Do It Yourself, la risposta dei maker al cambiamento climatico

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All’inizio dello scorso dicembre si è tenuta a Parigi la COP21, conferenza annuale sul clima, che ha visto impegnate per 12 giorni delegazioni provenienti dai 192 paesi che aderiscono all’UNFCCC.

Il presupposto di partenza era: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. Sulle basi di questo assunto le diverse parti hanno lavorato intensamente per trovare un accordo che potesse soddisfare almeno quelle nazioni che insieme producono una quota pari al 55% delle emissioni totali di gas serra.

Come spesso accade, i risultati hanno spaccato in due l’opinione pubblica: c’è chi si è detto soddisfatto del tetto massimo di 2° all’aumento della temperatura e chi ha ritenuto inadeguato il sistema di controlli basato sulle autocertificazioni dei singoli stati.

Il dissenso è stato forte, e nelle piazze di tutto il mondo si sono susseguite manifestazioni, alle volte anche violente, che purtroppo hanno distolto l’attenzione dai veri problemi climatici e che sono state utili esclusivamente a far parlare la stampa.

Le alternative dei maker: POC21

C’è invece chi ha preferito continuare a lavorare sodo per proporre alternative reali, persone che da tempo si interrogano su nuove tecnologie e sperimentano soluzioni innovative per un futuro sostenibile. Questi pionieri si sono riuniti per vivere e lavorare insieme all’interno del castello di Millemont alle porte di Parigi e dare vita ad un meeting di 5 settimane per scambiare sapere e saper fare.

Questo è stato il POC21, Un evento organizzato da Ouishare, think e do tank internazionale sull’economia collaborativa e Open State, una comunità di ecogeeks impegnata nel trovare soluzioni open source per un futuro senza rifiuti e senza combustibili fossili.A detta degli organizzatori l’obiettivo del camp è stato “to build the tools we need, for the world we want”.

Sin da questo presupposto è chiara la volontà di rendere accessibile e hackerabile qualunque output generato, ma soprattutto il riferimento ad un noi collettivo, un approccio completamente bottom up, in forte contrasto con il COP 21.

Nei giorni passati, è stato rilasciato online il documentario che ripercorre, settimana per settimana le tappe che hanno segnato l’evento. Il mio scopo non è quindi creare un report dettagliato a riguardo, ma piuttosto sottolineare gli aspetti che denotano un totale cambiamento nell’approccio alla sostenibilità ambientale e sociale rispetto al paradigma dominante.

#1 Per prima cosa è stato fondamentale costruire una comunità.

È nata online, attraverso il processo di selezione dei 12 progetti che avrebbero sviluppato concretamente la propria idea; successivamente si è materializzata nel castello di Millemont, per convivere 5 settimane e per auto-costruire un vero e proprio villaggio autosufficiente.

Il web si è sostituito alle piazze cittadine come aggregatore di persone provenienti da culture simili e complementari,

ma la presenza fisica rimane centrale nella creazione di un ecosistema stabile e resiliente, perché non va dimenticato, che questa rete è composta da persone e come tale risentirà degli aspetti fisici e emotivi delle stesse.

2# Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è l’attenzione al recupero degli spazi inutilizzati,

Il recupero cioè di quei luoghi che appartengono al passato e che nel tempo hanno perso le proprie antiche funzioni di base. In questo caso, l’intero evento si è tenuto in un castello, ma

cosa succederebbe se si potesse rigenerare un intero villaggio, oppure un paese disabitato per creare nuove possibilità di lavoro basato sull’autosufficienza alimentare, energetica ed idrica per i giovani precari italiani?

Si potrebbe sfruttare la ricchezza che ci è stata consegnata dai nostri avi e creare un ponte tra tradizione ed innovazione, gettando le basi per i nuovi prodotti Made in Italy.

3# Il terzo punto importante è l’approccio open, inteso a 360 gradi.

Open source, open hardware, open governance, l’intero processo è stato aperto, ogni singolo partecipante è stato abilitato ad operare al massimo delle proprie possibilità e di conseguenza responsabilizzato nel suo comportamento, facendo in modo che il processo potesse essere completamente collaborativo. I 12 progetti realizzati durante il POC 21 sono stati rilasciati su Instructables, con licenza Creative Commons, in questo modo chiunque, in qualunque paese del mondo potrà replicarli e ricontestualizzarli in base alle proprie esigenze locali. La grande forza di vivere in un mondo ormai glocale è proprio questa, ora possiamo scambiare velocemente dati che possono trasformarsi in oggetti, personalizabili in base al luogo, il clima, la cultura e le necessità.

Per ultimo mi piacerebbe riflettere su una cosa:

l’ ascesa della cultura maker, la cultura del “fare” che si contrappone con forza al vecchio modello delle parole e delle promesse che tarda a lasciare lo spazio al nuovo.

L’accesso all’informazione, al sapere e al saper fare, stanno rendendo l’approccio DIY sempre più conveniente ed efficace.

Questo però non deve fomentare entusiasmi mal riposti, è importante ricordare che stiamo parlando ancora di nicchie, in forte crescita, ma comunque ancora nicchie sparpagliate nel mondo. In ogni caso l’obiettivo inizia ad essere chiaro; come cita il sito del POC 21: “Our ultimate goal was to overcome the destructive consumer culture and make open-source, sustainable products the new normal.

Quello che ho imparato da questo esperimento è che ce ne vorrebbero altri, sempre di più e sempre più distribuiti, per risolvere necessità reali partendo dalle località, passando per la globalità per tornare a nuove località. Modificare il paradigma dominante senza dovercisi scontrare, e costruirne collettivamente uno nuovo, che metta al centro la persona e le proprie esigenze, ma che sia in grado di sfruttare al massimo le tecnologie che abbiamo a disposizione.

“Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.”(cit. Richard Buckminster Fuller)

DANIELE BUCCI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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