Impegnarsi nel business aerospaziale non è semplice, soprattutto se si è dei pionieri. La società – D-Orbit fa proprio questo: nel 2011, l’azienda comasca ha battuto una strada finora lastricata da attori statali e istituzionali, aprendo di fatto il settore New Space a player privati. Oggi la Pmi fornisce prodotti e servizi che vanno alla progettazione allo sviluppo della piattaforma satellitare e fra le sue competenze vanta la rimozione dei detriti spaziali (waste management). Ne abbiamo parlato con Luca Rossettini, CEO e Founder di D-Orbit.
Qual è la vostra vision?
“La nostra vision di lungo periodo è diventare la prima azienda a offrire un’infrastruttura spaziale con servizi di logistica e waste management per ampliare il futuro della space economy. In questo modo, puntiamo ad offrire servizi a tutti i player del settore spaziale. Nel breve termine, invece, D-Orbit assicura agli operatori satellitari di ottimizzare il loro business, trasportando i loro satelliti in orbita e rilasciandoli nella posizione ottimale“.
In sostanza, vi occupate di quello che è chiamato “l’ultimo miglio”?
“Esattamente, è quello che facciamo. Il settore New Space è giovanissimo, non va oltre dieci anni fa. Oggi il ventaglio di servizi è molto ampio. Con l’avvento del nuovo mercato, l’approccio di marketing è cambiato insieme al mercato.
Oggi l’80% della tecnologia che utilizziamo a terra viene dallo spazio e lo scambio è continuo”.
A livello internazionale, avete competitor?
“D-Orbit è stata pioniera di questo mercato. In seguito, diverse aziende hanno mostrato interesse: mi aspetto che, nei prossimi due / tre anni, vi saranno altri operatori. In D-Orbit vediamo la crescita dei player – piuttosto che competitor – come un aspetto positivo: da soli non potremmo coprire il 100% del mercato. Per noi, questo settore è un primo passo, perché – come dicevo – puntiamo ad offrire servizi a satelliti che sono già in orbita“.
Chi sono i vostri clienti?
“Quando abbiamo lanciato D-Orbit, pensavamo che il mercato spaziale sarebbe diventato commerciale. All’epoca, però, le uniche aziende che operavano nel settore, lavoravano nel pubblico. Con il tempo, il settore si è aperto anche ai privati. Eppure, ancora oggi abbiamo clienti istituzionali, come l’Agenzia Spaziale Italiana e l’ESA. Ciononostante, il core business di D-Orbit oggi è sostenuto da società private e molto giovani – nate tra i cinque e i dieci anni fa. Le aziende private trovano loro clienti nel mercato a terra, ai quali vendono le informazioni raccolte dai satelliti. Con l’avvento dei big data, negli ultimi dieci anni l’industria satellitare è stata molto prolifica. Fino al 2014 per 60 anni sono stati lanciati 6.600 satelliti. Nei prossimi anni ne verranno lanciati più di 23mila“.
In Italia a che punto è l’innovazione in ambito spaziale?
“Gli Stati Uniti oggi sono al primo posto, ma non tanto per l’innovazione, quanto per le capacità di finanziamento in un Paese in cui il venture capital esiste da decine di anni. Questo ha permesso investimenti ingenti per molti player. Negli ultimi anni, anche l’Asia sta investendo in aziende innovative nel settore New Space. L’Europa vanta un’innovazione eccellente e sono stati fatti progressi importanti: ma il nostro Continente è indietro per quanto riguarda i finanziamenti. Nonostante questo, negli ultimi mesi l’Italia ha scommesso sul finanziamento ai privati, creando il Fondo Nazionale per l’Innovazione – per un totale di un miliardo di euro. Il nostro Paese ha anche in portafoglio il Primo Space Fund – un fondo italiano focalizzato sugli investimenti nelle tecnologie aerospaziali che punta a una raccolta di 80 milioni -, il primo fondo europeo a investire specificatamente nel settore spazio. Conosco la realtà italiana e sono contento di quanto si riesca a fare in questo Paese”.
In che modo le società New Space possono contribuire a riconfigurare il diritto spaziale, oggi poco regolamentato?
“Le regolamentazioni nel settore spazio sono un punto aperto. Si fa ancora riferimento allo Outer Space Treaty, un trattato creato negli anni Settanta e ratificato da oltre cento Paesi al mondo, che ha valore legale dal punto di vista internazionale, ma va implementato dai singoli Stati. Se alcuni aspetti sono stati adeguati, ve ne sono altri diventati obsoleti. Un esempio, su tutti: oggi è obbligatorio rimuovere un satellite non più funzionante entro 25 anni, eppure con i ritmi di lancio di nuovi satelliti, l’intervallo prima della rimozione andrebbe ridotto. La regolamentazione dello spazio è un processo complesso: non si tratta di decidere all’interno di una nazione, ma a livello planetario. Sfortunatamente, le relazioni fra i singoli Stati rischiano di rendere lo spazio un territorio di scontro per le rivendicazioni singoli. In questo senso, le aziende possono essere da stimolo all’adozione di nuove regolamentazioni. Tornando all’esempio del satellite, diverse compagnie possono ridurre quei 25 anni canonici fissati in precedenza: in questo caso, la rimozione di un satellite non più funzionante in pochi anni permette di contrarre il rischio di danno ad altri satelliti operativi. Il comportamento responsabile di aziende come D-Orbit permetterà agli enti regolamentatori di trovare nuove soluzioni formative”.
L’apporto dei privati nel settore spaziale può ridurre i costi ancora elevati della tecnologia?
“Assolutamente sì, il nostro apporto è quello di abilitare i player del settore New Space a farlo in modo più efficiente. Oggi le aziende deputate al lancio dei satelliti non hanno il finanziamento totale per lanciarli tutti. Questo comporta lo sviluppo di un’area logistica che permetta di ridurre i tempi dei satelliti. Occupandoci dell’ultimo miglio, D-Orbit si propone di ridurre dell’85% il tempo che intercorre dal lancio all’operatività del satellite e del 40% i costi di rilascio dei satelliti. Sono numeri molto importanti. Oggi un satellite costa 400 volte di meno rispetto a quelli di una volta”.
In che modo procedete?
“Noi offriamo al cliente che deve lanciare il suo satellite di farlo attraverso di noi. Abbiamo sviluppato un software con cui il cliente, sulla nostra piattaforma, può comandare e gestire le operazioni. In questo modo, con una frazione dei costi e una riduzione dei tempi, si riesce ad ottenere la validazione della loro tecnologia. Offrendo questi servizi di validazione in orbita, aiutiamo l’innovazione ad entrare in tempi rapidi nel mercato. Non si tratta di beneficenza, ma di aiutarsi a vicenda per permettere all’ecosistema italiano di competere con gli altri player statunitensi e asiatici”.
Le immagini inserite nell’articolo raffigurano:
- Luca Rossettini e Renato Panesi, fondatori di D-Orbit.
- Parte della squadra tecnica con lo ION Satellite Carrier, poco prima che venisse spedito in Guiana francese per il lancio.
- Lo ION Satellite Carrier durante l’integrazione all’interno del lanciatore, nel Guiana Space Center di Kourou.
- Un’illustrazione del secondo modello di ION Satellite, il cui lancio è previsto per dicembre.
- Luca Rossettini, CEO e co-Founder di D-Orbit.