Dove vanno a finire i curriculum per l’Agcom? – Chefuturo!

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Dopo la straordinaria e partecipata richiesta di maggiore trasparenza, avviata soprattutto dalla meritoria candidatura di Stefano Quintarelli, la conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati ha rinviato al 6 giugno prossimo le votazioni per le nomine dei membri dell’AGCOM e Privacy. Inoltre, ha stabilito il primo giugno come scadenza per la raccolta dei curricula dei candidati. Gianfranco Fini si è impegnato con una dichiarazione pubblica a raccogliere i CV dei candidati entro quella data e inviarli ai parlamentari che dovranno votare i commissari.

Tuttavia, anche questo cambio di rotta rischia di essere solo un diversivo e nulla più di uno specchietto per le allodole. Infatti, non esiste nessuna procedura di selezione: non si sa come e a chi inviare i CV, tutto passa solo dalle pagine dei giornali o delle testate online specializzate sul tema, né sono stati stabiliti criteri di accesso alla selezione o requisiti per le posizioni vacanti.

Alcune persone la settimana scorsa hanno pensato a me e mi hanno chiesto di candidarmi a commissario dell’Autorità. Bene, anche volendo mettermi a disposizione, ad oggi io non saprei neanche a chi inviare la domanda, né ho modo di capire se posseggo i requisiti necessari. Altre persone – esperti come Dario Denni, testate online come Key4Biz di Raffaele Barberio – hanno raccolto i curriculum di autocandidature o rumours giornalistici intorno a potenziali candidati e sulla base di questo hanno lanciato una campagna per la rappresentanza di genere e una per la trasparenza nelle nomine AGCOM. Altri come l’Open Media Coalition conducono una battaglia sulla trasparenza e l’indipendenza delle nomine oramai da settimane. E chissà quanti ne dimentico!

Persino, Frank La Rue, relatore speciale delle Nazioni Unite per la libertà di opinione, ha ritenuto di scrivere al Governo italiano per manifestare la preoccupazione per il rischio di assenza di trasparenza nella nomina dei componenti dell’AGCOM.

Nonostante tutte queste iniziative, cambiamenti significativi e sostanziali non sono stati fatti. Trasparenza, infatti, non significa soltanto raccogliere i curriculum (peraltro chissà dove e come) . La trasparenza ha senso se incardinata in un contesto di regole e criteri che rendono le scelte non arbitrarie. Possibile che non ci siano criteri per la selezione? Quali requisiti devono avere i commissari? Perché non si fa un bando europeo, come sarebbe normale? Perché non si fanno audizioni ai candidati, come in molti paesi dell’Unione?

C’è poi l’annosa questione della rappresentanza di genere, diventata legge per le società quotate, ma sempre dimenticata nelle nomine istituzionali. E, last but not least, la questione generazionale. Tutte le statistiche ci dicono che il nostro non è un paese per giovani.

Affidare la regolazione di un settore per sua natura “in movimento” a chi sa coglierne naturalmente gli aspetti di innovazione e cambiamento, mi sembrerebbe di per sé un criterio irrinunciabile.

C’è poi un’altra questione, la più importante: quella del merito delle cose. Quali sono i compiti dell’AGCOM? In sintesi, riprendendo la legge istitutiva, l’Autorità dovrebbe: assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato, tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini, favorire lo sviluppo delle nuove tecnologie e della società dell’informazione, nonché la formazione di nuovi linguaggi e l’alfabetizzazione digitale dei cittadini.

Questo in uno scenario che colloca l’Italia al 61° posto (ben al di sotto di tutti i principali Stati europei) per quanto riguarda la libertà di stampa (Reporter Sans Frontieres 2012) e dove l’utenza alla rete è una delle più basse d’Europa, assestata sul 48% della popolazione, con oltre il 41% della popolazione che dichiara di non usare Internet (Commissione Europea – Scoreboard Agenda digitale 2011).

In Italia, la copertura a banda larga fissa è di 10 punti percentuali dietro i livelli francesi o tedeschi: basti pensare che meno del 70% della popolazione studentesca ha accesso alla rete a scuola, e per la maggior parte con connessioni a banda stretta non utilizzabili per la didattica e l’interattività. Ricordo sommessamente che la media OCSE è del 90%. Questi pochi dati per dire che ci sarebbe moltissimo da fare e che l’esigenza di avere un’autorità competente, dinamica e “acceleratrice” di processi è ineludibile se non si vuole scivolare oltre nel declino analogico.

Ma altri sono stati i criteri finora utilizzati. Basta guardare i commissari uscenti: medici, avvocati, molti con cariche politiche alle spalle, tutti uomini e con un’età media intorno ai 60 anni. Come se il cuore dell’attività dell’AGCOM fosse l’indirizzo politico o la consulenza giuridica (competenze che effettivamente sono anche le fiction TV – per rimanere in tema comunicazione – appannaggio di maschi in età avanzata).

Non è questo quello di cui l’Italia ha bisogno. Abbiamo bisogno di persone che abbiano gli strumenti, l’esperienza, l’attitudine e forse anche l’età giusta per poter interpretare la nostra epoca e poter dare delle risposte strategiche alle sfide che la rivoluzione digitale ci pone davanti. Il settore della comunicazione nel 2012 è anni luce diverso da quello di soli 10 anni fa. L’innovazione tecnologica sta comportando cambi di paradigma epocali, che hanno impatti fortissimi non solo sull’economia e sulle esigenze infrastrutturali e di politica industriale di un paese, ma anche su questioni cruciali per la democrazia: le pari opportunità di accesso, la libertà e la pluralità dell’informazione, lo sviluppo delle competenze e l’alfabetizzazione.

Non possiamo permetterci una scelta sbagliata. Scelta che peraltro ci porteremo dietro per 7 lunghi anni. Rimanere indietro significherebbe rimanere ai margini delle società industriali avanzate e – soprattutto – significherebbe privare di prospettive le giovani generazioni. Deve esserci uno scatto in avanti per far sì che sia una scelta basata su regole, criteri, visione e – soprattutto – con uno sguardo al domani.

Per ripartire un paese deve occuparsi del suo futuro e deve farlo mettendo in campo le sue energie migliori e le sue competenze. Ce ne sono tante. Molte che rimangono frustrate dalla predominanza della forma sulla sostanza. Non abbiamo bisogno di un’autorità che si occupi esclusivamente di equilibri politici e di interpretazioni giuridiche. Abbiamo bisogno di un’autorità che interpreti il cambiamento a vantaggio dei cittadini e del sistema paese, che apra spazi e opportunità e che crei le condizioni affinché l’Italia abbia un futuro di sviluppo economico, di modernizzazione sociale, di pluralità e di democrazia dell’accesso all’economia digitale.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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