Antefatto: a Dicembre 2010 sono ad un convegno con Salvatore Iaconesi, alla Naba, quasi cieco da un occhio per un incidente d’allenamento e tanto stanco ed eccitato da sragionare, avevo conosciuto Salvatore e Oriana dal vivo solo il giorno prima, la sera eravamo stati ospiti da Alex Giordano, avevamo preparato un sunto di 15 minuti del nostro speech in inglese, che avrebbe trattato di ubiquità, di una nuova attenzione per il corpo e le relazioni sociali, del nostro sempre più lieve interesse per gli aspetti formali in architettura. A metà dell’ottima cena vegan a casa di Alex gli chiedo un parere: “una mia amica sta fondando un coworking a Firenze, mi ha proposto di partecipare, secondo te dovrei?” Risposta: “io mi butterei a pesce!”
Luglio 2014 tre nuove sedi di Multiverso in preparazione, cinque già aperte tra Toscana e Umbria, 150 professionisti e un pugno di società lavorano in un’unica rete, comunicazione, ricerca, commercio; fin dall’inizio ha voluto essere anche capace di far ricerca su se stessa, sui nuovi spazi di relazione nel mondo dei freelance; il paradosso è che Silvia Baracani per lavorare con me è costretta ad allontanarsi dal luogo che ha cofondato e contribuito a disegnare, se è lì non riesce a smettere i panni di coworking manager per assumere quelli di architetto e designer, il suo cellulare ha come suoneria il rumore che facevano i modem quando andavi sulle BBS, squilla in continuazione.
Per il primo coffee club, lo spazio di relazione dei coworking, dobbiamo compiere un piccolo miracolo, lo spazio è alto 6 metri ed ha un’acustica pessima, non c’è budget per sostituire l’illuminazione, il luogo ha una natura polifunzionale all’estremo: si mangia, si accolgono clienti, si serve da bere, si fanno feste, relatori parlano e mostre d’arte vengono allestite mensilmente, inoltre noi vogliamo che sia bellissimo. E’ obbligatorio l’uso del pensiero laterale, dalla scenografia prendiamo in prestito un materiale controverso ma ineguagliato: il polistirolo è molto economico, leggero, igienico, antistatico, assorbe il riverbero, diffonde la luce, si taglia a controllo e se rivestito di resina può essere molto resistente, ruvido o lucido come carrozzeria. Sul soffitto appendiamo una grande scultura autoportante per diffondere la luce, cambiare l’acustica, rendere un ex spazio industriale accogliente, è una volta che ricorda i soffitti delle case fiorentine ma è generato da un algoritmo.
Al suolo, escludendo bancone e mensole per appoggiarsi e lavorare, un unico oggetto mutevole, una poltroncina che diventa tavolo o viceversa, battezzata Multiversa.
Missione compiuta, la Multiversa piace un sacco, c’è uno dei coworker che aspetta che si liberi posto nella Silicon Valley e con fare da manager ci propone: “se la ridisegnate in modo che sia industrializzabile facciamo un kickstarter insieme” (il polistirolo è ok, ma non ha economie di scala, 100% artigianale).
Io nel frattempo faccio il designer dei poveri, imparo le basi della produzione industriale sul campo: una macchina del caffè a cialde, una macchina medicale, divento il designer di un’azienda di stereo di qualità eccelsa, d’altronde mi sono laureato in architettura ma la tesi aveva per soggetto un robot per immagazzinare energia solare.
Comincia a delinearsi ai miei occhi il quadro della piccola e media impresa italiana, il modello che ha fatto la nostra fortuna e che ora tutti maledicono perché sembra non funzionare più. Lavorando con una persona che risolve problemi industriali e girando per le fabbriche, l’idea è fare R&D itinerante, le aziende hanno in pancia prodotti desueti, molte hanno fatto la mossa suicida di licenziare gli ingegneri per resistere alla crisi.
Mentre molti fanno la fila per usare le macchine dei Fablab (sempre siano lodati questi spazi) io non ci ho ancora messo piede, per metà del mese il mio Fablab è la regione Marche, non ho mai avuto una 3D Printer ma facevo oggetti in prototipazione rapida già 6 anni fa, bussando alle aziende che servono i tacchifici (i tacchi sono in ABS), anche uno scanner 3d ad alta definizione non è difficile da trovare nei distretti calzaturieri, mentre le tagliatrici laser qui tagliano la pelle. Se mi serve di sviluppare un prodotto in lamiera, in molti mi aprono le porte, proprio perchè questi tempi sono scuri e incerti, 10000 metri di capannone con macchine per milioni di euro possono farti girare la testa. Ma è anche un luogo dove farsi amico il fabbro artigiano che sa ancora forgiare come faceva suo nonno, si rifiuta di comprare i semilavorati in un catalogo, mi è amico e nessuna macchina potrà mai sostituirlo.
L’altra metà del mese sono in Toscana, un altro bel FabLab dove si sa fare oreficeria, ceramica, robotica, tessile all’avanguardia e falegnameria artigiana come in nessun altro posto al mondo. Lavoriamo, io e Silvia, sperimentiamo e cerchiamo sodali tra chi sa fare le cose, oppure chi ha belle macchine e soffre a vederle ferme, il primo scopo è realizzare i coworking in modo da fornire tutto l’arredamento che serve, offrendo il servizio completo, dalla ricerca dello spazio, alle pratiche, alla direzione dei lavori per arrivare all’arredo, per il quale sviluppiamo ogni volta nuovi modelli da aggiungere al nostro personale catalogo; dato che qualcuno paga per i prototipi (purché funzionino e siano economici) riusciamo ad attrarre l’attenzione di nuovi produttori che hanno voglia di mettersi in gioco. Dopo mesi di gestazione, la sede di Multiverso Siena ha avuto nuovi controsoffitti, sedie, tavoli, banconi scultorei e strip led realizzate per noi su misura, con telecomandi rgb per gli spazi relax, abbiamo provato a realizzare su disegno anche le scrivanie, che a causa dei tempi di sviluppo, sono state realizzate a Siena da uno bravo, ma sono finite alla sede di Firenze Via della Scala, aperta a inizio luglio.
Queste scrivanie le abbiamo disegnate insieme ma nascono da una mia idea, avevo bisogno di un mobile ed ho un amico con una fresa a tre assi, ho sviluppato un sistema di montaggio che riduce al minimo l’intervento umano, escludendo una carteggiata ed una mano di pittura, il montaggio è velocissimo, basta quello che chiamiamo “il ragioniere” (la mazza di gomma), niente colla, niente viti; il risultato è un buon tavolo di vero legno che costa praticamente come quelli di truciolare che ti vende l’ikea, ma si monta senza bestemmiare, non teme l’umidità e può essere rismontato senza ridursi in poltiglia (si nota che amo l’IKEA?).
Ora ho un altro bel d’affare, essendo uno che si vanta di poter fare tutto l’arredamento che serve al cliente, su misura, a prezzi più bassi del mio concorrente svedese, mi sono offerto di aiutare una coppia di amiche che hanno bisogno di un bel posto dove stare in pace e far crescere tre bambini (anche questa è innovazione, che vi piaccia o meno), loro si armeranno di rullo per risparmiare anche sulla finitura, così dovranno chiedere un finanziamento più piccolo, io avrò il necessario stimolo per disegnare loro cucine letti, armadi, lampade e quant’altro, anche se, tocca ammettere, per i sanitari e gli elettrodomestici dovremmo comprare roba di serie.
Conclusione:Sono abbastanza sicuro che le sedie della cucina di mia nonna fossero delle Carimate, delle 122, che Vico Magistretti disegnò per il golf club di Carimate, mi piace pensare che fu uno dei fratelli Cassina, a proporre a Magistretti di fare in serie un suo progetto nato per un luogo specifico. Credo che all’inizio gli architetti che hanno fatto il design italiano semplicemente disegnassero tutto perchè non c’era niente di buono da comprare, i produttori erano poco più che artigiani e li avvicinavano gentilmente.Quell’aspetto pionieristico è finito da decenni, sono diventati tutti grandi e grossi e ora sono lenti, amministrano i diritti di riproduzione. Il design è fatto di flussi, è tempo di nuovi artigiani ambiziosi che aspirino a fare il salto di qualità, come fecero i fratelli Cassina e gli altri dei tempi d’oro, e se non c’è in giro la stessa voglia perchè non c’è nessun boom, andranno cercati e stimolati, nel nostro piccolo lo faremo, e non saremo i soli.
p.s. Alex, grazie del consiglio.
Firenze, 2 settembre 2014STEFANO BONIFAZI