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Da una cultura dei simboli a una cultura dei surrogati (digitali)

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Non valutiamo più la qualità degli alberghi di persona, ci affidiamo a TripAdvisor. Possiamo non averla mai incontrata, ma con quella persona siamo “amici” su Facebook. Possiamo cliccare “like” ma coinvolgerci solo in qualche forma di slacktivism [“l’attivismo fannullone”, ndr]. Non è importante se non sappiamo dove sia quel posto in centro fintanto che possiamo accedere a Google Maps e seguirne le istruzioni per arrivarci. Cinque stelle su Amazon possono bastare per convincerci della qualità di un prodotto, anche se non lo abbiamo mai provato. Essere un “best seller” nella lista del New York Times è spesso una profezia che si autovvera.

Credits: manualcreative.com

In tutti questi casi, qualcosa, (il significante), significa qualcos’altro (il significato). Questo “significare” si trova al cuore di ogni processo semiotico.

È l’immensamente importante relazione “di stare per qualcosa.” Non esiste senso, riferimento o significato al di fuori di essa.

Così abbiamo sempre utilizzato differenti tipologie di mezzi semiotici per produrre e veicolare significati, per interagire fra di noi e col mondo e dare senso agli uni e all’altro.

Siamo una specie simbolica, dopotutto, e tutta la filosofia del ventesimo secolo – orientata all’ermeneutia o alla filosofia del linguaggio – può essere facilmente letta in termini di teoria del significato. Tutto questo è ovvio anche se complicato.

A PROXY CULTURE

Il punto qui è che solo la nostra cultura, quella che caratterizza le moderne società dell’informazione, sta evolvendo da una cultura di segni e significati a una cultura di proxy e interazioni. Qua è la differenza? Perché accade oggi? E quali sono le implicazioni di tali importanti trasformazioni? Per rispondere a queste domande bisogna capire meglio cosa sia un proxy (delegato o sostituto) e cosa possa essere un proxy “degenerato”.

Iniziamo dal concetto di proxy. Nella chiesa Cattolica Romana un vicario è il rappresentante o il vice di un vescovo. Tale ruolo, e la nostra antica familiarità con esso, conduce all’idea che è “vicario” qualcosa “che agisce o viene fatto per un altro” da cui discende il concetto di sostituzione, di “interposta persona”, di “qualcosa fatto per (al posto di) qualcun altro”. L’idea del proxy è simile. La differenza principale è che le sue radici sono politiche, non religiose, e per questo risulta essere la contrazione del tardo inglese “procuracy” che significa “un’azione legittima presa al posto di e per conto di, un altro” in un contesto di governo oppure all’interno di una qualche struttura socio-politica (ad esempio, si può essere sposati dal proxy di qualcuno).

Oggi, in un vocabolario influenzato più profondamente dalle tecnologie dell’informazione che dalle idee politiche e religiose.

Il termine “proxy” evoca più facilmente l’idea di sistemi (i.e. un sito web) che accettano la richiesta di fornire servizi trasferendoli ad altri sistemi (i.e. internet).

Ma il significato e l’esperienza sottostante sono ancora molto simili. “In maniera vicaria” o “per delega di”, qualificano azioni che sono possibili in quanto qualcosa rappresenta e sostituisce (agisce o si comporta “in vece” di) qualcosa d’altro.

PROXY DEGENERATI

Consideriamo adesso il concetto di “degenerazione della delega”. Sfortunatamente “degenerato” ha acquisito un significato negativo, un significato valoriale che in sè non dovrebbe trasmettere. In questo contesto intendo usarlo in un senso puramente matematico, in relazione al fatto che un caso di degenerazione è un caso limite in cui un oggetto cambia la sua natura per acquisirne un’altra, di solito più semplice; per esempio, un punto è una sfera degenerata senza volume che si ottiene quando il raggio della sfera raggiunge lo zero. Possiamo adottare questa cornice concettuale per chiarire il concetto dei “proxy degenerati”

Iniziamo con il definire P come un proxy di R se, e solo se, P ha una duplice relazione, che chiameremo vicara, con R: P rimanda a R e agisce in sua vece.Se P ha una relazione vicaria con (cioè è un proxy di) R con una relazione di agire in sua vece pari a zero, allora P è un proxy degenerato che semplicemente rimanda a R, ma non può sostituire R. Simili proxies degenerate sono detti segni. Se invece P ha una relazione di rimando a R pari a zero, allora P agisce invece di R, senza riferirsi ad esso. Questi proxy degenerati sono detti surrogati. Fatemi spiegare.

Secondo l’analisi classica di Charles Sanders Peirce, è possibile distinguere fra tre tipi di segni. Le icone sono segni che assomigliano a ciò che rappresentano, per esempio, la fotografia di una nuvola nera è un’icona. Gli indici sono segni correlati a ciò che rappresentano, per esempio, le nuvole nere sono un indice di pioggia imminente. Infine, I simboli sono segni che denotano una certa realtà in virtù di certe convenzioni, per esempio, la parola “nuvola” è un simbolo che denota un particolare fenomeno meteorologico. In ognuno di questi casi, I significanti – la fotografia, le nuvole nere, la parola “nuvola” – hanno una relazione di rimando più o meno complessa rispetto ai loro referenti (a ciò che rimandano), ma hanno in comune il fatto che nessuno di essi può agire al posto di o in vece di essi. In altre parole, si tratta di proxy degenerati che hanno un grado zero di relazione sostitutiva rispetto ai loro referenti.

DA UNA CULTURA DI SIMBOLI A UNA CULTURA DI SURROGATI

Sembra esistere in ogni cultura uno stadio universale in cui i proxy degnerati sono erroneamente scambiati per proxy, attraverso una magica interpretazione dei segni. A icone, indici, e simboli viene attribuito il potere di sostituire ciò a cui solo rimandano e da qui sono trattati come se fossero dei veri proxy, dei veri sostituti.

Cosicchè, per esempio, ciò che si fa alla fotografia di un individuo (icona), dovrebbe influenzare la persona ritratta; salassarla, anche nel rarissimo caso in cui ciò sia provocato dall’ipertensione (indice) dovuta a un disturbo cronico, dovrebbe curare la malattia; e maledire il nome della persona (simbolo), dovrebbe essere il modo per farle del male. Il dibattito teologico sulla transustanziazione – la conversione di vino e acqua nel sangue e corpo di Gesù Cristo nell’Eucarestia – è un dibattito che discute se pane e vino siano sostituti genuini (proxy) o sostituti degnerati (proxy degenerati), cioè segni, della presenza corporea di Cristo.

Abbiamo visto che abbiamo un differente tipo di proxy degnerato quando la relazione vicaria ha un grado zero di rimando, trasformando il proxy in un surrogato.

Prendiamo ad esempio il caffè di cicoria. È un classico sostituto del caffè che non contiene caffeina ma che è usato per imitare e sostituire il caffè. Il caffè di cicoria di solito non ha una relazione semiotica di rimando al caffè come invece una raffigurazione (icona), un odore (indice), o un nome (simbolo) possono avere. Esso ha una relazione sostitutiva col caffè in quanto si può bere un caffè di cicoria al posto del caffè vero e proprio, in teroria senza senza neanche sapere che si tratti di un surrogato.

Per riepilogare, i proxy sono pragmaticamente qualcosa di più dei segni perché si tratta di significanti che stanno al posto del significato e si può interagire con essi invece che col significato stesso. Ma, dal punto di vista epistemologico, I proxy sono qualcosa di più dei surrogati, perchè i significanti con cui è possibile interagire si riferiscono ai significati che sostituiscono, rendendo ancora possibile percepire la differenza.

Non siamo mai stati dotati di poteri magici perchè i segni sono proxy degenerati, tuttavia è proprio quello che diventiamo grazie alla proxy culture.

Questo è il rischio per chi scambia gli effetti magici – la possibilità di interagire coi proxy che adesso sosttuiscono i propri referenti – con spiegazioni magiche (soprannaturali, paranormalei, etc.).

Ne consegue che la semiotica, lo studio dei segni, è in realtà lo studio di un solo tipo di proxy degenerati, cioè una branca della “proxologia”, una disciplina ancora da sviluppare in grado di studiare l’intero campo dei proxy, compresi quelli degenerati come i segni e i surrogati, al pari dei proxy nei contesti sociali (ad esempio nelle strategie di segnalazione). E siccome i segni sono proxy degnerati, è lecito considerare la nostra cultura del proxy come uno sviluppo diretto della cultura semiotica e simbolica, basata sui segni, e alimentata nel recente passato dai mass media.

La differenza è che nel mondo newtoniano dei consumi analogici offline in cui l’acquisto e il consumo di beni materiali era largamente predominante, i proxy erano difficili da sviluppare e meno necessari per interagire con l’ambiente. Tuttavia, oggi che viviamo sempre più online, nell’infosfera, completamente immersi in un abissale mare di dati, in un contesto in cui l’affitto e l’utilizzo di servizi è tanto importante quanto l’acquisto di beni materiali i proxy sono sia facili da ottenere sia necessari da usare perché condividono la natura digitale dei loro referenti.

L’UMANITÀ RAGGIUNGERÀ I 35 ZETTABYTE DI DATI NEL 2020

È facile avere una qualche forma di struttura informativa che stia al posto di e in vece di un’altra struttura informativa, esattamente come è facile avere la stessa “roba” digitale che funziona sia come dati sia come software. Questa uniformità tecnologica ha facilitato l’emergenza di una cultura dei proxy e l’ha resa vitale per la soluzione dei problemi che tale cultura pone, auto-rinforzandola. Si stima che l’umanità abbia accumulato poco meno di uno zettabyte di dati nel corso della sua intera storia fino al 2009, ma questi numeri hanno raggiunto gli 8 zettabyte quest’anno e raggiungeranno i 35 entro il 2020. È pur vero che molti dei dati che ci circondano possano essere inutili o insignificanti ma esiste pur sempe una sbalorditiva e costante crescita di informazioni disponibili oggi, su ogni argomento e su ogni suo aspetto. Ciò significa che è progressivamente più difficile navigare l’infosfera senza affidarsi ai proxy e, allo stesso tempo, i proxy non sono semplicemente la soluzione ma parte del problema, dato che essi stessi sono fonte di dati ulteriori per cui saranno necessari altri proxy.

Il risultato è che la distanza tra di noi e la realtà significata cresce rapidamente come pure la necessità di accorciarla attraverso altri significanti con i quali possiamo interagire efficacemente.

I segni e le “significazioni” sono fenomeni cruciali per ogni cultura, ma solo la nostra è una cultura dei proxy perché solo adesso la quantità ha prodotto una significativa differenza qualitative, mentre la tecnologia ha reso possibili genuine relazioni vicarie alla stregua di esperienze ordinarie.

Ci sono dei rischi inevitabili in tutto ciò. Come ho già sostenuto, possiamo confondere segni per proxy e cadere in qualche forma di occultismo. Oppure possiamo scambiare i surrogati per proxy e affidarci a un qualche tipo di “superficialismo”.

Nello stesso modo in cui una cultura basata sui segni può diventare una cultura meramente autoreferenziale, in cui le parole si riferiscono alle parole in maniera ricorsiva senza mai raggiungere i loro referenti non-semantici, così una “proxy culture” può diventare una cultura dei surrogati, in cui i proxy diventano meri rimpiazzi che non solo nascondono i loro riferimenti orginari (il “vero” caffè), ma che rendono anche difficile o impossibile recuperarli in quanto li sostituiscono completamente senza nessuna connessione residua al referente originarionario. Un mondo senza caffè alla cicoria non è per forza un mondo migliore; ma un mondo in cui c’è solo il caffè alla cicoria è un mondo peggiore e più superficiale.

GRAZIE ALLA DELEGA DIGITALE VIVIAMO IN UNA CULTURA AUMENTATA

Allo stesso tempo, una cultura basata sui proxy è una cultura aumentata che offre maggiori e migliori opportunità per il nostro sviluppo. Poiché i proxy hanno in sé stessi il potenziale di rendere possibili esperienze ed interazioni prima inimmaginabili o impossibili (per esempio Etsy ed Amazon hanno reso possibile vendere e comprare online e a livello globale merci fatte a mano, non solo localmente e offline). È bene ricordare che in statistica un proxy è una variabile che è irrilevante per sé stessa, ma funziona al posto di un’altra variabile che non è osservabile né misurabile. Se i proxy possono servire da ponte verso spazi esperienziali dell’esperienza inaccessibili o anche solo difficilmente accessibili, allora la nostra cultura basata si proxy sarà una cultura aumentata e migliore.

Siamo la generazione anfibia che si sta muovendo muove dall’ambiente analogico a quello digitale. Nessuna generazione prima della nostra è stata mai forzata ad adattarsi in maniera così drammatica a cambiamenti tanto profondi e in un lasso di tempo così breve.Parte della nostra evoluzione riguarderà proprio il modo in cui progettiamo i proxy che popoleranno l’infosfera e medieranno le nostre esperienze; come impareremo a interagire con essi in maniera salutare; come controlleremo quelli che ne saranno responsabili. Che la nostra diventi una cultura aumentata, invece che una cultura superficiale è una delle sfide con cui ogni società matura deve confrontarsi.

LUCIANO FLORIDI

Oxford, 26 Ottobre, 2015

* Traduzione e adattamento editoriale dal post originale in inglese dell’autore.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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