Ecco 10 pianeti in cui trasferirsi subito. 2 li ha scoperti Kepler

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Il numero di pianeti extrasolari ha superato quota 1000.E’ un campo in crescita vertiginosa. Dopo il primo pianeta scoperto, tra la sorpresa del mondo astronomico, nel 1995, adesso vengono scoperti diversi pianeti alla settimana.Nel caso vogliate essere sempre informati sulle ultime novità, scaricare la app Exoplanet (è disponibile per tutte le piattaforme, sia gratuita, sia a pagamento, basta cercare). Ma fate attenzione ad attivare la notifica push, potreste riceverne più di quanto pensiate.

Fino al 2010 la maggior parte dei nuovi pianeti erano dei Giovi caldi. Pianeti simili a Giove ma vicinissimi alla loro stella. In altre parole, pianeti sicuramente interessanti per gli astrofisici che cercano di capire come si siano formati, ma non adatti allo sviluppo della vita.

Poi è arrivata la missione Kepler della NASA e la musica è cambiata.

Kepler rivela i pianeti grazie all’ombra che questi fanno quando passano davanti alla loro stella. Chiaramente questa tecnica “seleziona” solo i sistemi che hanno una inclinazione “favorevole” rispetto alla nostra linea di vista. Tuttavia i risultati di Kepler sono impressionanti.

Ha passato quattro anni (dal lancio nel marzo 2009 al maggio 2013 quando il sistema di puntamento ha smesso di funzionare) a guardare la stessa regione del cielo nella costellazione di Cigno, misurando continuamente il flusso di milioni di stelle per cercare i minimi cambiamenti dovuti al transito dei pianeti.

Naturalmente ha anche misurato l’attività delle stelle, che, come il nostro Sole, hanno macchie e cicli di attività. Ha anche visto un sacco di stelle binarie, scoprendo persino un pianeta che orbita intorno a due stelle.

Il risultato più significativo della missione Kepler è la scoperta di diversi pianeti di massa non molto diversa da quella della Terra.

In effetti è un risultato congiunto di Kepler, che vede i passaggi e punta a possibili candidati, e i telescopi a terra, che li vanno a studiare in dettaglio. Dall’ombra sulla stella Kepler determina le dimensioni del pianeta, mentre i telescopi al suolo misurano la sua velocità, informazione che permette di ricavare la massa.Combinando massa e dimensioni si calcola la densità e si capisce se si tratta di una pianeta roccioso, come la terra, Venere e Marte, oppure no.

Kepler ci ha dato decine di candidati pianeti terrestri ed uno è stato confermato con lo strumento montato al telescopio nazionale Galileo, ma si tratta di una Terra un po’ infernale: gira intorno al suo sole in appena 8 ore, è vicinissima, quindi caldissima.

Più che un pianeta roccioso, è un pianeta fuso, quindi sicuramente non abitabile, assolutamente non adatto a pianificare una vacanza.

Non si tratta della Terra 2.0, che rimane lo scopo di tutta la ricerca nel campo dei pianeti extrasolari. Trovare il gemello della Terra con accettabili condizioni di abitabilità. Ovviamente, il concetto di abitabilità è molto elastico, dipende dal tipo di stella, e dipende dal tipo di vita.

Noi, sulla Terra, conosciamo un solo tipo di vita, ma non è detto che nell’Universo non ne esistano altri.

Avere trovato dei pianeti di tipo terrestre è una grande notizia anche se, per il momento, ci dobbiamo accontentare di Terre surriscaldate, solo perché trovare pianeti in orbite brevi è più rapido che trovare pianeti in orbite lunghe, come quella della Terra.

Generalizzando i risultati di Kepler dal punto di vista statistico, ci si può spingere più in là. Oggi sappiamo che praticamente ogni stella della galassia ha pianeti e che una su 5 ha almeno un pianeta di tipo terrestre in orbita nella zona di abitabilità, cioè alla giusta distanza dalla stella perché l’acqua sia liquida.

Si sarà sviluppata la vita su qualcuno di questi pianeti? E’ questo il grande quesito che è stato dibattuto al Simposio organizzato dal Cospar (il Comitato mondiale per la ricerca spaziale) a Bangkok. La maggior parte degli intervenuti pensa che la risposta sia positiva, ma resta da vedere di quale tipo di vita si stia parlando per capire quali marker andare a cercare.

Ossigeno? La vita sulla terra dipende dalla disponibilità di ossigeno, ma l’atmosfera primitiva del nostro pianeta di ossigeno libero non ne aveva proprio. L’ossigeno è un elemento molto attivo e aggressivo che si combina con tutto quello che trova, ossidandolo. Il suolo di Marte è rosso perché l’ossigeno si è combinato con il ferro e lo ha arrugginito, per esempio. La presenza di ossigeno nell’atmosfera terrestre è un risultato della presenza di vita sulla terra non una condizione necessaria al suo sviluppo.

Metano? Certo gli umani, gli animali, le coltivazioni producono metano, che è un gas che viene dissociato dalla luce e non resiste a lungo. La presenza di metano ci dice che viene prodotto in continuazione, vuoi da batteri (per lo meno, se non mucche), vuoi da vulcani o da attività geologica. La presenza di qualche traccia di metano su Marte aveva fatto ben sperare, ma poi il dato non è stato confermato. Niente mucche su Marte.

Sicuramente gli astronomi si stanno attrezzando per riuscire a studiare la composizione dell’atmosfera dei potenziali pianeti terrestri che verranno scoperti nella zona di abitabilità.

Matt Mountain, Direttore dello Space Telescope Science Institute, che, oltre a gestire HST, si sta preparando a gestire il suo ben più grande successore, lo James Webb Space Telescope, è sicuro che il nuovo telescopio sarà in grado di rivelare la presenza di acqua, metano e ossigeno nell’atmosfera di una nuova Terra, che non sia troppo lontana.

Una volta trovata la Terra 2.0, con l’atmosfera giusta, bisognerà cercare di stabilire un contatto, ricordandoci, però che abitabilità non è sinonimo di vita. Un pianeta potrebbe avere le condizioni giuste ma la vita potrebbe non essersi ancora sviluppata per l’ottimo motivo che il processo richiede un po’ di tempo. La Terra ha 4,6 miliardi di anni ma la vita animale è comparsa appena mezzo miliardo di anni fa, la vita intelligente (homo sapiens) ha circa 100.000 anni e la vita tecnologica poche decine di anni.

Non dimentichiamo che i primi segnali radio sono stati inviati e ricevuti da Marconi poco più di 100 anni fa. Anche se non sappiamo quanto durerà la nostra civiltà (speriamo a lungo),

questi pochi dati ci fanno capire che i concetti di vita, come un organismo in grado di riprodursi e di evolvere, di vita intelligente e di vita tecnologicamente avanzata sono profondamente diversi e interessano intervalli di tempo altrettanto abissalmente diversi.

Ipotetici dinosauri su una ipotetica Terra 2.0 non sarebbero in grado di apprezzare i nostri sforzi di contatto. Ma ricordiamoci che i dinosauri sono stati sulla Terra almeno mille volte più a lungo di homo sapiens.

Una volta chiarite tutte queste variabili, che sono completamente al di fuori del nostro controllo, nessuno ci impedisce di sognare.Cosa vorreste dire ad ET? Qualcosa che duri nel tempo, visto che parliamo pur sempre di stelle a numerosi anni luce da noi. Il dialogo potrebbe essere frustrante, ma per iniziarlo bisogna avere un’idea.

Qualcuno ha voglia di proporre un messaggio per ET? Adesso che Twitter è sbarcato in borsa, è il momento di guardare lontano e lanciare un tweet interstellare allo hashtag #untweetperet. L’INAF raccoglie le vostre idee e, appena trovato il pianeta giusto, userà il Sardinia Radio Telescope per inviare i migliori tra i vostri testi. Non tenete il fiato per sapere come andrà a finire, le comunicazioni interstellari non sono fatte per gente frettolosa.Ci vogliono sognatori dotati di molta, molta pazienza.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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