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Ebook, siamo fuorilegge! Perché (per una volta) andiamo incontro al futuro

innovaizone

«Sia maledetto chiunque utilizzi questo libro in modo illecito o peccaminoso e che la lebbra affligga chiunque ne modifichi il contenuto […]. Consegni questo messaggio a Satana e lo segua all’inferno chi vuole passare l’eternità in sua compagnia.» (ndr. La traduzione dal tedesco medievale è di Paul Kaller, Eike von Repgow, Sachsenspiegel, Monaco 2002, p. 15).

Foto: euractiv.it

Diceva più o meno così una maledizione che veniva riprodotta nel XIII secolo sul frontespizio dei libri come strumento di antipirateria ante-litteram. E sembrano uscite da un libro medievale le due sentenze con le quali ieri la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha letteralmente gelato – anche se per la verità in modo assolutamente prevedibile – gli entusiasmi di editori e lettori di ebook di mezza Europa mettendo nero su bianco un principio tanto anacronistico che sembra, appunto, arrivato ai giorni nostri attraverso un viaggio nel tempo: il libro elettronico non è un libro ma un servizio e, pertanto, nessuno degli Stati membri può applicare al libro elettronico il regime IVA agevolato applicabile ai libri di carta dovendo, invece, continuare ad applicare quello ordinario previsto per la fornitura di servizi elettronici.Sul “banco degli imputati” della Corte europea, nelle due vicende all’origine delle Sentenze c’erano le leggi francese e lussemburghese che, già da tempo, hanno stabilito che un libro è un libro anche se scritto in bit anziché ad inchiostro e che pertanto gli ebook devono scontare un regime fiscale agevolato proprio come accade per i loro “antenati” di carta.Un libro è un libro solo se è di carta è stata, invece, la risposta dei giudici europei.

Niente carta, niente libro e, conseguentemente, niente possibilità di applicare alle vendite di ebook lo stesso regime IVA dei libri.

Una decisione che, per la verità, si aspettava da tempo e si aspettava anche nel nostro Paese nel quale, proprio una manciata di mesi fa il Governo – pur consapevole di sfidare Bruxelles e di andare incontro ad un’ennesima procedura di infrazione – ha stabilito che dal primo gennaio, alla vendita di libri elettronici deve applicarsi l’IVA al 4% anziché quella ordinaria al 22%.E’ ovvio che con le due Sentenze di ieri i Giudici della Corte hanno messo definitivamente nero su bianco che, anche l’Italia – al pari di Francia e Lussemburgo – è fuori legge ma, per una volta, almeno, siamo tra quelli che sfidano le leggi per andare incontro al futuro anziché, come è nostra consolidata abitudine, per risalire controcorrente il fiume del tempo.

Intendiamoci, dura lex sed lex e le leggi anacronistiche meritano lo stesso rispetto di quelle al passo con i tempi e – val la pena scriverlo in modo chiaro – la Sentenza dei Giudici di Lussemburgo è una sentenza ingiusta sotto un profilo sostanziale ma, probabilmente, ineccepibile sotto un profilo formale nel senso che i Giudici hanno applicato alla lettera le regole attualmente vigenti nel “vecchio continente” che oggi sembra un po’ più vecchio del solito.

Eppure il principio fissato dalla Corte europea lascia di stucco tanto in una prospettiva politica (ma ovviamente non è compito dei giudici fare politica) che in una prospettiva giuridica.

Politicamente qualcuno a Bruxelles dovrebbe convincersi – e dovrebbe farlo in fretta – che il libro elettronico è, probabilmente, l’unica ed ultima chance di proiettare nel futuro la funzione di veicolo culturale del libro perché, privilegi fiscali o non privilegi fiscali, la carta prima o poi sparirà e, a quel punto, se gli ebook non saranno sufficientemente diffusi in Europa, con la carta spariranno anche i libri.Bisognerebbe, pertanto, accompagnare lettori ed editori, nel modo più veloce possibile, ad innamorarsi dei libri di bit e scoprire il piacere di sfogliarne a dozzine su tablet e e-reader di ogni genere prima che sia troppo tardi.

Giuridicamente qualcuno a Bruxelles prima ed a Lussemburgo poi, dovrebbe cogliere la macroscopica ed antistorica ambiguità normativa di continuare a pensare che i beni si posseggono ed i servizi si usano.

Siamo, come va ripetendo ormai da anni, Jeremy Rifkin, nell’era dell’accesso e tutte le forme di possesso, stanno rapidamente cedendo il passo all’accesso: i nuovi “ricchi” sono quelli che hanno accesso ai patrimoni – anche culturali – più vasti e non quelli che li posseggono.

L’Italia, con la campagna #unlibroèunlibro, è stata tra i paesi Europei ad aver equiparato gli ebook ai libri cartacei

Un’ambiguità che diventa ancora più evidente navigando tra le leggi che accompagnano un libro sin dalla nascita.Il libro è protetto nel mondo intero come un bene – ancorché immateriale – alla stregua della legge sul diritto d’autore e il suo valore giuridico economico è universalmente riconosciuto nel suo contenuto e, ancor di più, nella sua forma espressiva.

Non c’è, quindi, nessuna buona ragione per la quale, lo stesso contenuto e la stessa sequenza di parole, se scritti in bit e non fissati su un supporto dovrebbero essere trattati da servizi e considerati “diversi” dai “cugini” cugini stampati su carta.

A pensarla diversamente, si finisce con il dare l’idea che il vero valore di un libro sia nelle pagine di carta e nella copertina di cartone anziché nel suo contenuto e nella sua forma espressiva.

Quelle (elettroniche o di carta che siano) sulle quali ieri i Giudici della Corte di Giustizia hanno scritto ieri le loro sentenze, sono pagine della storia d’Europa da cancellare di corsa, o, almeno, prima che sia troppo tardi ovvero prima che non esista più un libro sul quale scriverne di nuove e di diverse.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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