Ecco come Google cancella dal web quello che ti fa vergognare (ma non sempre)

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Parlare di diritto all’oblio nel giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del Nuovo Regolamento Europeo Privacy che gli dedica un intero articolo, il 17, si spera, sia di buon auspicio per la sua reale comprensione.

Infatti – nonostante la sentenza del maggio 2014 della Corte di Giustizia Europea che già aveva stabilito importanti principi sulla questione – il diritto di essere dimenticati non è stato affatto metabolizzato sul web.

Diritto all’oblio: una sentenza storica

La sentenza in materia di privacy della Corte di Giustizia europea che condannò Google al rispetto del diritto alloblìo è del 13 Maggio 2014 e da allora big G non si è mai affannato per mettersi in regola. O meglio, ci prova, ma decisamente con strumenti non all’altezza.

La sentenza imponeva l’obbligo di inibire la indicizzazione nel motore di ricerca di informazioni con contenuti pregiudizievoli per l’interessato, che significa in pratica che non deve essere automatico né semplice trovare informazioni sfavorevoli alla persona, digitando semplicemente il suo nome su google (googlata).

Nel caso specifico si trattava del ricorso di un cittadino spagnolo che aveva chiesto la cancellazione di un link (cioè il collegamento che porta al contenuto integrale pubblicato sul sito originale) dal motore di ricerca. Quel link conduceva ad un sito contenente la notizia sulla sua condanna di bancarotta subita anni prima.

Google ai tempi si difese sostenendo di non essere la diretta responsabile dellutilizzo di materiale privato pubblicato da terzi.

E lo fece in considerazione del fatto che il motore di ricerca tratta le informazioni nel loro insieme senza operare una selezione tra i diversi dati personali. Inoltre, anche supponendo che tale attività debba essere qualificata come trattamento di dati il gestore di un motore di ricerca non poteva, a parere di Google, essere considerato come effettivo responsabile del trattamento, dal momento che non ha conoscenza dei dati in questione e non esercita alcun controllo su di essi.

Google non fa abbastanza per rispettare la privacy?

Nonostante la (debole) difesa di Google la Corte deliberò che anche se la società non era completamente responsabile della pubblicazione di terzi di materiale privato, identificandola solo come entità raccoglitrice di informazioni non selezionate e non analizzate, la obbligò comunque a porre rimedio e ad attuare le adeguate contro misure per far si che elementi di carattere personale venissero oscurati allinterno del proprio motore di ricerca.L’importanza del pronunciamento dei giudici europei era erga omnes: si applicava e si applica tuttora a tutti, sul territorio dell’Unione europea.

La Corte ha stabilito che se un cittadino lo chiede e ci sono gli estremi Google deve togliere dal suo motore di ricerca i contenuti.

L’esempio è quello di una notizia non più attuale, e risulta quindi lesiva della disciplina privacy oppure ha raggiunto la finalità per la quale i dati sono stati pubblicati.

In pratica la Corte considerò Google responsabile, anche se i contenuti non sono pubblicati direttamente da lei, limitandosi a fornire i link che conducono a contenuti elaborati da altri: giornali, blog, archivi giudiziari, social network, ecc.

Dal 2014 Google si trova a dover gestire e risolvere tale genere di richieste: la cancellazione di notizie obsolete o sgradite, pregiudizievoli o diffamanti sul passato degli interessati; fotografie che le ritraggono con persone alle quali non non vogliono più essere associate, o in pose indecenti, o in situazioni imbarazzanti o anche in casi di insulti sui social media, ecc.

Una recente inchiesta del New York Times ha evidenziato che quella sentenza non ha affatto ridimensionato Google.

Al contrario, ha reso il gigante delleconomia digitale ancora più potente di prima. Google secondo alcune opinioni si sarebbe trasformato in un tribunale di fatto, dovendo giudicare autonomamente le diverse richieste di cancellazione dalla Rete. (Leggi anche “Perché non possiamo affidare la giustizia agli algoritmi di Google“):L’inchiesta del New York Times rivela che in questi due anni Google ha svolto il ruolo di un vero e proprio tribunale, esaminando 418.000 richieste di oblìo e cancellazione. Al ritmo di 572 al giorno. Ed è Google ad avere deciso, come (alcuni ritengono) un giudice, quali richieste approvare. Tali richieste sono risultate meno della metà.

Chi decide cosa? I big player o i tribunali?

Su questa analogia tra Google e i Tribunali si ritiene occorra fare un ragionamento, perchè non pare che il paragone sia calzante. La Corte non ha richiesto in alcun modo a Google di svolgere il ruolo di decisore, indicandole invece di fare una prima scrematura, quando e solo se richiesto dall’interessato, tra la possibilità della cancellazione oppure no.

Google esaminata la richiesta risponde all’utente come qualsiasi Titolare nei cui confronti venga esercitato un diritto dell’interessato (la cancellazione è solo uno di quelli previsti dall’attuale art. 7 del Codice Privacy mentre sarà un diritto autonomo in base al nuovo art. 17 del nuovo Regolamento Europeo).

In pratica Google in seguito alla richiesta – ad oggi ha diverse possibilità:

1. si adopera per bloccare gli url richiesti dall’interessato (o dal suo legale) dalle versioni europee dei risultati di ricerca di Google, facendosi però prima spiegare il motivo per cui il link sarebbe eliminabile (ad esempio perchè si ritiene la notizia obsoleta, irrilevante o comunque discutibile);2. sostiene che la rimozione del contenuto dal web può essere ottenuto solo tramite un intervento dei relativi proprietari dei siti (che rendano cioè non raggiungibile la notizia da parte di Google);2) afferma che la presenza del contenuto nei risultati di ricerca sia giustificata dall’interesse pubblico ad averne accesso. (e non si capisce su quali basi)

Le predette attività non si capisce a che modo avrebbero a che fare con un esame compiuto ed approfondito che il Garante Privacy fa in seguito ad un ricorso in sede amministrativa o che un giudice ordinario compie in seguito all’esercizio dell’azione legale da parte dell’attore in sede giudiziale.

Se è pur vero che ragioni di urgenza permettono ai colossi del web di prendere delle decisioni in merito alla cancellazione di dati o di comunicazione su presunti terroristi, non si vede cosa ci sia di così sorprendente quando ad esempio in ambito bancario e finanziario già dal 1991 si pretende una collaborazione attiva da parte delle banche e degli intermediari (grazie agli istituti della segnalazione della operazione anomale o dell’istituzione dell’archivio unico informatico per la registrazione delle operazioni bancarie) per debellare il fenomeno del riciclaggio di denaro sporco, da prima solo con riferimento ai grandi reati, come associazione mafiosa o spaccio internazionale di stupefacenti, e via via verso reati meno gravi, come l’evasione fiscale con riferimento anche a cifre di ridotte dimensioni.

Davanti a nuovi fenomeni criminali è consuetudine chiedere la collaborazione ai privati.

Occorre solo comprendere quanto questa sia effettivamente efficace.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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