“Se tenete ad una foto stampatela, perché tra qualche anno potreste non riuscire più a guardarla in digitale”. A dirlo non un neo-luddista digitale ma Vint Cerf, uno dei papà di Internet, oggi vice president and Chief Internet Evangelist di Google e, dunque, probabilmente, uno dei più convinti sostenitori del digitale al mondo. E non lo dice durante una chiacchierata tra amici ma al congresso annuale dell’American Association for advancement of science.“Stiamo correndo il rischio che tessere uniche del mosaico della nostra esistenza così come documenti storici di straordinaria rilevanza, nei prossimi anni, vadano perduti per sempre, divenendo, di fatto, inaccessibili”, ha detto Vint Cerf.Le parole saranno anche quelle di un’iperbole quasi profetica per richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori e della comunità internazionale ma il problema che Cerf solleva esiste davvero.
E il papà di Internet lo spiega in modo tanto semplice da renderlo comprensibile persino – ieri si sarebbe detto ad un bambino ma oggi è forse meglio dire – ad un adulto, non nativo digitale.
Credits: Flux Trends
Il problema non sta nella difficoltà (pure certamente esistente) di archiviare e conservare dati, informazioni e documenti digitali in modo corretto ed in modo che durino nel tempo ma nel rischio (elevato secondo Vint Cerf) che in futuro quei dati, quelle informazioni e quei documenti divengano di fatto inaccessibili, complice la rapida obsolescenza dei software e dei dispositivi hardware attraverso i quali, oggi, sfogliamo le nostre foto, ascoltiamo la nostra musica e navighiamo tra informazioni e notizie.Li avremo, magari anche in quantità enorme, ma non riusciremo a leggerli ed utilizzarli.
Ed è tratteggiando questo rischio che Cerf teorizza una “generazione dell’oblio o, addirittura un secolo dell’oblio” che evoca, inesorabilmente, l’immagine di una sorta di medioevo digitale. Uno scenario che appare quasi paradossale se accostato ai fiumi di inchiostro e di bit che, solo negli ultimi mesi, sono scorsi a proposito del cosiddetto diritto all’oblio ovvero all’esigenza di elaborare principi e strumenti giuridici e tecnologici capaci di garantire a ciascuno di noi il diritto ad accorciare la memoria “troppo lunga” della Rete.Ed è davvero paradossale rileggere il dibattito aperto dalla sentenza con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nel maggio dello scorso anno, ha stabilito che chiunque possa chiedere a Google di disindicizzare – a tutela appunto del proprio diritto all’oblio – qualsiasi contenuto che lo riguardi, mentre si ascoltano, in sottofondo le preoccupazioni di Cerf che preconizza una sorta di amnesia collettiva indotta da una inarrestabile obsolescenza tecnologica che ci impedirà di accedere persino al nostro passato prossimo, ai ricordi della nostra infanzia o a quello che è accaduto nel mondo mentre noi già c’eravamo.E’ interessante e sintomatico osservare l’enorme gap di interesse mediatico che c’è tra l’allarme lanciato da Vint Cerf l’altro giorno a proposito del rischio di un imminente medioevo digitale e la notizia della Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di diritto all’oblio.
Vint Cerf. Foto: venturebeat.com
Non c’è giornale, radiogiornale e, naturalmente telegiornale persino nella nostra Italia così poco digitale che non abbia dedicato ampio spazio al tema del diritto all’oblio con servizi, inchieste ed approfondimenti mentre, interrogando Google a caccia di notizie e commenti sull’allarme lanciato dal papà di Internet, ci si imbatte in una bella ed incisiva intervista video della BBC, un bel pezzo sul Guardian, qualche interessante articolo su altre testate straniere e su una manciata di webzine tecnologiche ma nulla di più, niente di neppure lontanamente paragonabile alla eco mediatica avuta dalla notizia dell’ordine che la Corte di Giustizia ha impartito a Google nella scorsa primavera.Sembra quasi che ci sia più paura che gli altri sappiano e ricordino troppo, anziché paura di esser forzatamente costretti tutti a dimenticare tutto e troppo in fretta.
Siamo davanti al paradosso della memoria digitale: troppo lunga per alcuni o, almeno, in una certa prospettiva e troppo breve per altri o, almeno, in un’altra prospettiva.
Trovare il giusto equilibrio è una sfida che non si può perdere ed è una partita che deve essere giocata senza risparmio di energie non solo e non tanto per noi ma, soprattutto, per i nostri figli, i nostri nipoti e le generazioni che verranno.Noi che stiamo vivendo nella società dell’informazione non possiamo e non dobbiamo scegliere per loro, lasciandogli un patrimonio informativo inferiore a quello che con strumenti neppure lontanamente comparabili a quelli dei quali noi oggi disponiamo, i nostri antenati hanno lasciato a noi.Sarebbe un altro paradosso della memoria.
GUIDO SCORZA