La modalità di frequentazione del prossimo anno scolastico sembrerebbe destinata a diventare part-time. Il condizionale è d’obbligo visto che ogni giorno viene annunciata o smentita una novità ma la presenza alternata di prof e studenti nelle classi, con il resto del confronto da remoto, appare la soluzione più realistica vista la minaccia dell’ondata autunnale di Covid, le difficoltà dei genitori nel gestire appartamenti diventati spazi di coworking e la consapevolezza del Miur del ritardo accumulato nella didattica a distanza (DAD) dalla scuola dell’obbligo. Quanti dei quasi 50mila istituti italiani, alcuni già pericolanti dal punto di vista strutturale, sono riusciti a riconvertirsi online senza sacrificare la didattica?
Dati e opinioni degli studenti
Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Generazione Proteo, appena condotto su 3mila studenti tra 16 e 19 anni, solo il 36% ha promosso l’esperienza con la DAD: non per motivi affettivi legati alla mancanza dei compagni e di un luogo che era una seconda casa, ma per l’impreparazione riscontrata nell’istituzione scolastica nel fornire una preparazione adeguata.
C’è chi si è sentito lasciato a se stesso, e alla famiglia. Siamo sicuri che l’alfabetizzazione digitale abbia penetrato un sistema che coinvolge quasi 8 milioni e mezzo di studenti (di cui solo un milione iscritto alle paritarie) e 800mila docenti (più il personale Ata), e che tutti dispongano davvero di computer e connessioni adeguate? Altrimenti il rischio è l’esclusione di fasce deboli e minoranze: disabili, residenti in zone rurali, figli di migranti sottopagati e nuovi poveri che, nonostante lavorino, faticano a mettere insieme uno stipendio.
Discorso diverso per quanti arrivano all’istruzione universitaria, circa un milione e mezzo, dotati di mezzi e competenze informatiche. Per diversi indirizzi possono contare da oltre un decennio sulle università telematiche: in Italia sono 11 frequentate da circa 80mila giovani, la più nota è Pegaso con sede a Napoli. La “formula mista” remoto/presenza che informa la loro didattica potrebbe fungere da modello per istituti primari e secondari di ogni grado. Tanti ragazzi durante il lockdown hanno discusso la tesi su Skype, Zoom, Microsoft Teams; per gli atenei è stato più facile trasferirsi in rete e infatti hanno già comunicato che non riapriranno prima del 2021.
L’università di Modena e Reggio Emilia ha tradotto e sottotitolato le lezioni nella lingua dei segni; la Cà Foscari di Venezia ha inaugurato una rubrica di interviste sui social per orientare le matricole nel percorso.
Milano-Bicocca ha pensato ai possibili disturbi emotivi dei suoi iscritti dovuti alla pandemia, aprendo uno sportello telematico di aiuto psicologico e un altro di sostegno scientifico a maestre e maestri delle scuole dell’infanzia e primarie, il cui compito è ancora più ostico per la tenera età dei bambini. Altro esempio di una possibile didattica circolare, rivolta ai “fratelli minori” rimasti indietro, che parta dall’alto per colmare a cascata il gap informatico dei livelli inferiori (della cui capacità formativa il mondo accademico si è sempre lamentato), favorendo così una continuità tecnologica, trampolino di lancio per il salto qualitativo nei master e nei dottorati.
Come il progetto dell’università di Torino di video lezioni formato “flipped classroom”, l’approccio pedagogico che capovolge il ciclo di apprendimento cattedratico lezione frontale/studio individuale/verifiche in classe: la lezione, da seguire sulle piattaforme online, diventa il compito a casa e in aula ci si dedica a dibattiti e laboratori.
I vantaggi della Didattica a distanza
Proprio da qui si può partire per bilanciare il pericolo di allargare le disuguaglianze con i molti vantaggi che tuttavia comporta la DAD. La fiducia concessa allo studente, più al riparo in camera sua dal pungolo del prof e dallo spauracchio dell’interrogazione, la responsabilizzazione derivante dall’essere meno seguito e l’autonomia che informa la teledidattica sono fattori motivazionali non indifferenti nello sviluppo del senso del dovere, nello stimolo a farsi protagonista del proprio iter formativo, nell’esercizio di quegli skill digitali ineludibili per realizzarsi professionalmente domani.
L’imprinting a pc e smartphone, iniziando in tenera età, è bene sia disciplinato e condotto anche dai professionisti dell’educazione oltre che dai genitori. Tra tante fake su internet c’è, per ogni materia, un archivio gigantesco di libri e documentari consultabile gratuitamente. Sarebbe interessante a tal proposito redigere in classe una guida alla navigazione in Rete che selezioni le fonti rigorose su cui approfondire e documentarsi: la collana Youtube BIGnomi su vita e opere dei grandi scrittori raccontate dalla voce di attori famosi; British Council offre quiz di grammatica, ascolto, scrittura e ampliamento del lessico per l’inglese; Audiolibri copre tutte le discipline ed è anche in francese; su Raiscuola non serve nemmeno registrarsi per accedere a centinaia di programmi e cartoni educativi. Anche per i docenti, costretti in parallelo a rimodulare in tempi record il loro metodo, c’è una miniera di risorse multimediali a costo zero: la piattaforma Classroom su G Suite di Google; i tutorial sul sito Indire, anche per l’età prescolare; i webinar Cnr sulla DAD inclusiva, per gli operatori impegnati in contesti problematici.
Alcune esperienze in giro per l’Italia
Nel mondo “reale” non mancano eccezioni virtuose già in opera, in piccoli e grandi centri: i ragazzi del liceo scientifico Avogadro di Roma sono diventati videomaker, girando e montando dei corti sul tema Coronavirus; quelli della media Anzani di Cantù hanno incontrato in videocall gli autori dei romanzi letti insieme; i docenti del Sesto Properzio di Assisi già dal 2017 hanno creato una task force interna per l’innovazione digitale. Sono una miriade le esperienze di “scuola senza scuola” riportate dai media in questi mesi, che agli strumenti tradizionali affianca dirette Facebook e scambio di file su Whatsapp.
Alcuni svantaggi della DAD
Una didattica integrata, che sta spontaneamente arricchendo un tesoro di acquisizioni in prospettiva della loro spendibilità in un mercato del lavoro che guarda sempre più a internet. L’Agenzia per l’Italia Digitale ha da poco diffuso un manuale pratico per la creazione di documenti accessibili da monitor, in cui l’utente può personalizzare la formattazione, con piccoli accorgimenti grafici che fanno la differenza nella leggibilità e nella comprensione del messaggio: evitare spaziature tra righe e caratteri troppo piccoli, preferire font chiari e regolari, garantire un contrasto cromatico adeguato tra testo e sfondo, no alle schermate troppo dense. Siamo solo all’inizio e si tratta ancora di sperimentare, nessuno ha la ricetta in tasca.
Che nella transizione dalla comunità alla community, ricreando l’ambiente formativo nell’aula virtuale, ne soffra la qualità del rapporto umano con coetanei e professori è indubbio quanto, ahinoi, ineluttabile. Tutti ci auguriamo che ad allarme rientrato un luogo di crescita così simbolico, che resta nei ricordi tutta la vita, contempli il digitale soltanto come una risorsa in più rispetto al contatto fisico. Infatti, pur restando alta la guardia contro il Covid-bis, la rinuncia alla scuola vera non è totale. Ma per ridurre gli alunni in classe, estendendo la frequenza al sabato e al pomeriggio, o si modifica il monte ore e si accorpano alcune materie, o si deve raddoppiare di netto il corpo docente.
I 62mila posti in palio nei tre concorsi lanciati dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina – insormontabili per il programma di prove, per nulla vertenti sulle conoscenze multimediali – difficilmente rimedieranno alla cronica carenza di insegnanti senza l’aggiornamento delle graduatorie di III fascia, l’ancora di salvataggio a cui aggrapparsi ad anno in corso, al momento rinviato al 2021. La riqualificazione online di strumenti e organici – mantenendo nel frattempo vive le strutture, anzi trovandone altre per ottemperare alla turnistica – comporta per la scuola un’uscita aggiuntiva anziché un risparmio. A differenza di tutti gli altri settori pubblici, che calcolano di guadagnarci tanto da poter dismettere degli edifici per rifocillare le casse dello Stato. L’e-learnig non è stato certo scoperto con la pandemia, la scuola ha perso tempo e investirci ora è una necessità improrogabile.