Pochi giorni fa ero a l’ultima edizione del Forum Europeo sul Design delle Organizzazioni (EODF). E’ stata la mia seconda edizione finora – l’anno scorso ero a Milano per l’edizione organizzata da Cocoon Projects. Ero lì quest’anno soprattutto perché l’edizione 2015 era stata estremamente interessante per me e aveva ha suscitato in me un sacco di riflessioni sul significato radicalmente in cambiamento del ruolo delle organizzazioni (e delle istituzioni) in generale. Inoltre, gli ultimi sviluppi della ricerca sul Platform Design Toolkit mi hanno portato a pensare sempre più alle organizzazioni come piattaforme e a e aiutare chi, nelle organizzazioni, si occupa di risorse umane, crescita e sviluppo a cercare di progettarle in questo modo. Da un lato, i cosiddetti networked businesses (le piattaforme) appartengono ad una forma radicalmente nuova di organizzazione: hanno un rapporto estremamente basso tra dipendenti e collaboratori esterni e fanno ampio uso di algoritmi e dati per modellare il comportamento di grandi (eco)sistemi.
D’altra parte, gli incumbent storici – attualmente spesso basati su paradigmi di management tradizionale, verticale – rappresentano spesso sistemi sociali talmente complessi, con una tale diversità di competenze e capacità, che guardarli come ecosistemi (che includano anche i clienti e le organizzazioni partner) diventa essenziale per la loro – così tanto necessaria – trasformazione.
L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA
Sebbene le ragioni che permettono il successo dei modelli piattaforma sono sicuramente complesse (il tema si può esplorare nel nostro recente White Paper) un driver fondamentale del loro successo è sicuramente l’impatto che la tecnologia ha avuto sul costo di personalizzazione, comunicazione e transazione: oggi è essenzialmente facile ed economico per tutti comunicare, trovare l’altro, scambiare valore e – di conseguenza – sviluppare aspettative uniche e personali su prodotti e servizi; questa è l’era della Long Tail, essenzialmente per queste ragioni.
Tuttavia i costi di coordinamento e comunicazione sono in calo sia all’esterno che all’interno delle organizzazioni e non ci si può più ingannare pensando che il modello di piattaforma, il modello rete – che permette tra le altre cose apprendimento di larga scala, personalizzazione di massa e ri-umanizzazione delle esperienze – sia solo utilizzabile per il mercato degli affitti a breve termine, per la gestione degli eventi o per la vendita di artigianato: non è così, questo modello oggi può fare bene in ogni contesto.
COME CAMBIA LA LEADERSHIP
In effetti, i due principi chiave del Platform Thinking sono, a mio parere, essenzialmente i seguenti: consentire ai soggetti nell’ecosistema di scambiare valore per via di transazioni (attraverso i canali che l’azienda piattaforma mette a disposizione) e progettare servizi e ambienti che abilitino i partecipanti all’evoluzione.
Entrambi questi principi possono essere perfettamente messi in atto nelle organizzazioni di grandi dimensioni esistenti e non sono solo appannaggio dei disruptors che arrivano dalla Silicon Valley e dal mondo startup.
Ma cosa succede alla leadership, nel frattempo?
In questo quadro, non mi ha sorpreso che uno dei temi ricorrenti all’EODF di quest’anno sia stato quello della leadership: oggi ognuno di noi sente e vede come il concetto di leadership stia cambiando. Ma perché? E come? Anche in questo caso penso che sia importante guardare a come le tecnologie stanno trasformando i nostri contesti, abbassando il costo di coordinamento e comunicazione.
Diventa essenziale motivare gli altri con esperienze esemplari, condividendo framework aperti e accessibili per l’azione, creando i giusti inviti all’azione
Ora che ci muoviamo dall’era delle burocrazia all’era delle piattaforme, i leader possono ottenere un impatto su larga scala non più attraverso il controllo delle risorse e delle persone, per mezzo di una autorità imposta – essenzialmente basata sulla paura – ma allineando i collaboratori verso una missione condivisa. Diventa essenziale motivare gli altri con esperienze esemplari, condividendo framework aperti e accessibili per l’azione, creando i giusti inviti all’azione. Pensate a quanto sia facile al giorno d’oggi sfruttare tecnologie come le piattaforme di messaggistica come Slack, i mezzi di creazione di contenuti, i social media, i wiki: tutti questi sono nuovi canali per la condivisione di potenti messaggi galvanizzanti e di strumenti da usare per l’azione. E questo rapporto non è a senso unico: le tecnologie offrono sempre più mezzi per empatizzare (su larga scala) ottenere feedback e imparare a sintonizzare le nostre storie per generare il massimo impegno, anche quando siamo e ci sentiamo leader.
LA GIUSTA VIBRAZIONE DEL GRUPPO
Mentre il management burocratico guarda a aumentare la produttività in missioni pre-definite – la leadership nell’era di organizzazioni adattive e collaborative e delle piattaforme sa trovare la giusta vibrazione di un gruppo, convincerlo che può muoversi insieme in un’unica direzione (auto identificata) e lasciare che i migliori guidino il gruppo, facendo in modo che la piattaforma si allinei ai loro incentivi condivisi.
Nel mondo delle organizzazioni-piattaforma adattive collaborative e responsive, i leader non sono pre-identificati perché – come ha detto l’amico Stelio Verzera all’EODF – quando hai una organizzazione realmente adattiva (che fa del suo meglio per avere una organizzazione che assomigli alla realtà, invece di distorcere la realtà per aderire all’organigramma) i ruoli sono “muda” (sprechi).
Il basso costo di coordinamento ci permette oggi di creare team adattivi, su ogni singola missione, quindi perché di scrivere le cose nella pietra di un diagramma organizzativo?
Come dichiarato in un bel recente articolo i leader del 21° secolo sono soprattutto compassionevoli e generosi storytellers: in grado di dare forma alle organizzazioni, persone che hanno trovato la propria motivazione e la loro etica di lavoro nella hackerare le organizzazioni esistenti e nel crearne di nuove allo scopo di aiutare gli altri a raggiungere nuovi obiettivi, migliorare, crescere e trovare reale libertà di azione e consapevolezza di se stessi.
Gli Individui nelle organizzazioni adattive
Vivere in un’epoca in cui ognuno è collegato con chiunque altro ha i suoi lati oscuri: mentre è vero che quando le organizzazioni sono adattive e collaborative si sviluppano legami forti tra i membri – che è in qualche modo la stessa motivazione che rende terribilmente complicata la loro crescita di scala – le organizzazioni-piattaforma di grandi dimensioni potrebbero finire per derogare troppo alle macchine e agli algoritmi, finendo per fingere quell’effetto umanizzante che in origine le ha rese vincenti, e per precipitare i partecipanti verso la solitudine, la concorrenza e la sensazione di essere lasciato indietro.
Se riflettiamo dunque sull’essenza stessa del design e dello sviluppo delle organizzazioni, come progettisti abbiamo bisogno di continuare il nostro viaggio che parte dall’imparare l’arte della collaborazione e della facilitazione e finisce con l’abilitazione degli altri. Il ruolo del designer dell’organizzazione deve dunque essere quello di sostenere e abilitare le aziende nel progettare se stesse autonomamente e continuamente.
“Noi modelliamo le nostre organizzazioni e le nostre organizzazioni modellano noi stessi”, sempre Stelio ha detto una volta (in una citazione parzialmente adattata di una massima Mcluhaniana di cui sto abusando molto ultimamente): consentendo alle persone di modellare il loro modo di organizzare il lavoro e l’azienda, di trovare un vero significato nel lavorare insieme e nell’apprendere nuove capacità (e migliorare) aiutiamo loro stessi a “formarsi” come persone e a ritrovare un’etica del lavoro che trascenda i bullshit jobs a cui potrebbero essersi abituati.
IL CANE, LE PECORE E LA GOVERNANCE
Ma adottare modelli di sviluppo adattivi e governance collaborativa nelle organizzazioni non è una passeggiata: pensate alla governance tradizionale, come a un cane da pastore in un gregge. Se si rimuove il cane (il management gerarchico) le pecore non iniziano a comportarsi in modo coordinato e anzi probabilmente vagano libere, in ogni direzione cercando la migliore erba. Se davvero sentiamo che le persone nella nostra organizzazione abbiamo un grande potenziale è necessario credere che quelle che oggi sono pecore possano diventare tutte, cani da pastore – se solo gli diamo i giusti strumenti – e trovare la giusta direzione, coordinate tra loro, ma tutte con la giusta dose di fiducia in sé e di intuizione.
Per una pecora, trasformarsi in un cane da pastore può richiedere tempo, duro lavoro e una quantità folle di sudore, ma… potete immaginare che cosa può raggiungere un branco di cani da pastore?
SIMONE CICERO