E’ morto Giorgio, e siamo tutti più soli. Anche se non lo conoscevate. Anche se non sapete chi era. Lui stava lavorando per voi. Lo ha fatto per tutta la vita. Ha lavorato per la crescita di Internet in Italia. Per la diffusione di una vera cultura digitale. Per la rivoluzione, per la rivoluzione bella e pacifica che in tanti fra noi sognano. Era un rivoluzionario, Giorgio Giunchi, uno vero. Del rivoluzionario aveva anche l’aspetto. La barba bianca, i capelli arruffati, gli occhi profondi e buoni. E un vocione allegro con cui maneggiava delle frasi spericolate, senza un vero centro, a volte difficilmente comprensibili che ti lasciavano comunque ammaliato. Scriveva anche così, esattamente come parlava, e fra noi che gli volevamo bene, dopo certi scambi di email piene zeppe di punti esclamativi e puntini di sospensione, MAIUSCOLE a raffica e spazi bianchi allusivi, c’era l’abitudine di chiederci con un sorriso affettuoso “ma tu l’hai letto Giorgio? Cosa avrà voluto dire stavolta?”.
Oggi lo sappiamo: saggezza, la sua era autentica saggezza.
Lui con me è stato un fratello maggiore
In tanti gli abbiamo voluto bene ma del resto se lo conoscevi era impossibile non volergliene. Lui con me è stato un fratello maggiore. L’ho conosciuto grazie ad uno dei suoi amici più cari, Stefano Quintarelli. Cinque o sei anni fa volevo leggere, studiare, capire qualcosa della storia di Internet in Italia e Stefano mi disse: parla con Giorgio, lui sa tutto, ha creato l’archivio dell’Internet italiano. Era così, il suo sito, per quanto elementare nel design, è una miniera ineguagliabile di documenti, fotografie e interviste, molte fatte da lui stesso. Il tesoro che ha raccolto per tutti noi.
Divenimmo amici. Ma amici veri. Mi ha insegnato tantissimo.
Anche se ci vedevamo poco in tutti i passaggi chiave della mia vita non solo professionale, lui c’era. Quando divenni Digital Champion, la prima persona con cui condivisi l’idea di creare una rete di campioni digitali fu lui (che infatti divenne uno dei tre garanti dell’associazione, con Flavia Marzano e Giorgio Ventre). E quando nel gennaio scorso Laura Abba mi disse che il 30 aprile ricorrevano i 30 anni della prima connessione italiana di Internet, chiamai lui per sapere tutto, per avere i contatti dei protagonisti e per farmi dare la risposta più importante: Vorrei farci un film, Giorgio, un documentario, che ne pensi? Mi disse sì, con tutto l’entusiasmo di cui solo lui era capace, ed è nato Login.
Come stanno i bambini, come sta il tuo cuore? Le nostre appassionate conversazioni sulla storia di Internet finivano sempre così, con lui che mi chiedeva della mia famiglia e mi invitava ad andarlo a trovare: “Devi venire su da me a bere del vino buono prima o poi”.
Mannaggia a me che non l’ho fatto.
Ci siamo visti a Milano il 7 giugno, per l’inaugurazione di un evento che curavo a Foro Bonaparte, e lì ho capito
L’ho visto l’ultima volta il 7 giugno scorso a Milano. Sapevo che stava male. Molto male. Lo sapevo da qualche mese. “Lo sapete solo in due, non dirlo a nessuno”, mi aveva intimato il giorno di quella confessione telefonica. Lo sapevo ma fin quando non l’ho visto non ho davvero capito che stava così male. Perché lui minimizzava sempre, ti chiedeva sempre tu come stavi piuttosto, non voleva che mi preoccupassi per lui. Anzi, era sempre disposto a sostenere anche l’ultimo progetto che gli avevo proposto: facciamolo davvero l’archivio dell’Internet italiano, un sito facilmente navigabile con una timeline, e dentro tutti i documenti, anche i tantissimi che erano spuntati fuori durante le riprese di Login. “Voglio farlo con te, solo tu hai l’autorevolezza per lanciare e guidare questa cosa”. Anche allora mi aveva detto sì, anche se stava davvero male, anche se aveva pochi giorni da vivere.
Ci siamo visti a Milano il 7 giugno, per l’inaugurazione di un evento che curavo a Foro Bonaparte, e lì ho capito. Un signore magro, magrissimo e bianchissimo mi era venuto incontro: “Ciao Riccardo!!!”. Se non fosse stato per la voce, per quella sua voce inconfondibile, avrei stentato a riconoscerlo. Era Giorgio. La malattia lo aveva scavato ma non lo aveva domato. Era allegro e positivo come sempre. Ho appena finito il secondo ciclo, mi aveva detto, adesso inizia il momento peggiore ma se supero questo poi è fatta. In un bar parlammo dell’archivio che avremmo fatto sotto l’egida dell’Internet Society italiana e per questo a un certo punto chiamammo il presidente Stefano Trumpy. “Mi raccomando”, mi disse prima, “ricordati che nessuno deve sapere come sto”.
Mi chiese come sempre dei bambini. “Stanno crescendo Giorgio, mia figlia fatico a chiamarla bambina ormai anche se lo sarà per sempre per me”. Sapevo che mi capiva, lascia una figlia a cui era legatissimo. Sul portone di un palazzo di Foro Bonaparte ci siamo salutati per l’ultima volta. “Vieni stasera per Login?” gli ho chiesto. E per la prima volta mi ha detto no: “Sono davvero stanco, Ric, torno a casa a riposare ma sai che ci sono sempre per te”. Ci siamo abbracciati, lo facevamo sempre, ma stavolta l’ho stretto forte, ho sentito le sue ossa sulle mie, volevo fargli sentire quanto gli volevo bene e provare magari a trasferire un po’ di energia a lui che me ne aveva sempre dato tanta.
Ciao Giorgio, devo sempre venire a bere quel vino, gli ho detto.
Sono rimasto a guardarlo in silenzio.
Aveva degli occhi buonissimi.
Non mi ha detto nulla quella volta del vino, solo ciao con la mano.
E se ne è andato via, per sempre.
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I funerali laici partiranno martedì 21/6 alle ore 13.30 dall’obitorio della Poliambulanza di Brescia, per poi spostarsi presso il cimitero di Sant’Eufemia per la cremazione