L’Associazione Libera insieme alle associazioni di categoria, ai sindacati ed agli amministratori giudiziari sta avviando un progetto per restituire al mercato imprese confiscate alla mafia. Il primo di marzo a Roma c’è stata la prima conferenza stampa nazionale sul tema, da qui il cammino, non facile ma ambizioso, per trasformare ogni azienda sottratta alla mafia in una risorsa in grado di sostenere il Paese in un momento di grande difficoltà economica, creando opportunità imprenditoriali e nuovi posti di lavoro.
“Impresa bene comune” il titolo della campagna che ci vede coinvolti come CNA Giovani Imprenditori e che mira a mettere al servizio del recupero di imprese confiscate le esperienze imprenditoriali di successo. Il progetto contiene un alto valore di responsabilità sociale, favorisce la creazione di posti di lavoro e tenta una difficile affermazione, quantomeno in Italia: “la legalità conviene”.
La legge 109/96 modificata dal recente Codice delle leggi antimafia e rafforzata dalla istituzione dell’Agenda nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, prevede che dal momento della confisca definitiva queste imprese possano essere vendute, affittate o affidate a cooperative di lavoratori (nella maggior parte dei casi gli stessi operanti durante la gestione collusa, vittime ignare della mafia).
Il problema principale però è dovuto all’iter che va dal sequestro alla confisca, periodo di totale incertezza per l’impresa, sia per la durata, sia per l’esito, sia perché passando sotto la proprietà dello Stato ricevono immediatamente la revoca dei fidi bancari, impedendo anche l’ordinario svolgimento del lavoro. Nella maggior parte dei casi gli amministratori giudiziari, a cui queste aziende vengono affidate, si preoccupano di portare l’impresa alla liquidazione e non alla sua rinascita per mancanza di supporti adeguati.
Ecco perché nasce questo progetto, fare in modo che le imprese sequestrate possano avere una chances di sopravvivenza.
I numeri che gravitano attorno a questo mondo son notevoli, dall’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre del 1982 al 31 dicembre 2012, sono state confiscate in via definitiva 1708 aziende (attualmente le imprese sequestrate sono 11.000), ma solo 350 circa sono quelle che sono riuscite a sopravvivere.
Le modifiche alla legge 109 che dovevano essere oggetto di atto ministeriale pochi giorni prima della caduta del precedente governo, prevedono di:
- velocizzare i tempi previsti tra il sequestro e la confisca (passano a volte addirittura 5 anni);
- istituire strumenti di finanza agevolata (sarebbe sufficiente un fondo di rotazione di 10 milioni di euro) e incentivazione fiscale;
- istituire una quota dedicata del fondo nazionale di garanzia per le Piccole e Medie Imprese;
- introdurre agevolazioni e incentivi specifici per l’imprenditoria giovanile atti al recupero e valorizzazione di imprese confiscate;
- consentire il diritto di prelazione per l’acquisizione dell’azienda da parte di imprenditori coinvolti nella gestione dell’impresa stessa successivamente al sequestro.
Ad oggi uno degli ostacoli principali è la mancanza di dati delle imprese sequestrate, per poter valutare quali di queste è possibile recuperare e quali invece sono irrimediabilmente destinate alla chiusura, perché nate esclusivamente nell’illegalità o eccessivamente colluse.
1. Per poter salvare il maggior numero di imprese “potenzialmente sane”, è necessario un intervento di un pool costituito da tutti i soggetti coinvolti (appunto imprese, sindacati, amministratori) al fine di valutare ed esaminare i casi sui quali vale la pena intervenire magari organizzando una partnership con un team di imprenditori che “adottino” l’impresa, ne seguano l’iter tra sequestro e confisca e che facciano in modo che l’impresa stessa possa esser messa nelle condizioni di operare sul mercato con trasparenza all’atto della confisca definitiva.
2. Proponiamo inoltre la strutturazione e successiva adozione di un sistema di condivisione dei dati delle imprese sequestrate, ovviamente in digitale e fruibile, che consenta un’attenta analisi preventiva utile agli imprenditori interessati alla partnership e che, in piena trasparenza, fornisca le strategie per l’emersione della “impresa adottata” rendendo pubblici e controllabili i bilanci al fine dell’ottenimento di una fiscalità agevolata.
Sarebbe un ottimo esercizio di collaborazione tra pubblico (amministratori giudiziari) e privato (associazioni di categoria, sindacati, etc.) ed un ottimo strumento per coinvolgere imprenditori a divenire partner delle imprese sequestrate offrendo il loro know-out ed incentivando la nascita di start-up. Tra le altre ci sono circa 20 aziende attualmente sequestrate che potrebbero davvero farcela mentre ad oggi solo 1 impresa su 10 sopravvive alla confisca e fatica a “rinascere”. CNA Giovani Imprenditori, con questo progetto, vuole cogliere l’opportunità di avvicinare giovani al mondo imprenditoriale compiendo anche un’importante azione sociale e di supporto allo sviluppo di territori spesso ai margini della legalità.
Perché dunque non pensare di far ripartire queste imprese, con una forte connotazione digitale e la massima trasparenza nella gestione, garantendo così sopravvivenza e competitività sui mercati internazionali, salvaguardando esperienze e lavoro di centinaia di persone ed innalzando un ulteriore argine al pervadere delle attività delle mafie e della criminalità organizzata, reale e pesante ostacolo al vivere civile ed allo sviluppo concreto del nostro paese.
Auspichiamo che il neo-Ministro della Giustizia Orlando riproponga al Consiglio dei Ministri il dossier in temi rapidi al fine di lanciare ed avviare l’attuazione di questo progetto, magari entro il nostro semestre europeo. Un’importante occasione per l’Italia di offrire ancora una volta un’immagine diversa.