E’ il momento di rivoluzionare il nostro giornalismo digitale

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Questo post arriva decisamente troppo in ritardo ma, dopo la notizia di Occupy Egomnia, non può più aspettare.

Come sappiamo ormai tutti, l’ecosistema delle startup in Italia ha subito una crescita esponenziale. Sono nate decine di iniziative: eventi, fondi, spazi di co-working, incubatori ed ovviamente decine e decine di nuove startup.

Questo è un risultato fantastico per l’ecosistema, che però si trascina dietro alcuni problemi. Alcuni sono minori, come la tendenza a voler sfruttare l’hype della parola “startup” da parte di consulenti, società di formazione e vari altri attori. Altri sono, secondo me, più preoccupanti in quanto potrebbero rovinare l’energia presente nell’ecosistema.

Mi sto riferendo in particolare alla nuova elevatissima attenzione mediatica per il fenomeno startup.

Non passa giorno in cui non esca un articolo sul tema.

Spesso sono legati al talento che se ne va all’estero perché in Italia non trova soldi, alla generazione di 20-30enni che non trova lavoro e quindi se lo inventa, al l’evento in partnership con le istituzioni per fare showcasing delle fantastiche startup che abbiamo in Italia. Oppure,il servizio su una nuova startup italiana di “successo” che distruggerà i suoi rivali esteri e soprattutto articoli che parlano del “nuovo Google-killer italiano” o dello “Zuckerberg italiano“.

La trasmissione televisiva in cui un founder di 20 anni sicuramente bravo ma con una startup ancora senza nessun tipo di successo ed un prodotto catastrofico che dà consigli via tv è, però, veramente troppo.

Antonio Lupetti mi ha anticipato sull’argomento con un post che condivido in pieno, ma che vorrei espandere.

L’attenzione mediatica verso il “nostro” mondo è sicuramente qualcosa di cui abbiamo bisogno e che può aiutare tutti i diversi attori dell’ecosistema, ma come è stata implementata finora dai media tradizionali è quasi solamente dannosa.

Dannosa non tanto perché dà spazio a chi non se lo merita o perché trascura il vero motore dell’innovazione italiana.

Dannosa perché è dannatamente provinciale. Ogni articolo ha sempre la parola “italiano” nel titolo. Ogni articolo è impostato per far capire quanto siamo migliori o peggiori degli altri.

Non c’è mai un’attenzione al contenuto, ma solamente una maniacale cura del sensazionalismo. Ogni iniziativa è gestita da chi non ha nessun interesse per le startup, ma le vuole solamente sfruttare come fenomeno mediatico.

E’ necessario che i giornalisti la smettano di fermarsi alla sfera locale ed italiana, ai “fenomeni” dei 20enni senza un prodotto ed inizino a parlare di quello che vale ed è interessante a prescindere da chi sia stato fatto, con la critica che si merita.

Bisogna smetterla di parlare di startup italiane come se fossero una specie protetta o un bambino meno fortunato, perché è l’unica ricetta sicura per farle rimanere tali.

Se una startup italiana ha dei problemi sul prodotto o sulla strategia, lo si può dire e le si possono dare consigli costruttivi per aiutarla a migliorare. Inutili ed immeritate lodi senza fine sono solo dannose, soprattutto per chi le riceve.

Il nostro sistema dei media illude lo startupper dandogli il quarto d’ora (o i mesi) di celebrità fornendo un incentivo scorretto perché non celebra i suoi risultati ma solo il suo dire “faccio startup“.

Tutto ciò per un giovane 20enne può essere molto pericoloso accecandolo dalla realtà, ossia dal fatto che il fare una società con un prodotto valido e con clienti che pagano per usarlo non è semplice quanto finire su un giornale.

Ed a quel punto magari, il fondatore 20enne dopo aver ricevuto un incoraggiante articolo, sarà stimolato a lavorare ancora più sodo e creare vero valore riuscendo a vincere la tentazione dei salotti tv e dei premi istituzionali, che sicuramente non fanno il lavoro al posto suo.

Esattamente come fanno già Andrea Giannangelo e Nicola Greco (due esempi a caso fra le centinaia di 20enni italiani che hanno creato startup e prodotti interessanti).

Mi piacerebbe invece vedere notizie di startup straniere, di operazioni finanziarie ed imprenditoriali, pezzi di approfondimento su come stia cambiando il modello di funding tradizionale dei VCs, pezzi sui business angel non come martiri e salvatori della patria ma come figure normali e fondamentali in ogni ecosistema.

Vorrei leggere approfondimenti tecnici ed educativi su quali siano i trend maggiori e le ultime metodologie, liste di conferenze a cui partecipare, interviste con fondatori di aziende di successo, etc. semplicemente perché sono contenuti interessanti dei quali vali la pena parlare.

Bisogna sommergere questi contenuti ridicoli con contenuti di qualità.

E questo succederà solamente se le testate giornalistiche si renderanno conto che per scrivere contenuti di qualità c’è bisogno di gente che sia appassionata di startup, dei loro prodotti e che ne sappia valutare i meriti ed i demeriti.

Bisogna parlare di startup in generale, di venture capital in generale, di tecnologia in generale, di economia digitale in generale, come se fosse la cosa più normale del mondo.

A quel punto, vedremo che le nostre startup e quelle europee o americane hanno molto in comune. E vedremo che, per ovvi motivi, parleremo più spesso di realtà locali che non di realtà distanti, e non lo faremo per obbligo, pietà o sensazionalismo, ma lo faremo perché sono realtà oggettivamente interessanti ed innovative.

Quello che invito tutti voi a fare è scrivere di più. Scrivete di startup. Scrivete di venture capital. Scrivete di prodotti che vi piacciono e di prodotti che vi fanno schifo. Scrivete delle vostre storie e di quello che imparate ogni giorno. Scrivete dei vostri successi e dei vostri fallimenti. Scrivete quello che pensate.

Ognuno di voi ha esperienze, talenti, storie ed informazioni che possono aiutare tutti noi.

Ognuno di voi dopo ogni giornata di duro lavoro sulla propria startup, senza riflettori e telecamere che vi seguono, ha tanto da dire e condividere, non tenetevelo per voi, scrivete per tutti gli altri.

Scrivete per chi sta cominciando ora e per chi comincerà nei prossimi anni.

Scrivete per Massimo Marchiori e Matteo Achilli.

Scrivete per i giornalisti. Scrivete per far capire cosa sono le startup e perché abbiamo deciso di fare tutti questi sacrifici per lavorare su quello che ci piace e perché non esiste nient’altro che potremmo fare.

Eccola la risposta a questa sfida. Inondiamo di contenuti di qualità chi prova ad inondarci di banalità ed inutilità.

Stefano Bernardi

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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