Un tempo si cercava il blogger. Ora l’influencer. E, prima ancora, il giornalista. Le aziende devono comunicare i propri prodotti e così chi si occupa di relazioni con il pubblico parte con un comunicato via mail, una telefonata, l’invito a un evento, poi ancora una-due-tre telefonate o mail finché non ottiene quanto sperato: il fatidico articolo, post o tweet.
Più un “Pr” è bravo, più spazio sui media otterrà. Cioè, visibilità.Ma cos’è cambiato nel passaggio dall’editoria tradizionale a quella digitale, dai giornalisti ai blogger e agli influencer?Due sono le novità sostanziali, a mio avviso:
- una deregulation totale, che non ti fa più capire se sei davanti a un contenuto promozionale o redazionale;
- un ribaltamento del concetto stesso di visibilità, che da scopo dell’azione di pubbliche relazioni si sta trasformando in moneta di pagamento.
Andiamo per ordine.
LA DEREGULATION DEI MEDIA
Al tempo dei giornali, per far sì che il giornalista scrivesse del tuo prodotto doveva esserci una vera e propria notizia, altrimenti spazio non ne trovavi. Questa, almeno, era la regola, poi entrava in gioco anche l’investimento pubblicitario e quindi per un big spender era ed è più facile ottenere spazio, così come era ed è più difficile essere apertamente criticati. È la libertà di informazione bilanciata dalla pubblicità. I giornalisti, i giornali, i direttori, gli editori, l’Ordine… negano tutti, ma non sto scrivendo nulla di nuovo, è come scoprire l’acqua calda. Con la crescita dei blog però questa attività si è totalmente deregolamentata: inizialmente duri e puri dell’informazione e alfieri della libertà di stampa, molti blogger si sono rapidamente trasformati in veri e propri promoter.
Prendete moda e bellezza, per esempio: i blog che se ne occupano, con successo perché hanno modificato il linguaggio, ricevono regolarmente in cambio soldi, regali, inviti, prodotti. E parlano (bene) di quel che ricevono, disinteressandosi totalmente di obiettività e indipendenza.
Grave?Sottolineo soltanto che in molti fanno un enorme lavoro di produzione di contenuti promozionali sostanzialmente gratis (i blog che ricevono soldi sono una micro goccia in un mare di regalini, campioncini, inviti in novantesima fila…).
LA VISIBILITA’ COME MONETA DI PAGAMENTO
Il punto è che molti blogger e influencer, considerata la concorrenza crescente e continua, per esserci farebbero di tutto. Cioè: per essere i primi a farsi fotografare con quel vestito, a provare quella crema, a utilizzare quello smartphone, a fare sette chilometri su quell’auto o a raccontare com’è nato quel servizio perché “io l’ho testato in anteprima” sono disposti a qualsiasi cosa.
Rinunciano a un compenso, scrivono in maniera entusiasta/promozionale e non si preoccupano se sono o meno obiettivi, impiegano tempo: tutto per ottenere visibilità nei confronti di comunità più ampie, follower, magari anche solo amici o parenti.
Accade cioè che ci sia un corto circuito: il pr che un tempo pagava per ottenere visibilità, ora paga offrendo visibilità.
Nell’epoca del post giornalismo, il blogger e l’influencer producono contenuti su un prodotto e li promuovono non per professione o per denaro, ma per ottenere più visibilità. Per essere… più fighi. E il pr sorride: può vantare una “rassegna stampa” pesante senza necessità di investimenti, specie se lavora per un brand noto. Ma, visto che il gioco funziona, anche i marchi sconosciuti seguono la stessa via, sia per le pr sia per testare nuovi servizi e prodotti. E, a chi domanda qual è il fee, viene risposto in maniera quasi stizzita che no, non è previsto nessun pagamento, perché mai dovrebbe esserlo, in cambio si offre visibilità.
Pr e aziende ci provano. Grave?Sottolineo soltanto che sono molti i blogger e gli influencer contenti di pubblicizzare gratuitamente prodotti e servizi sulle loro pagine e account, impiegando intere giornate per uno scatto, un test, un sorriso. Evviva la visibilità, allora, sperando che un giorno serva anche per pagare bollette, affitto e spesa: “Cappuccio e brioche”. “Fanno… un post e due tweet. Oh ma usa l’hastag giusto! Se no domani ti do quella con la marmellata avariata”.
Milano, 4 marzo 2014Alessandro Rimassa