Disabilità: ci spiegate perché sono sempre i bambini a fare i grandi?

innovaizone

Vi ricordate, genitori, la vostra gita scolastica?

È sempre stato bello uscire dalle quattro mura scolastiche e trascorrere una giornata insieme ai compagni di classe, trovando una dinamica favorevole al gruppo. Perché non si è tesi, le antipatie passano in secondo piano e basta vivere quel momento come semplice serenità condivisa. In modo differente. Da marzo in poi non si pensa ad altro.

Da piccoli, come alla prima gita scolastica, io li chiamo incontri; da grandi scontri. Ci osserviamo sempre. Adulti o piccini che siamo. Curiosità prima, timore poi. L’istinto ci fa chiedere, la paura ci fa frenare. Interpellarsi sul perché non tutti possono avere una casa, un bicchiere d’acqua, una gamba fa bene, ma quando non riceviamo risposte siamo in difficoltà.

Perché se non si ha due occhi, due orecchie, due piedi, allora non va bene per il mondo. Appare diverso da ciò che siamo abituati a concepire.Lo scontro impone un muro. Considerare un altro modo possibile per avvicinarsi è complicato; un muro si può fissare all’infinito, non si vede oltre. Ci costringe a fermarci. A riflettere. A comprendere quella situazione fisica e mentale.

Non parlo solo della persona disabile nata e consapevole, ma chi lo diventa per una possibile interruzione di percorso.

Non vi è mai capitato di essere malati per una settimana? C’è un momento nella vita che permette di essere tutti allo stesso punto di partenza, e questo è proprio la malattia: “Condizione abnorme e insolita di un organismo vivente […] caratterizzata da disturbi funzionali, da alterazioni o lesioni – osservabili o presumibili, locali o generali – […] da comportamenti inconsueti riconducibili a sofferenza psicofisica.” Così definita dal vocabolario Treccani, prova del fatto che ci si sente un po’ meno (abile).

La sofferenza ci rende increduli, indifesi, impotenti. Diventiamo delle non persone. Un caso clinico per i dottori. Un numero per la burocrazia.

Mi piace l’affermazione “finché non ti capita non te ne curi”. In questo viaggio sono convinta che un po’ più vicino, sulla nostra pelle, o un po’ più lontano, alle persone che amiamo, certe circostanze capitano. Dovrebbero inventare da qualche parte dei wikiHow o dei Tutorial meglio, e invece queste situazioni le lasciano “scoperte” perché strettamente personali, e ognuno di noi vive in maniera differente. Il tempo improvvisamente si ferma quando non si può. Non corre più per nessuno. È come essere in macchina, al passaggio a livello e aspettare. E non ci sta bene a volte, e quando sappiamo una scorciatoia più comoda la imbocchiamo subito, senza pensarci troppo.

Ma chi non la conosce questa strada chiede (di solito alla persona non autorizzata) e resta fermo e attende risposte, sapete.

È necessario attuare delle modifiche per rendere accessibile la vita. Se non si vuole rimanere in casa a compiangersi.

Potrebbe darsi che la pedana a scuola non funzioni o che l’ascensore ad esempio sia troppo piccolo. E si decida di affrontare questi cavilli. Ebbene sì, esistono i cambiamenti, che si accettano, non c’è altra scelta.

Credits: personneltoday.com

Guardare avanti è l’unica via possibile, perché indietro non si torna. Ad un certo punto diventiamo qualcosa di diverso. Perché forse comprendiamo, riflettiamo. Ci si scontra con una realtà che non si aveva calcolato prima, semplicemente non si conosceva e non si aveva la percezione di essa. Ora bisogna farne i conti e provvedere.

SCUOLA E DISABILITA’

La barriera si alza qualche volta, e possono succedere cose belle all’interno di ambiente scolastico. E con una connessione che va e viene si trovano soluzioni, risorse a un piccolo necessario mutamento. Si possono seguire le lezioni dall’ospedale via Skype senza perdere un altro anno scolastico. Un passo ma pur sempre importante. Consapevoli della difficoltà e si risolve un problema. Accorgersi che assieme, con la partecipazione di più figure, si possono comunque porre attività quotidiane che funzionano adoperando metodi alternativi. Facendo conoscere la realtà, che forse non verrà compresa in un primo istante, perché intesa come sola agevolazione la prova equipollente, ma ci si proverà in ogni caso, senza perdersi d’animo.

Perché il “Sei disabile? Che vuoi uscire di casa? Addirittura dall’Italia, non sarà troppo?!” lo puoi sentire ancora. E quindi bisogna essere coscienti dei propri diritti, studiarli, valutarli, quando si è diventati maggiorenne. Rispondere con diplomazia. Farsi valere, alzare la voce quando necessario. Una perdita di tempo per non ottenere risposte, a volte. Perché non si sa davvero da che parte cominciare. E nessuno sa nulla. Bisogna agire, nonostante ci si senta debole o ancora troppo piccoli per il futuro che si vuole incontrare.

Alunni di una “scuola speciale”. Foto: museotorino.it

LE “SCUOLE SPECIALI” PER I “BAMBINI SPECIALI”

Una recente inchiesta di SuperAbile INAIL racconta di come le scuole speciali non siano state eliminate completamente dal 4 agosto 1977, la cui legge n° 517 proposta dalla Commissione Falcucci, aveva di fatto chiuso. Era stato un passo importantissimo che faceva progredire l’impegno da parte della struttura scolastica all’integrazione. Ora le scuole speciali per bambini e ragazzi con disabilità, in Italia, sono circa una settantina. E vengono scelte, dai genitori, per insoddisfazione verso i percorsi scolastici tradizionali. Perché? Non mi soffermo di più e fa strano leggere queste righe. Ancora una volta l’esclusione ha la vittoria, quando si potrebbe migliorare il terreno presente pensando a una scuola integrata ove più sostegno influenzerebbe le vite di ciascuno perché in piccolo, la scuola, contesto che abbiamo vissuto, è lo specchio della società in grande. Valorizzare ogni singola persona già all’interno di un ambiente come questo è complicato, ma ogni attività porterebbe beneficio alla propria diversità e quindi unicità.E l’art 3 della Costituzione dice bene: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

QUANDO LE ASSOCIAZIONI FANNO LO STATO

Allora, come mettersi nei panni di chi vive costantemente questi scogli?Per esempio, googlando “disabilità” e trovare “Adottare una barriera e… abbattiamola “, il titolo del nuovo progetto che l’Associazione L’Arcobaleno di Asti ha proposto alle insegnanti e poi alle classi delle elementari della città. Non ho aspettato più di cinque minuti a inviare una mail per avere ulteriori informazioni. A rispondere la gentilissima Maria Teresa, socia fondatrice de L’arcobaleno. Da quattro mesi, nelle scuole, con lo scopo di sensibilizzare i bambini e i ragazzi sulle tematiche relative alla disabilità. Attraverso più incontri in cui spot, cartoni animati, fiabe e disegni sono i protagonisti. Creare occasioni di inclusione sociale, e insieme abbattere le barriere dell’indifferenza.

Il Censis che stima il numero di alunni disabili (in Italia) nella scuola è cresciuto dai 202.314 dell’anno scolastico 2012/2013 ai 209.814 del 2013/2014 (+3,7%).Questo vuole essere un’opportunità di stimolo educativo per i piccoli cittadini di Asti e Provincia. E, non solo, l’Associazione Arcobaleno ha organizzato la “SKAROZZATA”, con il contributo del Laboratorio Ortopedico Astigiano (L.O.A.), l’associazione Progetto Radis, e altre realtà locali. Il nome dell’iniziativa viene dall’omonimo movimento culturale nazionale, che realizza passeggiate con sedie a rotelle nei centri storici delle città d’Italia. Si svolgerà nel centro di Asti, oggi alle ore 10, da piazza del Comune; anche a Canelli (AT) , mercoledì 3 giugno, alle ore 10, da piazza della Repubblica. Durante la manifestazione avrà luogo la premiazione della scuola Primaria F. Baracca di Asti che ha partecipato al concorso “Adottiamo una barriera e… abbattiamola”.Un’opportunità pensata per provare la disabilità con l’obiettivo di sensibilizzare grandi e piccini. Come ci si sente? Quali sono le difficoltà? Cosa si potrebbe migliorare?

E se dobbiamo abbatterle le barriere, parlando di più piccoli, è importante conoscere e superare i limiti fisici per quanto riguarda il gioco.

L’art 31 della dichiarazione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 scrive: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative […]”

Insieme per seminare qualcosa. Per lo più sono genitori come voi. Che non si abbattono ma combattano a testa alta. Tutti a Scuola ONLUS, un’organizzazione no profit nata ormai dieci anni fa da Antonio Nocchetti presidente dell’associazione e medico, è riuscita nel suo intento: fare squadra per salvaguardare il diritto allo studio delle persone disabili. L’associazione ha contribuito alla sensibilizzazione all’argomento.

Sono arrivati alla XI edizione di Giochi senza barriere alla Mostra d’Oltremare, Napoli. Una giornata, quella del 15 giugno, all’insegna della musica, dell’animazione, dello sport per tutti. Contribuite al sostegno di questa grande Festa attraverso il crowdfunding che trovate qui.

Un’altra bella storia suggerita dai giochi senza frontiere è l’associazione “Art4Sport” di Mogliano Veneto (TV) , che crede nello sport come terapia per bambini e ragazzi portatori di protesi di arto. La ONLUS è ispirata alla storia vera di Beatrice Vio, meglio conosciuta come Bebe, ragazza diventata disabile, che nonostante tutto ha continuato lo scherma e a vivere il proprio sogno. La famiglia di Beatrice si è data da fare per permettere a lei e a altri bambini di ottenere protesi, ausili accessibili e specifici per praticare semplicemente sport.

“GIOCHI SENZA BARRIERE”

Quest’anno, il 27 giugno 2015 all’arena civica di Milano, ci saranno i Giochi Senza Barriere 2015, in occasione di EXPO, di cui Bebe è anche Ambassador, ci si misura con l’energia per la vita all’insegna del gioco e del cibo per il benessere di ciascuno.Otto squadre, otto regioni, composte da venti componenti ciascuna. Giovani disabili e non, senza una gamba, o con un protesi si affronteranno in più sfide sportive accessibili. “Questo posso farlo” e puntare sulle abilità che ognuno di noi possiede. Lo spirito paralimpico sarà motivo fondamentale di questi giochi per far conoscere l’altra parte.

PERCHE’ QUESTO POST

È capitato che leggessi la storia dei bambini di quinta elementare di Cosenza. Niente di più semplice di un articolo che raccontava un episodio, la gita scolastica, rimasta in attesa.

Bisogna porsi degli obiettivi, credo. E raggiungerli poco a poco.

Per chi corre, per chi è seduto, per chi non vede, per chi usa un altro linguaggio per comunicare, non importa.Penso che un solido supporto alle spalle sia dato dalla famiglia. Colei che intimorita ci lascia al mondo prima o poi. Che sia tutto a posto, o che si sia senza una mano è lo stesso per chi ha imparato a cavarsela prima insieme, poi indipendentemente. Sono convinta che i bambini siano influenzati dagli atteggiamenti degli adulti. Oggi non è scontato parlare della differenza a casa e a scuola poi. Dobbiamo darci una scossa, tutti, per sorpassare questi pregiudizi che altro non sono che barriere e attese inutili al passaggio a livello.

“Sarà difficile chiederti scusa

per un mondo che è quel che è

io nel mio piccolo tento qualcosa”

(“A modo tuo”, Elisa – Ligabue)

Perché piuttosto i genitori direbbero – vorremmo fosse capitato a noi – , e si arrabbiano con il mondo e provano pure loro a essere forti per noi, figli.

PICCOLA STORIA DI UNA BIMBA SENZA NOME

Alla bambina senza nome le venivano poste delle domande dai compagni. Bastava rispondere “sono nata così”.Era l’ora del gioco, della verifica, della lezione. Volevano toccarla quella cosa diversa, e vedere che in ogni caso funzionava, anche se più corta, alla stessa maniera. La bambina senza nome era abituata agli sguardi, e continuava a camminare lungo la sua strada.

Le scale, la bambina senza nome non le poteva fare. L’ascensore era troppo piccolo, la pedana non funzionava. Avete soluzioni? Lei vorrebbe continuare a studiare. Avrebbe voluto avere due gambe libere che camminavano, che correvano, che saltavano. La bambina senza nome ormai cresciuta faceva lezione su Skype. Per fortuna, in quel liceo poteva. La bambina senza nome cresciuta doveva farsi avanti, farsi comprendere, e provare a essere forte.

La ragazza senza nome ricorda che era seduta su una sedia con le ruote. In corridoio correva, correva, correva. E lei era divertita, sebbene fosse seduta, aveva trovato un modo alternativo per correre. Insieme ai suoi compagni di classe, e questo era bellissimo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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