In una sala riunioni al tredicesimo piano nel centro di San Francisco, l’atmosfera era tesa. Era il novembre 2015 e Databricks, una compagnia di software fondata due anni prima da un gruppo di sette ricercatori dell’Università di Berkeley, aveva generato molto entusiasmo ma poche entrate.
I direttori affrontavano in maniera impacciata argomenti che erano stati trattati più e più volte. La startup aveva cercato di raccogliere fondi per cinque mesi, ma i venture capitalist si mantenevano a distanza, diffidenti nei confronti dei miseri ricavi. Non vedendo altra opzione, il partner di NEA Pete Sonsini, un investitore esistente, alzò la mano per salvare la compagnia con un’iniezione di emergenza da 30 milioni di dollari.
Il successivo ordine del business: un nuovo capo.
Il CEO fondatore Ion Stoica aveva acconsentito a farsi da parte e ritornare alla sua cattedra presso l’Università di Berkeley. La mossa più ovvia sarebbe stata ingaggiare un esperto dirigente della Silicon Valley, esattamente quello che ha fatto per due volte il principale competitor di Databricks, Snowflake, sulla strada per l’IPO da record da 33 miliardi di dollari nel settembre 2020. Invece, sotto la spinta di Stoica e degli altri fondatori, fu scelto Ali Ghodsi, il confondatore che a quel tempo era vicepresidente della progettazione.
“Una parte del board naturalmente pensava, ‘Non ha alcun senso: cambiare un fondatore-professore con un altro?'”, ricorda Ben Horowitz, il primo venture capital della compagnia. Lui stesso all’inizio era scettico sul affidare la compagnia ad un accademico senza esperienza nella gestione di un’impresa.
Si giunse a un compromesso: dare a Ghodsi un anno di prova.
Databricks: tutta la storia
Nel 2009, un trentenne Ghodsi giunse negli Stati Uniti come visiting scholar all’università di Berkeley, dove ebbe un primo assaggio della Silicon Valley. Nonostante il crollo del dot-com di nove anni prima e la crisi finanziaria in corso, l’innovazione era al culmine. Facebook aveva cinque anni e non era ancora quotato. Airbnb e Uber esistevano da solo un anno.
“Venne fuori che, rispolverando la rete di algoritmi degli anni ’70 e usando molti più dati e un hardware moderno, il risultato iniziava a diventare sovraumano”, racconta Ghodsi. Una volta a Berkeley, Ghodsi si unì a Matei Zaharia, che allora era un dottorando di 24 anni, per progettare un motore software per processare dati che chiamarono Spark.
Volevano replicare ciò che le grandi compagnie tech stavano facendo con le reti neutrali, senza interfacce complesse.
“Il nostro gruppo fu uno dei primi a cercare di rendere semplice lavorare con enormi set di dati per persone il cui maggiore interesse nella vita non è l’ingegneria dei software”, dice Zaharia. Spark si rivelò essere buono, molto buono. Stabilì il record mondiale per la velocità nell’ordinare dati nel 2014 e valse a Zaharia un premio per la miglior tesi di dottorato nelle scienze informatiche. Ansiosi di far utilizzare il loro tool alle compagnie, lo rilasciarono gratis, ma presto realizzarono che non aveva avuto grossa presa.
Durante una serie di incontri in economici e minuscoli ristoranti indiani all’inizio del 2012, un gruppo di sette accademici decise di fondare Databricks. La saggezza imprenditoriale veniva dai relatori di Zaharia, Scott Shenker e Ion Stoica, due accademici molto rispettati. Stoica era un dirigente alla startup di video streaming Conviva, mentre Shenker era stato il primo CEO di Nicira, una società di network venduta nel 2012 a VMware per circa 1,3 miliardi di dollari. Stoica sarebbe stato il CEO e Zaharia avrebbe guidato il settore tecnologico. Shenker organizzò il primo incontro tra Ben Horowitz, uno dei primi investitori di Nicira, e i ricercatori, che avevano esitato all’idea.
“Tra di noi pensavano ‘Non vogliamo prendere questi soldi perché non è un ricercatore'”, racconta Ghodsi. “Volevamo ottenere dei finanziamenti, magari raccogliere un paio di centinaia di migliaia e poi codificare per un anno e vedere cosa avremmo potuto ottenere”.
Era un giorno d’estate, i fondatori si trovavano nel loro nuovo ufficio a un isolato dal campus dell’Università della California, erano seduti con le mani in mano nella loro sala conferenze, riflettendo su a quale cifra avrebbero accettato. Un’ora dopo, all’orario accordato, Horowitz arrivò. “Il traffico è terribile qui a Berkeley,” disse, prima di arrivare al punto: “Non ho intenzione di negoziare con voi; vi farò solo un’offerta, quindi prendere o lasciare”. L’offerta: 14 milioni di dollari di capitale vicini ai 50 milioni di valutazione. Era troppo per rifiutare.
Stoica subito portò il partner di NEA Sonsini, anche lui un ex alunno dell’Università della California, come secondo investitore della compagnia, grazie a un legame che risaliva al periodo di Stoica a Conviva. L’investimento da 33 milioni di dollari spinse la startup fino a una valutazione di 250 milioni di dollari, solo 13 mesi dopo la sua fondazione.
Ghodsi racconta: “Il 2015 era l’anno in cui Spark era la cosa più scottante dopo la torta di mele”. In vista di una crescita accelerata, Databricks trasferì la sua sede dal modesto ufficio di Berkeley al tredicesimo piano di un grattacielo nel Fiancial District di San Francisco. Il team non dava importanza sfortunato numero del piano. “Riuscimmo ad ottenerlo per un prezzo minore, forse per quel motivo, e pensammo, ‘É fantastico’”, racconta Ghodsi. Eppure, nel giro di qualche mese, la sfortuna iniziò a presentarsi.
“Ci stavamo mettendo troppo tempo per capire come introdurci nel mercato”, dice Horowitz. Pezzi grossi come Amazon Web Services e Cloudera stavano sorpassando Databricks e integrando Spark nei loro prodotti. “Tutti i nostri competitori parlavano di quanto amassero Spark,” dice Ghodsi. “Ma noi non avevamo quasi nessuna entrata”.
Cos’è Databricks oggi?
Per stessa ammissione di Horowitz, Ghodsi, 42 anni, è diventato il miglior CEO del portfolio di Andreessen e Horowitz, che copre centinaia di compagnie. Databricks si è già candidata a diventare uno dei più grandi successi della società grazie a una recente valutazione da 28 miliardi di dollari, 110 volte maggiore di quella precedente alla guida di Ghodsi. Databricks adesso vanta più di 5.000 clienti, e Forbes stima che registrerà più di 500 milioni di dollari di vendite nel 2021, dai 275 milioni dello scorso anno. Il numero di magia di Ghodsi ha già reso almeno tre fondatori miliardari – lui stesso, Stoica, e Matei Zaharia – i quali, secondo le stime di Forbes, possiedono quote tra il 5% e il 6%, che valgono 1,4 miliardi di dollari o più.
Questo sbalorditivo risultato è reso ancora più incredibile da fatto che molti dei fondatori originari, Ghodsi in particolare, erano talmente assorbiti dalla loro carriera accademica che erano riluttanti a creare una compagnia. Quando poi presentarono la loro tecnologia come un tool open-source, si sentirono dire che non erano pronti per l’impreditoria. In altre parole, Databricks doveva commericalizzare.
Il software all’avanguardia di Databricks usa l’intelligenza artificiale per unire costosi data warehouse (dati strutturati usati per l’analisi) con data lake (economici e puri depositi di dati) per creare data “lakehouses” (senza spazio tra le parole, come nella migliore tradizione geek). Gli utenti inseriscono i loro dati e l’AI predice il futuro. John Deere, per esempio, installa sensori nell’attrezzatura della sua azienda agricola per misurare cose come la temperatura del motore e le ore di utilizzo. Databricks usa questi dati per predire quando il trattore si romperà. Le compagnie di e-commerce usano il software per pensare a dei cambiamenti nel loro sito che aumentino le vendite. Viene anche utilizzato per scovare malintenzionati, sia sulle borse che sui social network.
Ghodsi dice che Databricks si quoterà in borsa presto. É sulla buona strada per raggiungere 1 miliardo di dollari in entrata il prossimo anno, dice Sonsini. In futuro, 100 miliari di dollari non sono fuori discussione, dice Ghodsi – e anche questa potrebbe essere una cifra prudente. É pura e semplice matematica: Enterprise AI è già un mercato da miliardi di dollari e certamente crescerà. Se il leader della categoria prende anche solo il 10% del mercato, Ghodsi dice, ecco entrate da “molte, molte centinaia di miliardi”.