La CRUI è l’associazione delle Università italiane statali e non statali. Nata nel 1963 come associazione privata dei Rettori, ha acquisito nel tempo un ruolo istituzionale e di rappresentanza e una concreta capacità di influire sullo sviluppo del sistema universitario attraverso un’intensa attività di studio e di sperimentazione.
Avendo riconosciuto da alcuni anni l’importanza dell’accesso aperto alle informazioni e ai dati di interesse generale per la ricerca e per la formazione scientifica e nell’ottica di favorire la libera disseminazione in rete dei risultati delle ricerche condotte in Italia nelle università e nei centri di ricerca, nel novembre 2004, la CRUI ha promosso l’adesione delle università italiane alla ”Dichiarazione di Berlino per l’accesso aperto alla letteratura scientifica” cui hanno aderito fino ad ora 71 atenei italiani.
All’inizio del 2006, nell’ambito della Commissione biblioteche della CRUI, è stato costituito il gruppo di lavoro per l’open access con il compito di dare attuazione ai principi della Dichiarazione di Berlino.
Questo gruppo, composto da 74 persone di cui ben 39 donne (non succede mai, chissà che questa non sia la ragione di quanto andiamo a dire di seguito) ha lavorato all’elaborazione delle Linee guida per gli archivi istituzionali, che sono state pubblicate nel 2009 dalla CRUI stessa, cui alcuni Atenei si sono già adeguati con regolamenti e aggiornamento del proprio Statuto.
Le linee guida “partono dal presupposto della fondamentale importanza rappresentata dagli Archivi istituzionali, che sono tra i principali strumenti che consentono di realizzare l’accesso libero e immediato ai risultati della ricerca scientifica prodotta in una università o in un altro centro di ricerca.
Gli archivi istituzionali sono uno strumento concreto a disposizione della comunità scientifica, un’infrastruttura informativa e comunicativa che raccoglie in un unico luogo tutta la produzione scientifica di un ateneo, alla quale viene conferita autorevolezza, assicurandone nel contempo la persistenza in rete e la conservazione a lungo termine.
Gli archivi istituzionali possono essere considerati degli indicatori tangibili della qualità di una istituzione accademica, la sua estensione naturale in quanto volani della ricerca primaria – potenzialmente la componente più importante nell’evoluzione dei nuovi modelli di comunicazione scientifica. Per le ragioni sopra esposte, nel prossimo futuro sarà un’anomalia per una università o per un ente di ricerca non avere il proprio archivio istituzionale: non ci si può privare di uno strumento unico e strategico per pubblicizzare la produzione intellettuale dell’istituzione, massimizzandone la visibilità e l’impatto nei confronti dei vari portatori di interesse”.
Questo si legge sul sito del gruppo di lavoro, e prima di proseguire citiamo brevemente la definizione di Open Access:
Il termine open access (in italiano, accesso aperto) esprime, nella sua accezione più ampia, la libera disponibilità online di contenuti digitali. Riguarda l’insieme della conoscenza e della creatività liberamente utilizzabile, in quanto non coperta da diritti di proprietà intellettuale (include le opere i cui diritti sono scaduti).
Viene però utilizzato principalmente per indicare l’accesso libero e senza restrizione degli articoli pubblicati in riviste accademiche; inoltre, l’open access copre non soltanto articoli di riviste, ma anche capitoli di libri e monografie, e in generale ogni prodotto della ricerca.
Esistono due strategie principali per garantire pubblicazioni ad accesso aperto, con numerose sfumature:
- Viene definita «via verde» (“green road”) la pratica dell’auto-archiviazione (“self-archiving”), da parte degli autori, di copie dei loro articoli in archivi istituzionali o disciplinari, o ancora nei loro siti personali.
- Viene definita «via d’oro» (“gold road”) la pubblicazione di riviste in cui gli articoli sono direttamente ed immediatamente accessibili ad accesso aperto. Tali pubblicazioni vengono chiamate riviste ad accesso aperto: l’esempio più famoso sono le riviste dedicate alle scienze della vita dell’editore Public Library of Science (PLoS).
Attualmente, l’accesso aperto è all’origine di molte discussioni tra universitari, bibliotecari, amministratori di università e politici. Esiste un sostanziale disaccordo sul concetto dell’Open Access (che può significare sia l’accesso libero ad un’opera, che il movimento che porta avanti questa strategia) e un grande dibattito circa la remunerazione economica dell’Open Access da parte degli universitari e i modelli di business da adottare.
Dalle parole ai fatti, il gruppo di lavoro di recente ci ha riservato una bella sorpresa, il 10 agosto ultimo scorso infatti è entrato in vigore il Decreto, 8 agosto 2013, n. 91 “Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.186 del 9-8-2013).
Di solito d’estate si emanano norme “impopolari” o di difficile “digestione”, quest’anno invece eccoci all’Open Access by default! Il citato Decreto 91, all’articolo 4, “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo delle biblioteche e degli archivi e per la promozione della recitazione e della lettura”, e in particolare al comma 2 recita infatti: “Le pubblicazioni che documentano i risultati di ricerche finanziate per una quota pari o superiore al cinquanta per cento con fondi pubblici, indipendentemente dal formato della prima pubblicazione e dalle modalità della sua distribuzione o messa a disposizione del pubblico, devono essere depositate, non oltre sei mesi dalla pubblicazione, in archivi elettronici istituzionali o di settore, predisposti in modo tale da garantire l’accesso aperto, libero e gratuito, dal luogo e nel momento scelti individualmente, l’interoperabilità all’interno e all’esterno dell’Unione Europea e la conservazione a lungo termine in formato elettronico. I soggetti preposti all’erogazione o alla gestione dei finanziamenti adottano le misure necessarie per l’attuazione dell’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici”.
Accesso aperto, libero e gratuito agli archivi elettronici istituzionali che includeranno anche i risultati delle ricerche. Speriamo di poter vedere incrementare velocemente la crescita delle pubblicazioni in Open Access non solo in Canada ma anche in Italia.