Ci risiamo. Dopo l’attacco terroristico a Parigi, i poteri in Europa tornano a considerare l’opportunità di una sorveglianza di massa. Ed è notevole il ruolo della tecnologia in tutto questo: un ruolo ambivalente, come le è consueto. La tecnologia è malvista dal potere securitario quando dà ai cittadini un modo per esercitare il diritto alla privacy e alla libertà di espressione; al contrario è apprezzata quando può essere strumento di sorveglianza diffusa.
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Questa ambivalenza presente è tutta intera nelle ultime mosse del premier inglese David Cameron. Sono già note le ultime dichiarazioni per mettere al bando le tecnologie di comunicazioni che, usando crittografia, non sarebbero intercettabili. Meno noto è il contesto in cui Cameron ha fatto queste dichiarazioni. Per prima cosa, si associa al tentativo di recuperare il Communication Data Bill, che obbligherebbe gli operatori inglesi a conservare tutti i dati internet, mail e telefonici.
Non solo: Cameron intende fare sponda sugli alleati americani per perfezionare questo controllo. Vorrebbe infatti che gli Stati Uniti obbligassero Facebook e Twitter a fornire al Regno Unito i dati di presunti terroristi. Attraverso i social e i cellulari, la tecnologia non ha mai dato così tanti appigli per una sorveglianza di massa.
Eppure questo sviluppo sarebbe un ritorno al passato rispetto alle ultime vicende, che sembravano andare in direzione opposta
La richiesta agli Stati Uniti rieccheggia infatti quell’alleanza tra i due Paesi che è stata al centro dello scandalo delle intercettazioni illegali di Nsa, rivelata da Snowden. Il Communication Data Bill sembrava storia passata,sepolta dopo la bocciatura da parte della Corte di Giustizia europea della direttiva Data Retention. Val la pena ricordare i motivi di quella bocciatura: “la Corte di Giustizia ritiene che, richiedendo la conservazione di quei dati e consentendo alle autorità nazionali competenti di potervi accedere, la direttiva interferisce in modo particolarmente serio con i diritti fondamentali del rispetto della vita privata e di protezione dei dati personali”.
Inoltre la Corte aggiunge che la direttiva viola il principio di proporzionalità, pur riconoscendo che la direttiva affermi che la Data Retention debba essere fatta nel rispetto dei diritti fondamentali e riconoscendo anche il fine di soddisfare l’interesse generale attraverso il contrasto al crimine.
Sembra incredibile, ma la storia ci mette davvero poco a ripresentarsi simile, annullando d’un colpo quelle che fino a un momento prima sembravano evoluzioni irreversibili
Contro la sorveglianza di massa erano arrivati, oltre alla decisione della Corte di Giustizia, il Marco Civil brasiliano e, in Europa, varie Carte dei diritti. Ma le crisi, di varia natura, sono l’ambiente ideale per ridurre i diritti (la scienza politica le chiama “stato di eccezione”). Ad oggi è la minaccia terroristica il paradigma con cui questo processo avviene.
La stessa direttiva Data Retention è stata dettata all’indomani degli attacchi terroristici di Madrid. E dopo l’11 settembre c’è stato il Patriot Act negli Usa, abilitatore della sorveglianza di massa Nsa.
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Non si può prevedere, ancora, se alle parole di Cameron seguiranno fatti. O se l’ansia di tecno controllo si diffonderà come un virus in Europa. Ma una delle cose poco riferite dalla stampa italiana è che anche il Governo francese ha fatto annunci a favore di una nuova sorveglianza massiva. E negli Stati Uniti uno studio federale, della National Academy of Science, è giunto alla conclusione che nessuna tecnologia software può sostituire la raccolta di massa dei dati. È una risposta al tentativo del presidente Obama di riformare le pratiche della Nsa con una sorveglianza più mirata, guidata appunto da tecnologia software.
Insomma, si sta allineando di nuovo il fuoco di fila, della politica e della scienza, per abilitare il ricorso alla sorveglianza di massa
Eppure non è opinione condivisa che questa sia una strada utile agli stessi interessi securitari. Un parere appena pubblicato su New Scientist da un matematico della Open University inglese dice che “la sorveglianza di massa non è efficace per scoprire i terroristi”, per un semplice motivo statistico. Il suo effetto sicuro è invece di indebolire i diritti di tutti, buoni e cattivi.
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Lo stesso vale per la crittografia. Per vietarla ai terroristi bisogna vietarla a tutti i cittadini, rendendoci insomma tutti più esposti a controlli anche illegali. Questo è un concetto cardine delle tecnologie di comunicazione e di internet in particolare: non le si può vietare a qualcuno senza vietarle a tutti, peggiorando la libertà di un intero popolo.
È dal 1991 che il Governo Usa prova a mettere a bando la crittografia, che finora però è riuscita a farla franca mettendosi sotto l’ombrello della libertà costituzionale di espressione
“Nei Paesi dove la privacy ha una qualche importanza, la possibile utilità della sorveglianza di massa non è motivo sufficiente a giustificarla”, dice Jovan Golic, responsabile dell’area privacy e sicurezza presso Eit Ict Labs dell’European Institute of Innovation & Technology. “Invece, sono richieste prove concrete perché un giudice ordini una sorveglianza mirata. E comunque, secondo molti esperti, non ci sono prove che una sorveglianza di massa sia efficace per prevenire i crimini”, aggiunge.
Di nuovo, la minaccia terroristica rischia di riportarci su questo sentiero che pensavamo abbandonato per sempre. Senza vantaggi certi per i cittadini e svantaggi più che certi per la salute della democrazia.
ALESSANDRO LONGO