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Disoccupazione al contrario: queste aziende chiuderanno per mancanza di dipendenti

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Lo dico in premessa: ciò che leggerete non è né una ricerca basata su dati, né una provocazione fine a se stessa, ma un ragionamento che da diverso tempo sto portando avanti con amici, colleghi e persone che incontro in ambito professionale e che voglio condividere per proseguire la riflessione.

Il punto è questo: in un tempo relativamente breve (meno di dieci anni) ci saranno diverse aziende che si troveranno costrette a chiudere per mancanza di dipendenti.

E non parlo del mismatch tra domanda e offerta, cioè della mancanza di professionalità adeguate a ciò che il mercato richiede, ma di una scelta consapevole da parte dei lavoratori. Il nodo è quello dei valori in cui l’impresa crede e della modalità di interazione tra azienda e dipendenti.

credits: humanresourcesonline.net

I valori

Un conto è la Corporate Social Responsibility e le azioni di “comunicazione” che l’azienda fa, un conto è il credere davvero in un modo differente di fare impresa: dall’attenzione all’ambiente a quella a temi come diversity, smart working, sviluppo familiare o valorizzazione delle risorse umane, ci sono valori che per molte persone non sono più negoziabili, che determinano cioè l’interesse, o meno, a lavorare per una data azienda. Un tempo eravamo poco attenti a come il nostro datore di lavoro si comportava in determinate situazioni, ora se l’imprenditore o l’amministratore delegato sgarrano iniziamo a infastidirci, domani non accetteremo più di lavorare per loro. Questo perché i più giovani non sono disposti al venire meno di concetti che sono nel loro Dna e la loro convinzione pervaderà anche le altre generazioni.

Il rapporto azienda-dipendenti

Qui si inserisce la relazione tra l’impresa e il professionista: “Come costruiamo il nostro rapporto?” sarà la domanda che selezionatori e direttori del personale sentiranno sempre più spesso.

Cioè, non più “Cosa mi offrite?” o “Che contratto/stipendio avrò?”: si passerà dalle questioni su punti specifici alla riflessione più ampia su come si può fare un pezzo di strada assieme, come si può crescere, che obiettivi ci si vuole dare, che modalità di lavoro si instaurerà, come potranno bilanciarsi vita lavorativa e personale. Si tratterà cioè un rapporto tra pari, nel rispetto delle esigenze di entrambe le parti e considerato che si avrà un rapporto a tempo, coscienti tutti del fatto che mille variabili sono davanti a noi e che non esiste più il tempo indeterminato, non tanto dal punto di vista contrattuale, quanto da quello personale, intellettuale, se vogliamo anche quasi intimo.

Il ruolo delle HR

Cambia, per forza, anche il ruolo delle risorse umane. Non solo nel nome, attenzione: ufficio del personale, hr, people value… di naming mutanti, in questi anni ne abbiamo visti tanti, di responsabili hr competenti e capaci di lavorare nell’interesse dell’azienda e del lavoratore meno che pochi. Cambia il ruolo, perché alle promesse in sede di contrattazione e assunzione dovranno per forza seguire i fatti: smart working, flessibilità, premi basati su obiettivi realmente misurabili, crescita personale e professionale, formazione seria. Sono tutte cose che il dipendente non solo chiederà, ma che determineranno un rapido abbandono – e un rating pubblico negativo dell’impresa – qualora le promesse non fossero mantenute.

Questo significa che gli uffici del personale (a me piace chiamarli ancora così, al posto di altisonanti nomi che lasciano sperare chissà cosa e non contengono nulla) dovranno iniziare a lavorare seriamente su ogni singola persona. Persona, non dipendente. Vuol dire capirne esigenze, richieste, proposte, studiare percorsi di valorizzazione, premiarne capacità e risultati, comprenderne difficoltà e titubanze. Vuol dire costruire un meccanismo grazie al quale l’impresa può tornare a essere un insieme di persone che lavorano assieme per costruire valore, in cui chi non produce sia prima di tutto messo ai margini dai colleghi stessi, in cui si sviluppi competizione sana e trasparente e in cui ognuno possa essere valorizzato per ciò che è.

Il digital come strumento della relazione

In questo percorso di cambiamento dell’impresa in senso human-centered, il digitale ha un ruolo fondamentale: può aiutare imprenditori, manager e responsabili del personale a capire, aiutare e valorizzare le proprie risorse, in una relazione costante e diretta. Questo avverrà grazie ai social network, all’analisi dei dati e delle interazioni, a meccanismi di gamification, alle App che favoriscono l’interazione, al dialogo costante in rete tra persone che lavorano per la stessa azienda. Non è semplice costruire meccanismi funzionali e funzionanti, ma le possibilità esistono tutte, sono a nostra disposizione, la sfida è passare per davvero dal misurare le ore al misurare i task portati a termine con successo, dal considerare una persona per il ruolo che occupa al considerarla per gli interessi che ha e che sviluppa, dal valutare la mera esecuzione al sostenere l’engagement della persona nei confronti di ciò che l’azienda fa e produce.

La sfida è tutta qui, nel ripensare il lavoro – e con questo il rapporto tra impresa e lavoratore – in maniera human-centered: socialità, creatività e relazione sono ciò che ci rende non sostituibili da un robot.

Ed è così che si tornerà ad avere il dipendente che in piena notte chiamerà al telefono il datore di lavoro urlando che “Sì, la soluzione a quel problema enorme l’ho trovata, dottore non si preoccupi, non falliamo, da domani si torna a crescere!”. Insieme.Perché il tempo della infinita e a mio avviso insostenibile lotta di classe è terminato, impresa e lavoratori sono nella stessa barca (sì, sono un olivettiano, se qualcuno avesse ancora qualche dubbio a questo punto della lettura): un buon prodotto e una più alta produttività, accompagnati da un buon ambiente di lavoro e da una più alta considerazione delle esigenze delle persone, significano successo. A vantaggio del datore di lavoro e del lavoratore.

Employer. Employee.Usare l’inglese rende bene il senso di quanto ho esposto: le due parole sono praticamente identiche. Allora, vogliamo co-costruirlo da subito, questo nuovo mondo del lavoro? Le aziende che non lo faranno, domani non ci saranno più.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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