi fantasma. La bidirezionalità del Bitcoin contempla in effetti la possibilità di conversione con le principali valute ufficiali e assolve se non una funzione d’uso, almeno una di scambio. L’utilizzo per pagare tangenti su appalti pubblici è insomma a un passo.
Bitcoin e riciclaggio
Come spiega l’esperto di diritto penale Gaspare Jucan Sicignano nel suo libro Bitcoin e riciclaggio edito nel 2019 da Giappichelli, gli strumenti per sfangare questo mercato finanziario dalle acque sporche del cybercrimine ci sarebbero.
Intanto basterebbe estendere la normativa antiriciclaggio già vigente per i normali bonifici, che prevede autocertificazioni e controlli negli investimenti in polizze, compravendite. Si potrebbe poi migliorarla abbassando ulteriormente limiti e soglie di importi.
C’è inoltre il salvagente della blockchain: il database pubblico, accessibile a ogni operatore, che archivia i percorsi delle transazioni ripercorrendole a “catena”. La natura distribuita e il modello cooperativo del registro aperto rendono dunque sicure le operazioni, fatta salva in ogni momento la possibilità dell’autorità giudiziaria di far saltare qualsiasi crittogramma, privacy e anonimato, come avviene per altri crimini informatici sotto inchiesta della magistratura.
Il reato correlato nella “vita reale” non è però solo il riciclaggio. Il business dei bitcoin possono rappresentare una sponda in Rete per altre pratiche care alle mafie nella vita reale, come l’estorsione: il “pizzo” è stato trasferito da tempo online, in cambio della protezione da attacchi o della diffusione di dati personali oggi vengono richiesti anche btc. È mafiosa la dinamica con cui gli hacker hanno assaltato nel 2015 i circuiti delle banche in Grecia e Svizzera e di recente negli Usa.
E rischia di legarsi al terrorismo, come lo scorso febbraio con le due lettere bomba nei Paesi Bassi, dove un attentatore anonimo ha chiesto un pagamento in Bitcoin per scongiurare future incursioni. Nel 2018 in Ucraina e a gennaio in Thailandia sono stati riscossi versamenti in Btc per rilasciare manager rapiti, un cambio utile dunque anche ai riscatti. L’impennata del volume d’affari telematico, di risorse e comunicazioni manovrato in Rete, ha reso ancor più goloso il piatto per le mafie, a cui non sfuggono le novità.
Chainalysis ed Elliptic rilevano come gli illeciti commessi tramite bitcoin siano irrisori, intorno all’1% di tutte le transazioni. Che comunque sono quasi 300mila al giorno e, contando le altre criptovalute, movimentano quasi 60 miliardi di dollari l’anno. Il dato di queste società di analisi fa necessariamente riferimento solo alle truffe scoperte dalle polizie postali, costrette a formare e attivare in fretta non poche risorse da dedicare a questo universo parallelo in espansione. Fatto sta che nella fase 1 dell’allarme Covid, al crollo della piccola malavita di strada è corrisposta l’ascesa di quella informatica, soprattutto verso gli strumenti aziendali adoperati dai dipendenti in smart working forzato. VMware riporta un incremento del 148% degli attacchi di ransomware da febbraio a marzo 2020 contro istituti di credito ed enti economici tramite email di phishing o pubblicità di app fraudolente. Come quella per Android scovata da DomainTools: doveva fornire a chi la scaricava statistiche di tracciamento sul Coronavirus e invece sganciava un altro virus, in grado di carpire anche portafogli di criptovaluta catturando schermate non autorizzate e raccogliendo credenziali sui dispositivi infetti. Anche questa è criminalità organizzata, ed ha rialzato il muro di diffidenza. Tracciabilità e trasparenza non bastano ancora a convincere enti centrali e grande pubblico a riconoscere nel denaro digitale un mezzo formale del rilancio dei consumi.
Come risolvere questi problemi?
Urge trovare una uniformità giuridica che lo disciplini almeno a livello Ue, senza lasciar fare a Wall Street e all’iniziativa di singoli stati membri. Occorre adottare un quadro normativo stabile e un programma di licenze commerciali che avvicini l’Occidente al modello asiatico. Solo con regole di base chiare le aziende potranno partecipare in sicurezza. Significa anche mettere ordine tra la miriade di criptovalute differenti esplose dal 2009 in scia al bitcoin, emesse con maggior capitalizzazione e piccole differenze tecniche riguardo uso delle reti, velocità di elaborazione, integrazione con le banche: Ripple, Stellar, Ether, Litecoin hanno scompaginato i canali istituzionali di trading e la Borsa, che mal digeriscono la convivenza con la loro volatilità, l’impossibilità di prezzare beni e servizi in base alla loro disponibilità e al loro utilizzo, soggetti a potenziali crolli nell’arco di 24 ore.
Alla base del meccanismo offerta/valore resta la fiducia, di governi e investitori privati, verso la nuova fonte di ricchezza rappresentata dalla valuta virtuale. La sfida è affrancarla dalle ombre del malaffare e della cronaca nera, dissipare i dubbi che la avvolgono tramite leggi chiare che scoraggino le mafie e un piano di comunicazione che incoraggi i cittadini.