Oh, la Baia, il Golden Gate Bridge, Ocean Beach, la San Francisco dei grandi spazi…Macchè. Uno sgabuzzino. Lungo poco più di due metri. C’è posto appena per un materasso e lo strapuntino per un telefono.
Sul materasso, un ragazzone alto poco meno di due metri. Vivere nello sgabuzzino è un insuccesso che rischia di… dargli alla testa: un paio di bernoccoli, prima d’imparare a non alzarsi di scatto, visto che è in un sottoscala, col soffitto spiovente; un’emicrania la prima volta che dorme un po’ troppo, scoprendo che l’autonomia d’aria lì dentro è di sette ore, dopo di che si soffoca.
In meno di due anni, quel ragazzone è passato dallo sgabuzzino ad una cena a casa Zuckerberg, dopo aver lanciato una startup acquisita in poco tempo da Facebook.
Prima però aveva dovuto affrontare una sfida quasi impossibile, “Davide contro Golia”, vinta dormendo in quello sgabuzzino, su quel materasso, con i piedi che sporgevano.
Com’è stato possibile, Andrea Vaccari, trent’anni veronese, intervistato da Riccardo Luna l’ha spiegato venerdì scorso, ospite d’onore all’evento CheBanca GrandPrix Fin-Startup Program organizzato in collaborazione con Polihub e StartupItalia! Rievocando la sua avventura con Glancee.Un’emozione in più per me, che l’avevo conosciuto a Roma, entrambi speaker all’edizione 2009 di Frontiers of Interaction, dov’ero rimasto basito, scoprendo che quello che a me era sembrato uno studente di belle speranze – aveva laurea al Politecnico di Milano e Master alla University of Illinois Chicago (dove poi è arrivato al Dottorato) – era già stato ricercatore al Massachusetts Institute of Technology e Visiting Scientist al Santa Fe Institute!
Ritrovato l’anno successivo, mentre era diventato pure Software Engineer Intern a Google, avevo raccolto in un video la sua idea di sociologia digitale, senza immaginare lontanamente che presagio straordinario sarebbero state quelle parole.
“La gente e le tecnologie vengono sempre pensate come due elementi quasi contrapposti e si pensa all’interazione solo in una direzione. La verità è che l’interazione avviene in due direzioni e la seconda, che va dalla tecnologia e torna verso le persone, è quella che è meno esplorata ma forse più interessante ancora…”
Era solo l’embrione di un’idea, alla base di quella diventata l’anno dopo una startup con un’ app per aggregare tramite geolocalizzazione persone con interessi simili e capace di sfondare al punto da essere acquisita da uno dei colossi mondiali del web. A metter le ali a quell’idea, la decisione di tentare la fortuna a Silicon Valley.
Un paradiso, per le start up? Potrebbe essere anche un inferno, deve aver pensato Andrea, arrivando da Chicago nel 2011 con la macchina carica e i soldi contati.
Perché attraversato il Bay Bridge, la prima immagine che gli si fissa in mente di San Francisco non sono i colori dei murales di Mission o i locali vivaci di North Beach ma la quantità di homeless per la strada. E cerca di scacciar via un pensiero poco allegro. “Chissà…. finiremo pure noi a dormire sotto un ponte?”.
Il pericolo all’inizio è scongiurato grazie ad una felice coincidenza: una famiglia di emigrati per qualche mese deve far ritorno nel Corno d’Africa e cerca qualcuno che badi alla casa in cambio di un affitto simbolico. Col suo curriculum e l’aria da bravo ragazzo lui li convince: è fatta! Glancee parte da quella casa, in cui si trasferisce con i soci, qualcuno costretto a dormire nella cameretta rosa delle bambine, i cassetti ordinati con le etichette: “Calze”, “bambole”… Si lavora giorno e notte, Andrea nel frattempo impara a proprie spese che nel singolare lessico dei venture capitalist.
“Maybe non significa forse, vuol dire no”.
La scena si ripete decine e decine di volte. Lui presenta Glancee, nessuno gli dice no ma “Maybe”. Senza sganciare un dollaro. Perché gli investitori non temono solo di perdere i propri soldi, racconta, hanno anche paura che quell’idea che non li ha conquistati diventi la prossima Facebook, un successo colossale che gli è passato sotto al naso senza che l’afferrassero. E allora non dicono no… Ma di “maybe” in “maybe”, arriva il 28 dicembre, i padroni di casa tornano dall’Africa e Glancee non ha più una sede.
I due soci si trasferiscono dalle rispettive ragazze, lui nello sgabuzzino di due metri quadrati e mezzo. E il morale non è alle stelle. Senza un posto in cui condividere lo sforzo, Andrea deve pure riuscire a tener agganciati al suo sogno i due compagni d’avventura, ai quali le ragazze ripetono in continuazione: “Devi trovarti un lavoro vero!”. Lui intanto continua a incontrare venture capitalist, ogni volta in un caffè con una scusa diversa “perché la sede è occupata”… senza svelare ovviamente che la sede è in un pertugio sottoscala con materasso sul pavimento. Così non può continuare, bisogna che Glancee conquisti un po’ di visibilità, che qualche giornale cominci a parlarne, pensa Andrea, quando arriva la mazzata. TechCrunch, bibbia dell’hi-tech, dedica un articolo dai toni esageratamente elogiativi… ad Highlight concorrente molto più consolidata di Glancee.
Potrebbe essere il colpo di grazia per i sogni di Andrea e del suo team. Invece è l’occasione della vita. “Where there is the will there is the way”, dice un vecchio proverbio inglese, che ripete spesso il mio amico Cesare Marino, per spiegare come più di trent’anni fa da giovane laureato in antropologia all’Università di Padova sia riuscito a diventare uno dei massimi esperti mondiali d’indiani d’America allo Smithsonian Institution.
Dove c’è volontà c’è una via… forse in quel momento Andrea non ha immaginato cosa sarebbe successo. Ma come raccomandava Steve Jobs ha semplicemente seguito il cuore e l’istinto, facendo la cosa giusta: scrivere di getto un commento molto duro a quell’articolo, con i link non solo a Glancee ma anche ad altre applicazioni che fornivano servizi simili e che erano state ignorate. Il colpo di genio però è quello di sfruttare la forza della Rete, riuscendo a dare visibilità al suo commento rivolgendosi alla community del gruppo Italian Startup Scene fondato da San Francisco dal bravo Stefano Bernardi. Sostegno che non si è fatto attendere: i “like”, superiori a quelli dello stesso articolo, fanno schizzare in alto il commento, l’autore assicura interesse per Glancee e questo innesca un micidiale passaparola su quella sfida tecnologica, rimbalzato sui grandi quotidiani USA. Per Andrea arriva pure l’invito ad una rassegna di prestigio, il SXSW, South by Southwest.
Già, ma come andare a Austin e con quali soldi? Alla fine, un volo a prezzo stracciato e orari impossibili, un posto letto a casa di un conoscente, rintracciato proprio attraverso Glancee, il ragazzone veronese nel lettino della cameretta della figlioletta, costretta a spostarsi sul divano. Quella ribalta fa salire alle stelle l’attenzione per la sua startup, che sbaraglia la concorrenza, pur restando con la sede ancora…in uno sgabuzzino. Si fanno vivi in tanti, compresi Fourthsquare e persino Google.
Andrea però cerca un interlocutore che non si accontenti di acquisire Glancee ma che ne condivida la visione, con l’intento di farla crescere. Lo trova in Peter Deng, manager di Facebook. Ne parlano a lungo, poi l’incontro con Mark Zuckerberg, che durante una passeggiata nel campus Facebook gli chiede: “Perché avete avuto l’idea di Glancee?”: “Volevamo crescere così tanto da acquisirvi!”, spara Andrea, che si era preparato una risposta a effetto, scoprendo che il sense of humour del fondatore di Facebook non è il suo e Mark non ha capito che si trattava di una battuta! Poco male, dopo altri colloqui, finisce che è Andrea a tentennare e loro a cercare di convincerlo a firmare. Cosa che fa, in cambio di una cifra non precisata. E’ così che arriva pure a cena a casa Zuckerberg, mentre Glancee viene ritirata come app e diventa un prodotto in progress di Facebook, dove lui oggi lavora da quasi un paio d’anni.Fa ancora più effetto, la storia di successo di un giovane imprenditore italiano partito da uno sgabuzzino, raccontata in un’elegante sala gremita nella sede Mediobanca, da decenni cuore della finanza italiana più esclusiva. Magari pure questo è un presagio, capace di ispirare e dar la carica ad altri giovani imprenditori di domani, capaci d’inventare il futuro. Cosa che ad Andrea sembra oggi stare a cuore, non meno del suo lavoro a Facebook.