Ho passato un mese nell’Oceano Atlantico pescando pezzetti di plastica per studiare le loro conseguenze sulla catena alimentare e sulla nostra salute. Ventotto giorni di navigazione no-stop con ricercatrici provenienti da tutto il mondo. Obiettivo: analizzare come le microplastiche galleggianti nell’oceano stiano irrimediabilmente danneggiando il nostro pianeta e la nostra salute attraverso quello che mangiamo.
Caterina Falleni e tutto il team di Exxpedition
In queste settimane ho imparato molto. Ho scoperto che in mezzo all’oceano non ci sono veramente onde gigantesche come nel film “La tempesta perfetta” con George Clooney, ma piuttosto comuni piogge monsoniche improvvise. Ho scoperto che evitare collisioni notturne con cargo di 200 metri e container dispersi in oceano non è poi così impossibile, come invece sembrerebbe nel film di Robert Redford “All is lost” e come ho scritto anche su Che Futuro!.
Soprattutto però, ho capito la necessità di cambiare abitudini alimentari. Vi racconto in breve le tre lezioni più importanti che ho imparato dal progetto eXXpedition.
Lezione 1. Il pericolo delle plastiche “invisibili”
Il problema è più grave perché invisibile a occhio nudo. Esistono zone con maggiore densità di microplastiche (grandi 4-8mm) che galleggiano poco sotto la superficie dell’acqua. Essendo plastiche invisibili a occhio nudo, queste sono un male peggiore rispetto ad un’invidiabile isola galleggiante di plastiche di più facile smaltimento.
Lezione 2. Plastiche killer per plancton e balene
Secondo 5 Gyres, che è l’istituto di monitoraggio della salute degli oceani, in questo momento stanno galleggiando circa 5.250 miliardi di microplastiche equivalenti al peso di 268,940 tonnellate.Se paragonassimo il peso di queste plastiche galleggianti alla quantità in bottiglie di plastica dovremmo immaginarci 33.617 camion carichi di bottiglie di plastica da due litri, formando una coda di circa 5 chilometri di camion in fila.
Le microplastiche hanno un pesante impatto sul plancton e quindi, a cascata, sugli organismi marini: in particolare le balene, uno dei più grandi filtri al mondo di acqua marina. L’acqua è inquinata in modo preoccupante dagli ftalati, i derivati più nocivi della plastica che hanno la capacità di interferire sulle capacità riproduttive.
Credits: Exxpedition.com
Lezione 3. Dal plancton al nostro piatto
Italia, Stati Uniti, Israele e Iraq sono gli unici Paesi al mondo a non aver ancora firmato il trattato di Stoccolma per abolire i POPs dal commercio. I POPs, sostanze chimiche molto resistenti alla decomposizione, si possono trovare in moltissimi prodotti come shampoo, creme, dentifrici, vestiti, giochi per bambini, cuscini, coperte, mobili, vernici, pentole e vari alimenti. La cosa più allarmante è che questi POPs sono bioaccumulatori, ovvero una volta entrati in un organismo si accumulano senza avere la possibilità di essere eliminati, causando alterazioni al sistema endocrino, malattie cardiovascolari, tumori, obesità e diabete.
Rainbow runner, 17 fragments of plastic. North Gyre – Algalita. Credits: Exxpedition.com
Dall’oceano al Future Food District di EXPO
Da quando ho rimesso i piedi sulla terraferma a metà dicembre per me fare la spesa e acquistare prodotti privi di packaging inutili, plastica o POPs è diventata quasi un’ossessione ed è culminata nella quasi impossibilità di fare la spesa in posti normali. Una volta trasferitami a Torino ho iniziato a ricercare posti in cui poter acquistare prodotti di qualità, senza plastica e con costi accessibili, ma devo ammettere che questa ricerca non è stata affatto semplice. Nonostante il trend crescente di negozi e iniziative a km 0, consumo critico e vendita di prodotti sfusi, trovare i posti “giusti” dove acquistare prodotti “giusti” non è ancora per niente veloce e intuitivo.
A questo proposito trovo interessante l’imminente apertura del Future Food District (FFD) di EXPO 2015, sui cui sviluppi sono quotidianamente aggiornata, essendo questo il padiglione curato da Carlo Ratti Associati, lo studio di architettura e design con il quale attualmente sto lavorando al progetto Makr Shakr. Il Future Food District esplora un possibile futuro dei supermercati, sperimentando i vantaggi derivanti delle tecnologie digitali applicate alla distribuzione del cibo.
Credits: Expo2015.org per Future Food District
Sviluppato insieme a Coop (partner di Expo), FFD ha l’obiettivo principale di posizionare il cittadino al centro della catena alimentare, che diventerà più etica e trasparente, in ogni sua fase.
Come ha affermato Carlo Ratti, con il FFD si è cercato di sviluppare una catena alimentare intorno al consumatore. Si è pensato ad uno spazio che sia per molti versi simile ad un antico mercato: vogliamo recuperare la concezione del luogo di acquisto come spazio di scambio e interazione
Nel FFD sarà possibile vivere un’esperienza di acquisto reale: si tratterà a tutti gli effetti di un vero supermercato. L’annullamento delle barriere verticali (gli scaffali) vuole favorire lo scambio, proprio come in un mercato tradizionale. “I tavoli interattivi e lo spazio di vendita del supermercato sono il fulcro dell’installazione. Il semplice sfiorare i prodotti con la mano permetterà all’utente di ottenere informazioni aumentate su di essi (che oggi sono disponibili in rete ma che per ragioni di spazio non compaiono sulle etichette “classiche”). Attraverso queste “etichette aumentate” il prodotto è in grado di raccontare se stesso, le sue proprietà, il suo tragitto, le sue origini” racconta Andrea Galanti, project leader del FFD.
Spero che questo possa essere un passo avanti verso un consumo più consapevole. Spero che questo nuovo modello di supermercato “intelligente” possa essere accessibile, inclusivo, riproducibile anche dopo Expo 2015. Mi auguro che trovare i posti “giusti” dove acquistare prodotti “giusti” diventi più facile. Tutti ne trarrebbero beneficio, oceani compresi.
CATERINA FALLENI