Con la rivoluzione del Web e dei new media, la Legge 150/2000, criticata e osteggiata sin dalla sua emanazione, ma che pure ha avuto il merito di dare un forte impulso allo sviluppo della Comunicazione nelle istituzioni pubbliche, oggi risulta inadeguata alle esigenze di una Pubblica Amministrazione sempre più digitale. La proposta del collega Giovanni Patanè, elaborata con Ernesto Belisario e Stefano Epifani, ha trovato l’interesse dei delegati Ferpi PA e del Consiglio Direttivo Nazionale, di una norma che preveda l’introduzione nelle PA locali e centrali dell’ufficio per la comunicazione digitale e le relative figure professionali. Norma da inserire nel Decreto dell’Agenda Digitale o in una direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Gli ultimi dieci anni, complici il definitivo sviluppo di Internet ed il boom dei social media, hanno letteralmente rivoluzionato il modo di fare comunicazione.
Ma anche e soprattutto di concepire il ruolo, i processi e – naturalmente – le professioni che a tale mondo fanno riferimento. Nessuno meglio di chi agisce e vive in questo ambito può infatti rendersi conto della velocità con la quale tale mondo muta e si evolve. Non è ardito affermare che un professionista che sia rimasto fermo a 10 anni fa oggi ha un profilo di competenze che è completamente inadeguato ad affrontare i problemi che quotidianamente si pongono a chi gestisce la complessa macchina della comunicazione.
Non fa eccezione, ovviamente, la comunicazione della Pubblica Amministrazione. Con l’aggravante che il mondo della PA, mai come ora sta vivendo una congiuntura complessa, portata dal combinato disposto di diversi fattori: il cambiamento veloce dello scenario di riferimento, la contrazione dei budget che – complice il patto di stabilità – vivono un processo di erosione continua e drammatica (come non ricordare in tal senso la Finanziaria 2010?), lo scenario normativo ormai inadeguato.
Ma se sui primi due punti poco si può fare, non vale lo stesso per il terzo.
La riforma della Comunicazione Pubblica è ormai una necessità ineludibile e non è un mistero per nessuno che la legge 150/2000, concepita ormai oltre 12 anni fa, vada rivista profondamente. Da una parte le nuove dinamiche di comunicazione, dall’altra l’impatto che esse hanno sulla struttura organizzativa e sul sistema di responsabilità e competenze dei comunicatori pubblici, rendono impensabile continuare ad agire con un assetto legislativo concepito in un mondo in cui il termine Social Media era sconosciuto ai più. E d’altro canto – rimandando forse ad altre occasioni una revisione complessiva dell’impianto della 150/2000 – non servirebbe molto per adeguarla al cambiamento apportato in tal senso dal Web 2.0.
Soprattutto in considerazione del fatto che abbiamo oggi una grande opportunità: l’Agenda Digitale.
Perché non prevedere nell’ambito dei lavori della cabina di regia quelle modifiche che avrebbero la possibilità di rendere la 150 più attuale? Perché non introdurre i nuovi profili di competenza e le nuove responsabilità del comunicatore pubblico nel contesto del pacchetto di provvedimenti che – in ultima analisi – riguarda proprio gli impatti del digitale sul nostro paese?
Perché non lavorare ad un Decreto Digitalia, approfittando del suo probabile slittamento, che al suo interno preveda anche di far sì che la Pubblica Amministrazione, nella gestione dei suoi processi di comunicazione, prenda atto dell’esistenza di una realtà – la Rete – che solo in Italia vede attive quotidianamente oltre 15 milioni di persone?
Quello che servirebbe è un intervento normativo preciso ma snello, che – destinato a durare – non diventi obsoleto dopo pochi mesi. Non occorre per questo un’altra legge sul Web, ma sarebbe necessaria una veloce modifica delle norme sulla comunicazione pubblica che consenta ai comunicatori della PA di non vivere il continuo processo di cambiamento di questo mondo come una criticità derivante da norme superate. Farlo è una grande un’opportunità. Non farlo sarebbe un’incomprensibile omissione.