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Dal G20 di Brisbane un nuovo business dall’innovazione sociale

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A Brisbane, in Australia, subiranno anche il ritardo del fuso, ma gli spazi d’interpretazione delle verità emerse dal primo Innovation Hub organizzato in occasione del summit che riunisce i leader dei Paesi più importanti al mondo, sono praticamente tendenti allo zero. Il ‘G20 Innovation Hub’, che anticipa l’arrivo dei leader mondiali al Summit, rappresenta un appuntamento unico per l’ecosistema internazionale impegnato nello sviluppo dell’innovazione sociale e dell’impact investing, presentando le esperienze più significative di social business per condividere e valorizzare le migliori pratiche internazionali.

Il tema è di frontiera: “Beyond business as usual”, per un dibattito incentrato sulle modalità con cui l’innovazione sociale, finanziaria e di business può diventare lo strumento per creare nuovo valore d’impatto sociale ed economico, trasformando le buone pratiche in standard d’azione governativa e finanziaria.

Il vocabolario è intriso di un futuro, apparentemente, incomprensibile: co-design, payment by outcomes, impact investing, building capacity, collective impact, shared value, social procurement e sharing economy solo per citare alcuni dei capisaldi della prossima ondata di potere nel mondo. Poco giornalistico entrare nei tecnicismi per quanto anacronistico non saper cogliere il significato del nuovo sistema di governo del territorio locale e della comunità globale. Non più persone a cui risolvere un problema o destinatari di un servizio assistenziale. Si tratta, invece, di cittadini (utenti) a cui garantire la tenuta di una nuova infrastruttura sociale.

Ebbene sì, il paradigma è cambiato: la tecnologia per il sociale, le persone per l’innovazione, la comunità per il governo.

Tutto e subito, governerà meglio chi riuscirà – prima – a gestire i prossimi fondi strutturali ad alto impatto (e visibilità) internazionale; vivrà meglio chi – presto – investirà nell’efficacia dell’infrastruttura sociale più che nella quantità del servizio erogato; guadagnerà – realmente – chi sosterrà il processo di up più che lo start delle nuove imprese.

Un’immagine dalla fanpage del G20 Innovation Hub

Nuova la terminologia: non si parla più soltanto con gli innovatori, ma si preferisce corteggiare gli agenti del cambiamento (changemakers): autentici ingegneri sociali, interpreti dei fabbisogni contemporanei di cittadini globali, che vivono in comunità in continuo cambiamento. Il flusso di informazioni, è sempre più aperto e integrato e trasparente in cui non esistono indizi, ma prove grazie a cui i conti tornano sempre. La parola sprechi è bandita, e parlare del loro taglio appare quasi un ritardo vizioso.

Si fa così strada, con forza, la cultura del “design del servizio” i cui cittadini, organizzati in comunità d’interesse e di prossimità, diventano autori di una serie di iniziative che contribuiscono a riconfigurare la società attraverso il loro diretto coinvolgimento e responsabilizzazione.

Tali iniziative possono essere attribuite alla recente crisi economica, che ha motivato le persone a ricercare soluzioni meno costose per le loro necessità attraverso nuove forme di attivismo e condivisione.

Si progettano nuovi beni e servizi collaborativi in cui gli utenti finali sono attivamente coinvolti, diventando produttori d’innovazione.

Il processo trasforma così un’iniziativa in un servizio fruibile a più persone, passando anche da una fase di sperimentazione, che innesca una rapida interazione delle idee fin dalla prima loro generazione. Il risultato prevede la crescita del progetto tra portatori di interesse, con alla base nuovi processi di innovazione tecnologica e produttiva emergenti dal basso e sviluppati prima internamente – in piccola scala – e successivamente estendibili in larga scala, anche globale. Nascono così i social makers: non prettamente portatori di voti ma connessioni “certificate” sull’innovazione proposta e sul nuovo consenso (e dissenso) generato, inediti e ancora sconosciuti corpi intermedi.

Alla luce di queste considerazioni il compito per istituzioni e corporate è la strutturazione di un nuovo sistema di governance con cui avviare politiche economiche (e digitali) in grado di sostenere la nascita di una nuova economia civica, per noi di ItaliaCamp ribattezzata come Economia delle Soluzioni (come già condiviso con Governo e parti sociali). Come e quando accadrà tutto questo? Al G20 Innovation Hub siamo ancora al primo giorno di lavoro.

FABRIZIO SAMMARCO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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