Il Museo Poldi Pezzoli di Milano ha riaperto le sue porte al design in occasione degli eventi per il Salone del mobile da poco trascorso, ospitando, fino al 9 maggio, “Di vaso in fiore. Inventario tra natura e design“, una particolare esposizione dedicata ad un oggetto di uso quotidiano ed alle sue diverse interpretazioni da parte dei più noti designer italiani e internazionali.
“Di vaso in fiore” nasce dopo il successo della prima mostra del Circuito delle Case Museo di Milano, presentata nel 2010 e intitolata “Ospiti inaspettati. Case di ieri, design di oggi“. In quell’occasione il design contemporaneo si è confrontato con ambienti, quadri e opere d’arte della casa-museo di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, affacciata su via Manzoni, in un dialogo tra oggetti del passato e del futuro, selezionati e accostati, per analogia o per contrasto, da Beppe Finessi.
Anche questa mostra è stata realizzata a cura di Beppe Finessi e nasce come una riflessione su un oggetto semplice e banale, come il vaso da fiori, diventato sempre più oggetto di confronto e sperimentazione per designer, architetti e artisti, interessati a riscoprire e ad attualizzare un pezzo comune, presente nella quotidianità di ognuno di noi.
In un ideale inventario, sono oltre cinquanta gli esemplari presentati nelle sale del Museo, firmati da nomi come Fabio Novembre, Florence Doleac, Donata Paruccini, Cédric Ragot, Denis Santachiara, Tina Roeder, Paolo Ulian, oltre ad alcune creazioni “storiche” di Ettore Sottsass, Angelo Mangiarotti, Alessandro Mendini ed Enzo Mari.
I vasi esposti sono posti a confronto anche con fiori e vegetazione rappresentati in arazzi e tessuti antichi, scelti dalla collezione del Museo e proposti nelle sale del pianterreno.
“Oggi il Museo“, racconta Annalisa Zanni, che dirige il Poldi Pezzoli, “fa entrare la natura viva, che dialoga con quella del passato rappresentata nei tessili antichi esposti alle pareti, e interpreta i vasi-scultura del design contemporaneo, proseguendo un percorso di ricerca sulle arti decorative dal passato al futuro iniziato l’anno scorso“.
Il ricorso al vaso come oggetto che racconta l’essenza del progettare, tipologia con cui ogni architetto o designer si deve prima o poi confrontare, è piuttosto recente, come spiega il curatore Beppe Finessi, che ricorda “Abbiamo sempre sentito dire ‘la sedia’… Attraverso una raccolta di sedie è sempre stato possibile scrivere una storia del design realmente credibile, perché tutti i migliori autori si erano cimentati con quella funzione assolta da quell’oggetto dotato di gambe, sedie e schienale“.
Ma da qualche tempo le cose sono cambiate e si è iniziato a progettare oggetti molto diversi. E tra questi, il vaso da fiori, apparentemente dimenticato e trascurato, forse perché relegato all’ambito più decorativo, è diventato protagonista.
Anche il grande designer Ettore Sottsass, racconta ancora Finessi, ricordava di quando era un ragazzo squattrinato nella Milano del secondo dopoguerra e realizzava con le sue mani vasi sperimentali, per conservare i fiori che portava alla sua amata, Fernanda Pivano. E così il vaso da fiori è diventato per il mondo del design l’oggetto d’uso più indagato e sperimentato dai diversi autori.
C’è chi ha cercato la bellezza della forma, come Michele De Lucchi e Linde Burkhardt, o la presenza scultorea, come Jasper Morrison, Pierre Charpin e Giulio Iacchetti, chi ha ragionato su gesti compositivi semplici ed essenziali, come Doriana e Massimiliano Fuksas e chi ha riflettutto su temi ricorrenti come la composizione di forme geometriche primarie, come Mario Botta. Oppure chi ha riportato nell’oggetto la propria inconfondibile firma, come Ugo La Pietra, i fratelli Fernando e Humberto Campana, Ron Harad, Hella Jongerius e Anna Gilli.
Qualcuno ha affiancato al vaso un’altra funzione, come Andrea Branzi che ha aggiunto una lampada, oppure ha studiato le caratteristiche di un certo materiale, come nell’esempio storico di Tapio Wirkkala o in quelli più recenti di Gaetano Pesce e molti altri. In qualche caso si è ripartiti da zero, pensando al vaso non più come contenitore ma come superficie esterna su cui arrampicarsi, come ha fatto Martì Guixé, o sostituendo i possibili fiori con riproduzioni virtuali su piccoli schermi, come nell’opera di Lorenzo Damiani.