Il segnale è la trasmissione di un’informazione. Che sia audio, stradale o elettrico comunica qualcosa. Molto spesso risponde alla domanda “Cosa devo fare?” Guardare, ascoltare, annusare, gustare, toccare. Ed è poi risultato di un codice segreto che ci dice come dobbiamo comportarci. A volte è un avvertimento, e sebbene lo conosciamo da quando siamo piccoli, ci giriamo. Alcune volte ci abituiamo e fa parte del quotidiano, altre ancora è curiosità o spavento.
Quell’informazione però è importante perché ci permette di reagire a uno stimolo esterno, permette a noi di muoverci, e il più delle volte non ci pensiamo.
Eppure ciò che trasmette la traduzione di essa è una combinazione di dati che danno origine a qualcosa al cui interno è contenuto un messaggio. Un messaggio importante. In questo caso da una macchina, il computer, al corpo, il mio.
Credits: aeonflax.deviantart.com
Attraverso degli elettrodi viene acquisito il segnale necessario al programma per la traduzione in segni e codici utili ai programmatori a comprenderlo. Esiste? Numeri, lettere, curve, frecce formano disegni strani. In effetti cambia, si muove e poi si trasforma in un’onda. Qualcosa è venuto fuori da questo piccolo muscolo, mentre io lo contraevo giocando a braccio di ferro.
Era un mercoledì, e Irio, un progettista sviluppatore software ha acquisito il mio segnale.
Gli elettrodi non aderivano benissimo alla pelle. E per questo motivo l’informazione ricevuta al computer non era sufficiente a recuperare il segnale da descrivere sullo schermo. Una posizione sbagliata, ma stiamo parlando di pochi millimetri, lo captava scorretto. Ed è un problema. Perché i dati non arriverebbero per intero.
“Il segnale giusto ci pensa il muscolo a generarlo, ogni muscolo quando si contrae produce un impulso elettrico. Esistono sensori interni che possono prelevarlo dalla singola fibra muscolare, i sensori superficiali che usiamo noi sono molto meno precisi e raccolgono quello che arriva da più fibre e, spesso, da più muscoli diversi” – mi racconta Irio.
Prima di me, gli sviluppatori fanno le prove sulle loro braccia, si posizionano gli elettrodi e vedono se funziona tutto correttamente. La difficoltà, quindi, sta nel posizionare l’elettrodo in modo da prendere il segnale con la massima precisione e intensità possibili per essere poi amplificato (e’ molto piccolo in origine).
“Tradotto in numeri da una cosa che si chiama ADC (analog-to-digital converter).” aggiunge Irio.
Una volta ottenuta una serie di numeri che rappresenta l’andamento del segnale inizia il vero divertimento. “Bisogna filtrarlo per eliminare il rumore, e poi analizzarlo. Ci sono vari algoritmi matematici che permettono di estrarre informazioni utili ed interpretarne l’andamento come “intenzione” di muovere l’arto”.Ovviamente gli elettrodi non erano collegati direttamente al computer ma a un circuito, un piccolo giocattolino, in cui tutto era sospeso e sembrava molto posticcio.
Immediatamente l’idea di toccarlo e vedere che cadesse qualcosa da quell’impalcatura mi piaceva, come ai bambini.
Cosa sarebbe successo? Invece era saldato tutto molto bene, altroché.
“Il circuito è composto da due parti – mi spiega – una parte di amplificazione e filtraggio che ha progettato Cristian Currò, da questa poi il segnale va all’ingresso ADC di Arduino, dove il software che abbiamo scritto Stefania, Orlando ed io gestisce un ulteriore filtraggio. Perciò è l’analisi per interpretare l’intenzione che ha prodotto lo stimolo ad attivare i servomotori che muovono l’arto”.
Il circuito, mi dicono, è al momento alla terza versione e Irio prevede non sarà l’ultima. Man mano che fanno prove ci sono più informazioni per ottimizzare e migliorare il progetto. Perché è minuscolo, perché è nascosto sicuramente da qualche parte. E ci saranno altre prove. E verrà giusto, per poter muovere FABLE al meglio.
Irio ha conosciuto OBM Initiative all’inizio di giugno 2014 attraverso un gruppo su Facebook che cercava dei collaboratori e intendeva occuparsi di biomedica low cost. Il team FABLE non era ancora costituito, il progetto era scritto in un documento di Stefania Valentini che conteneva molte idee. “In quel periodo avevo iniziato a interessarmi sia di biohacking sia di biomedica e ho deciso di contattarli”.
Dopo aver scritto un’email in inglese (il post e il sito del gruppo era in inglese), Bruno, grande puffo, ha risposto in inglese pure lui e hanno continuato a scriversi in questo modo per un po’, scoprendo poi che quest’ultimo era di Ancona! Di formazione elettronica, Irio mi racconta che è stato il primo amore ed è riaffiorato in questi ultimi anni (anche) perché viviamo in tempi interessanti in cui la linea di demarcazione fra hardware e software si fa sempre più sottile. “Così come si fa sempre più sottile la linea fra biologico e tecnologico e OBM Initiative è proprio lì, dove il confine si fa tenue, per aprire nuovi passaggi”.
Sabato scorso ero al parco. Uscire mi avrebbe fatto bene, prendere un po’ di aria. Poter leggere in tranquillità, fra i passi della gente, alcune chiacchiere e un po’ di vento. Ad un certo punto un abbaio. Beh, direte voi, siamo abituati a un abbaio di un cane. Certo, ma questo era un avviso differente. Il cane richiamava l’attenzione dei suoi padroni che lo guardavano, e non trovavano una risposta inizialmente a quell’insistenza. Aveva visto uno scoiattolo. Si appoggiava al tronco e saltava.
“Vieni, dai, dobbiamo andare!”Non ne voleva sapere, provava ad arrampicarsi ancora. Poi abbandonò la postazione e correndo verso i suoi padroni ormai più avanti, notai qualcosa di riconoscibile, che nonostante conoscessi dall’infanzia, mi aveva fatto alzare lo sguardo. Correva veloce e determinato. Non si nascondeva, anzi, dopo tutto quell’abbaio andò a sorseggiare un po’ di acqua corrente alla fontanella.
Quante possibilità c’erano di trovare un cane, al parco, senza una zampa? Forse poche.
Un indizio? Non lo so. Ed era solo un animale. Ma poi la testa frulla, e alla fine noi umani i collegamenti li facciamo.
FABIA TIMACO