Cyberhand, la ricerca che ha ridato il tatto a chi non ha gli arti

scienze

(La fondazione Make in Italy cdb sta organizzando una mostra per celebrare 50 anni di innovazioni italiane a partire dalla Programma 101. La mostra debutterà nel corso della grande Maker Faire Rome – The European Edition, il prossimo 2 ottobre. In questa serie di post Maria Teresa Cometto racconterà per le storie e gli oggetti che saranno in mostra)

Se un amputato oggi può sperare di avere una mano “nuova” e può usarla come quella vera, provando le stesse sensazioni tattili, lo deve anche a una donna italiana e al gruppo di ricercatori da lei guidato. È Maria Chiara Carrozza, 48 anni, pisana, scienziata e startuppara, coordinatrice della Neuro-Robotics Area presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore S.Anna di Pisa.

Lei ha guidato come project leader il progetto internazionale Cyberhand, concluso nel 2005 con la creazione di un nuovo tipo di protesi cibernetica, il primo passo verso una vera “mano bionica” completamente interscambiabile con quella naturale.Fin dal 1999 le “mani artificiali” sono state oggetto di studio dell’ARTS Lab (Advanced Robotics Technology and Systems), fondato nel 1989 da Paolo Dario, direttore dell’istituto di BioRobotica. È in questo laboratorio che nel ’94 Carrozza consegue il dottorato in Ingegneria e comincia a interessarsi al settore della riabilitazione perché – spiega oggi – voleva “fare qualcosa di utile per i soggetti disabili, vittime di amputazioni o di paralisi” e pensava che “i loro problemi dovessero ricevere più attenzione nella ricerca scientifica”.

Nel 2000 il laboratorio aveva ricevuto un primo grande finanziamento dall’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni) per sviluppare nuove mani artificiali.

“Il professor Dario ha deciso di affidarmi la linea di ricerca e anche l’Inail ha dato fiducia a una giovane ricercatrice come me, che avevo solo 35 anni”, ricorda Carrozza.

Poi nel 2002 è partito il progetto europeo dell’IST (Information Society Technologies) sulla Cyberhand. “L’innovazione è stata connettere la mano artificiale al cervello – spiega Carrozza -. Per la prima volta abbiamo sviluppato un programma interdisciplinare con il contributo di tre discipline: le neuroscienze, la robotica e l’ingegneria biomedica. Abbiamo avuto successo grazie alla tradizione di ricerca dell’ARTS Lab nello sviluppo di interfacce neurali e di microelettrodi per leggere i segnali del sistema nervoso. E grazie alla particolarità del Sant’Anna di non aver confini fra discipline. I gruppi di lavoro qui sono focalizzati sulla soluzione di un particolare problema.

Così nel laboratorio del professor Dario lavorano insieme ingegneri, neurofisiologi, informatici, biologi e fisici come me”.

Del gruppo di ricerca del Sant’Anna sulla Cyberhand hanno fatto parte, oltre alla Carrozza e a Paolo Dario, Silvestro Micera, coordinatore della Transnational Neural Engineering Area, Christian Cipriani, coordinatore dell’Artificial Hands Area, e altri studiosi sia italiani sia del resto d’Europa.Le precedenti protesi per disabili con il braccio amputato potevano fare solo movimenti molto semplici e soprattutto non riproducevano il “tocco umano”, cioè chi le usava non poteva “sentire” la mano artificiale come parte del proprio corpo e quindi non era soddisfatto. Quei vecchi modelli erano controllati dai pazienti contraendo i muscoli residui del braccio.

Invece la Cyberhand è connessa e controllata dagli stessi nervi del paziente attraverso un complesso sistema di elettronica e sensori, che trasmettono un feedback sensoriale al paziente, cioè gli permettono di distinguere i diversi tipi di superfici – lisce o ruvide, fragili o resistenti, calde o fredde – e di calibrare la forza dei gesti.Le cinque dita della Cyberhand (in alluminio, acciaio e fibra di carbonio) sono munite di motori per fletterle e di speciali sensori; inoltre quattro elettrodi neurali in poliimmide (spessi 10 milionesimi di millimetro), impiantati nell’avambraccio (nei nervi mediano e ulnare), funzionano da ponte fra mano e cervello, grazie al collegamento con un interfaccia – un’apparecchiatura esterna – che registra gli impulsi nervosi inviati dal cervello ai nervi periferici dell’arto, interpretando le intenzioni del paziente, e allo stesso tempo manda il feedback sensoriale al sistema nervoso centrale.

“I frutti della nostra ricerca ora sono oggetto di approfondimento in altri laboratori di tutto il mondo – dice Carrozza -, sono sperimentati da istituzioni come il centro protesi dell’Inail e hanno ispirato altri progetti come lo statunitense ‘revolutionizing prostetic’ per dare nuove mani ai veterani di guerra amputati. Sono anche usati da alcune startup, come Prensilia”.Quest’ultima è una impresa spinoff della stessa Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, fondata nel 2009 da giovani ricercatori dell’ARTS Lab: opera nei campi della meccatronica e robotica, nella meccanica di precisione e nei sistemi ICT; e in particolare progetta, produce e personalizza mani robotiche avanzate.

“Anch’io sono stata fondatrice e socia di alcune startup, da cui sono uscita quando sono diventata ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per evitare conflitti di interesse – racconta la Carrozza, che ha ricoperto quella carica nel governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 -. Ora che non sono più ministro, sto fondando una nuova startup focalizzata sugli esoscheletri per arti inferiori e sui sistemi di supporto al camminare. Secondo me lanciare startup è una parte importante dell’attività di un ricercatore. In particolare un ingegnere, che non fa scienza pura, deve produrre qualcosa di significativo per migliorare la qualità della vita”.

Proprio mentre il governo Letta cadeva in Parlamento, la Carrozza rivela di aver vissuto una delle soddisfazioni più grande della sua carriera. “Ho ricevuto da un collega – racconta – il video girato in Spagna su un tetraplegico che riusciva a usare la nostra cyber-mano per impugnare la penna e scrivere il proprio nome, dopo che per tanto tempo non aveva pututo farlo. Quel filmato mi ha motivato a ricominciare. Sono tornata al Sant’Anna e mi sono rituffata nella ricerca, focalizzandomi sulla robotica indossabile cioè sugli esoscheletri”.

Un esoscheletro è un apparecchio cibernetico esterno in grado di potenziare le capacità fisiche di chi lo indossa. Agli ultimi mondiali di calcio in Brasile, per esempio, il calcio d’inizio nella cerimonia d’apertura è stato dato da un ragazzo paralizzato che ha potuto muovere le gambe grazie ad un esoscheletro.

La Carrozza ha scelto di continuare la sua ricerca non all’estero, dove pure era stata invitata, ma a Pisa, perché “qui c’è un clima creativo e libero, uno spirito d’innovazione e di apertura verso tutti. In particolare il settore della ingegneria biomedica alla Scuola Superiore Sant’Anna è molto aperto a noi donne, che rappresentiamo quasi la metà di chi ci lavora: forse è perché permette di unire la passione per la scienza al desiderio, tipicamente femminile, di fare qualcosa di utile per gli altri”.Il sogno dopo la Cyberhand? “Vedere un amputato poter di nuovo allacciarsi le scarpe e portare un bicchiere alla bocca – risponde la Carrozza – oppure un anziano, che era relegato a una carrozzella, riuscire ancora a salire le scale”.

27 agosto 2014Maria Teresa Cometto

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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