È stata la Camera della moda italiana a fare da ariete nel mondo a febbraio, con l’iniziativa “China we are with you”, consentendo a oltre 25 milioni di persone, non solo quelle bloccate in quarantena nel continente asiatico, di assistere da remoto a Milano Moda Donna. È stata, di fatto, la prima Digital Fashion Week della storia della moda.
Digital Fashion Week: la nuova frontiera delle sfilate di moda
A pensarci prima del Covid si sarebbe guadagnato un sacco di tempo, l’avremmo considerata una bella idea anziché un tampone all’emergenza. Altre versioni sono seguite a Monte Carlo, Shangai e Mosca. A inizio maggio la passerella virtuale su YouTube: l’evento di raccolta fondi contro la pandemia con le varie Ambrosio, Herzigova, Kardashian, Lima a passeggiare avanti e indietro lungo terrazzi e piscine delle loro ville.
Ma gli occhi di pubblico e industria sono puntati su Parigi, dal 9 al 13 luglio, e Milano, dal 14 al 17: i due fulcri che con Londra e New York trainano il comparto. Solo il capoluogo lombardo conta 13mila imprese e 100mila addetti, per un giro d’affari di 20 miliardi di euro l’anno: un quinto del fatturato delle altre 200mila aziende attive in Italia, che insieme danno lavoro ad altre 700mila persone. Una fetta consistente del pil nazionale a cui contribuisce per prima Luxottica, seguita da Prada e Armani.
Le prossime Digital Fashion Week – trasmesse da una rete di piattaforme streaming, le nostre nuove tv – potrebbero inoltre includere la novità delle sfilate autentiche, elemento cardine e glam dell’immaginario, grazie alla riapertura delle strutture che le ospitavano: decine di showroom, gallerie, rooftop di pregio, palazzi storici, complessi postindustriali riqualificati.
Senza stampa e spettatori, come il calcio negli stadi, o con una presenza molto ridotta. Dipende ancora dal semaforo di misure e divieti che regolerà la circolazione estiva del Coronavirus. Dolce&Gabbana, rientrati per l’occasione in Cnmi dopo 22 anni, vogliono realizzarne una benefica con pubblico e modelli in carne e ossa proprio in quei giorni, il 15 luglio, nei giardini del Campus di Humanitas University, con distanze di sicurezza e mascherine sugli stessi indossatori se necessario. Anche questo è ormai un capo d’abbigliamento oggetto di sperimentazioni e innovazioni sanitarie ma anche stilistiche. Del resto se strade e locali delle movide hanno ripreso a riempirsi senza troppi problemi, non si capisce perché non possa valere per i luoghi della moda o dello sport.
Grande curiosità quindi tra gli strateghi del marketing e della comunicazione per le modalità di presentazione di queste collezioni uomo primavera/estate da parte delle opulente e fantasiose maison internazionali, stimolate da una competizione tecnologica oltre che stilistica. I defilé, registrati o live, rappresentano il valore aggiunto, la nota distintiva del settore rispetto al plot di prodotti digitali che costituisce oggi il format di un tipico show online: film, fotogallery, podcast, dirette interattive, chat, interviste e backstage assemblati dalla multimedialità.
Nella moda nessuno si è mai fermato del tutto. Ha rinunciato a mondanità e public relation, ma sul digitale è andato avanti. Ermenegildo Zegna ha inventato una sua personale ‘phygital’ (physical space e digital technologies): un contenitore di reale e virtuale, che amalgami fashion, cinema e musica. Alle stesse esigenze di networking e marketplace risponderà da fine giugno Pitti Connect, che anticiperà e integrerà le fiere fisiche di settembre: una piattaforma per generare canali alternativi di business e permettere a buyer ed espositori, anche assenti dai saloni, di aumentare la visibilità presso un’utenza selezionata della Rete e attivare contatti e ordini commerciali. L’obiettivo dichiarato è offrire “un layout editoriale ricco di contenuti, un vero e proprio magazine”.
Non è finita. Al posto della Settimana della moda il British Fashion Council ha lanciato, dal 12 al 14 giugno, un palinsesto di storytelling a disposizione dei creativi: un progetto simile al Far Away So Close ideato da Vogue. Instagram ha distribuito alle griffe un playbook proprio per la realizzazione di uno spettacolo virtuale, utilizzando la app di riferimento del sistema. Sono decine, la maggior parte gratuite, scaricate in massa durante il lockdown.
Alcuni esempi di app di successo
Come per altri business l’offerta di delivery e intrattenimento da mobile si è saturata in fretta tanto che si pubblicizzano a vicenda negli spot automatici di cui sono farcite e con cui campano: su 21 Buttons si può guadagnare condividendo i propri look; Viume chiede aiuto all’intelligenza artificiale per rinnovare il guardaroba; StyleBox fa trovare il personal stylist giusto con un algoritmo; fino a Depop, il n.1 di compravendita di abiti per le tasche meno gonfie. La moda ha intercettato anche influencer e follower di queste social app: su tutte la cinese TikTok, la preferita dalla Z Generation, i cosiddetti Centennals.
C’è fermento sotto al cielo, alla ricerca di una formula che diventi un punto di riferimento per l’ambiente, con funzionalità sempre più avanzate per tradurre e aggiornare design e decor nel linguaggio digitale, mantenere un rapporto diretto con tutti gli attori del sistema e assicurare gli standard qualitativi di sempre. Possibilmente stavolta senza che sia un virus a doverci accendere la lampadina. Tutti sappiamo quanto costi un abito firmato per lo status che rappresenta: i clienti del lusso, pochi ma benestanti, appartengono alla lama fortunata della forbice che divide i redditi e, come nella crisi del 2008, il valore della ricchezza aumenta quanto più la forbice si allarga. La nota positiva è che, in virtù di questa controversa dinamica e dell’investimento sul mercato digitale, almeno nella moda gli affari non crolleranno e ci saranno opportunità non solo per creativi, promotori e manager ma anche per gli artigiani di tessile, pelle, vestiario e gioielleria che lavorano in questo campo. Quella produzione manifatturiera che, sebbene volta anch’essa all’e-commerce, conserverà ancora i suoi mestieri in virtù della loro manualità: tra le poche cose, per fortuna, non completamente digitalizzabili in un mondo dove si virtualizzano le stesse top model.