Era il 2000, ben 16 anni fa. Più o meno un era geologica per il digitale. Infatti partecipavo a un progetto europeo a gestione diretta della UE sui temi della partecipazione e dello sviluppo di servizi interattivi per il cittadino. Già avevo girato Inghilterra e Galles per capire meglio come loro usassero il digitale per i servizi di pubblica utilità ed ero affascinato per quei temi che, nel mio amato, paese muovevano i primi passi faticosamente in piena confusione concettuale e semantica fra eParticipation, eGovernment, eDemocracy.
Erano tutti temi di frontiera che né la casalinga di Voghera, né tanto meno il sior Bepi conoscevano, praticavano. Tutta la società italiana ignorava i temi del digitale associati alla pubblica utilità. Figuriamoci poi associare digitale e sviluppo.
Pura follia.
Shannon è un aeroporto storico e simbolico allo stesso tempo. E’ posizionato nell’estremo sud Ovest della verde Irlanda dove venne gettato il primo cavo marino per le telecomunicazioni fra l’America e il vecchio continente. Ma soprattutto ha rappresentato per anni l’ultimo scalo europeo dove far rifornimento prima del grande salto verso il nuovo mondo. Il che è molto suggestivo, a mio parere.
Arrivato al gate cerco i cartelli che mi indicano la zona recupero bagagli e mi incammino in un lunghissimo corridoio che a prima vista sembra addobbato come una festa paesana. Lo stupore è maggiore quando realizzo che trattasi proprio di bancarelle multicolori con tanto di avventori e tutte appartenenti ad aziende del mondo digital: Motorola, Intel, Microsoft, Emc2, ecc.
Assieme a dei colleghi mi fermo per capire meglio. Stanno cercando gente. Manovalanza. Forza lavoro. Più o meno specializzata. Insomma un po’ di tutto dal developer, al traduttore di manuali, al sistemista, al web designer, all’autista e persino dei cuochi.
La prima cosa che mi viene in mente sul taxi che mi porta all’hotel è che lì nel paese del trifoglio fan davvero sul serio. Ovvero il digitale non è una delle tante traiettorie di sviluppo, bensì è industria, pesante, strategica, e di massa. Massa lavoro che opera per una massa di consumatori. Fantascienza?
No, ho solo sbattuto la testa sugli effetti delle defiscalizzazioni. Ora, dopo 15 anni, potete anche chiamarla in altro modo (ad esempio Off-shore che va tanto di moda) ma tant’è che è successo quello che è successo: Dublino e dintorni sono diventate la destinazione preferita dai giganti dell’high tech: Amazon, Apple, eBay, Emc2, Facebook, Google, LinkedIn, HP, Ibm, Microsoft, PayPal, Twitter, Yahoo.
Gli incentivi fiscali offerti dal governo irlandese a questi colossi hanno permesso di trasferire qui sedi legali e commerciali ma, soprattutto fabbriche. Sì, vere e proprie fabbriche di “cose” digitali.
Negli anni seguenti torno spesso in Irlanda e nel 2008 mi reco a Cork, altra città, altro aeroporto. E anche qui devo fare una piccola disgressione.
Per la prima, e unica, volta in vita mia sono invitato a salire su un jet privato. Si avete capito bene, una multinazionale del digitale mi invita a Cork spesato per farmi vedere cosa fanno.
Sono basito, stupito, esterefatto. Ma quanti soldi hanno questi? Cosa rappresentano? Un industria di dimensione planetaria?
Ebbene sì, come riportai allora nel mio blog di viaggi, fui catapultato nel mondo del capitalismo digitale. In Irlanda.
Vidi cose che, per la dimensione italica, sembravano impossibili. Una città con tre università che sfornava cervelli per le multinazionali dell’IT. Fabbriche vere e proprie con dimensioni colossali (ricordo una specie di hangar con migliaia di armadiature per server). Laboratori dove sperimentavano i dischi allo stato solido e la loro velocità.
Ma vidi anche l’indotto e decine e decine di cervelli in fuga dal mio paese che li, nonostante il clima pessimo, avevano deciso di tentare la fortuna o la realizzazione dei loro sogni.
Ovviamente il mio paese rimaneva al palo anche nel 2008 e appena tornai per raccontare cosa avevo visto a Cork (a proposito la sede di Apple era proprio dietro al mio albergo) molti fecero spallucce e, comunque, l’osservazione standard era: “da noi non è possibile farlo”.
Riporto, a titolo di esempio, ciò che ancora è leggibile nella sezione careers del sito italiano di Apple: Apple è orgogliosa di avere una base operativa a Cork, in Irlanda, fin dal 1980. Da allora, l’organico è cresciuto e adesso conta più di 5500 dipendenti in tutto il Paese: rispetto all’ultimo anno l’incremento è stato di oltre il 30%. Dal 2012, abbiamo investito quasi 140 milioni di euro nello sviluppo di un moderno campus per i sempre più numerosi dipendenti che lavorano nella sede di Hollyhill. I lavori di ampliamento includono un nuovo edificio destinato ad accogliere altri 1000 collaboratori.
Avete letto bene? 5.500.
Detto questo, ho cercato di discutere un po’ in Rete sugli scenari che potrebbero aprirsi a seguito degli accordi stipulati dal nostro governo con Cisco e Apple che, come riportano i comunicati stampa, si concretizzano con ingenti investimenti e probabili offerte e occasioni di occupazione nel settore digitale.
Molte discussioni sui social evidenziano e criticano il comportamento governativo per supposti favori fiscali (sconti su tassazioni pregresse non soddisfatte) e/o favoritismi per multinazionali amiche del premier.
Non vorrei accusare il piccolo giardinetto della cricca digitale di gufismo ma il sospetto che la paura, la sfiducia, il retropensiero e l’immobilismo insiti nel nostro DNA riescano a penetrare anche nei sentimenti degli innovatori e soprattutto di quegli innovatori che si dedicano alla crescita del digitale inteso come opportunità di business, mi rattrista.
L’Italia come una nuova Irlanda o Estonia? Chi lo sa, magari anche sì. Ma per favore, proviamoci prima di affermare che da noi l’impossibile non è possibile.
Digitale come nuova industria del paese? Magari. Contaminazione e contributo delle nostre migliori caratteristiche (fantasia, design, creatività, ecc.) all’industria tecnologica. Perche no? Creazione di nuove discipline e nuovi atenei a supporto di questa rivoluzione? Magari.
Proviamoci. Sicuramente è meglio che star fermi a celebrare modelli e successi degli altri.