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Ecco come in Sicilia abbiamo capito che la felicità è meglio del PIL

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Quante lingue deve parlare l’innovazione sociale per fare in modo che in alcuni territori non risulti fuori luogo o appaia come un semplice esercizio retorico? Come raccontare l’innovazione sociale a chi vive in un contesto spesso rassegnato al vecchio e diffidente nei confronti di ciò che è nuovo?

Catania, ottobre 2013, come nella migliore tradizione degli autunni siculi praticamente è ancora estate, dei loschi individui si aggirano per la città muniti di telecamera e microfoni per fare ai passanti una domanda: “per te, cos’è la felicità?”.

La domanda genera un immediato sorriso, poi un attimo di concentrazione, poi la risposta. E si aprono mondi di ricordi, visioni e soprattutto di desideri. Le dimensioni che compongono queste felicità intercettate in strada hanno poco a che vedere con le favole, ma riguardano le relazioni, le possibilità, ciò che di materiale e immateriale si possiede: la felicità al tempo della crisi.

Mesi prima di andare in strada siamo stati noi ad interrogarci sulla felicità – Impact Hub Siracusa, Zo Centro Culture Contemporanee e Sicanex – e ci siamo resi conto che la nostra ricerca personale della felicità confluiva nel nostro quotidiano confronto, teorico e pratico, con i temi dell’impresa che crea valore sociale e culturale.

Il Festival della Felicità Interna Lorda è nato così, dal desiderio di allargare l’azione e la riflessione sul benessere e la felicità ad una città in cui molti di noi sono tornati a vivere per la voglia di farlo, con tutte le difficoltà e i periodici scoramenti del caso.

Il festival è terminato poco più di una settimana fa e non scriviamo di certo questo post per farvene un riassunto o farci i complimenti da soli, ma per condividere le riflessioni alle quali ci hanno condotto tre giorni densi, pieni di sorprese e insegnamenti come solo l’edizione 0 di un festival può essere, e condividerle soprattutto con quegli innovatori sociali che abitano e lavorano in contesti simili al nostro.

Non abbiamo numeri da snocciolare, possiamo solo dire che le sale erano piene, soprattutto la mattina grazie ad una massiccia presenza di studenti, e che abbiamo affrontato il tema della felicità trasversalmente passando per l’economia, per il sociale, per la cultura e per l’ambiente, per quanto sia spesso difficile tenere la distinzione netta.

Il fil rouge è stata l’indagine di nuove possibilità e nuove modalità di relazione in cui economia/sociale/cultura/ambiente diventano lo strumento e il linguaggio per sperimentare vie verso il benessere, andando oltre la crisi, vie dove le relazioni inedite tra persone e competenze e settori diventano anche nuove opportunità di lavoro e di innovazione.

In questo senso la quantificazione del benessere a partire dalla misurazione prettamente economica del prodotto interno lordo diventa limitante, in quanto rappresenta solo una parte della più complessa e urgente misura della felicità interna lorda.

Un salto dal PIL al FIL dunque in una terra dove non si sta molto bene e non è solo la classifica del Sole24Ore a renderlo palese e dove dunque un’operazione del genere ci ha esposti al facile rischio di essere tacciati di pazzia e di poca concretezza, insomma di essere un po’ fuori luogo. In realtà siamo andati solo fuori misura, dal PIL al FIL, e ha funzionato.

Ha funzionato parlare di felicità e non di crisi, ha funzionato parlare soprattutto di benessere e di felicità invece che di innovazione stricto sensu. Ci ha permesso diessere più inclusivi e affrontare il tema dell’ innovazione sociale e della cittadinanza attiva a partire da un desiderio che è comune ad ogni essere umano avviando così un confronto parlando una lingua universale.

Ha funzionato procedere per volti e storie, a partire dalla figura di Adriano Olivetti come riferimento di questa prima edizione, volto simbolo di un’economia che è stata strumento per il benessere, al servizio del territorio e non fine in sé nel senso esclusivo di generazione di profitto. E ha funzionato la presenza di volti e di storie vere, pochi teorici e molti soggetti energici e attivi, per scardinare le reticenze ad argomenti considerati ostici o a combinazioni ritenute impossibili.

E così è arrivato Beniamino de Liguori, nipote di Olivetti, per discutere insieme del progetto di Comunità del nonno con un occhio al passato e al futuro immaginandone una possibile trasposizione nel nostro contesto.

È arrivata Camilla Bettiga di Art for Business a raccontarci del benessere delle imprese con cui lavora la sua associazione le quali tramite processi di art based learning trovano nuovi stimoli all’innovazione e apprendono coinvolgendo creativi e dipendenti, toccando così anche il benessere inteso come la coltivazione di un’intelligenza estetica la quale permette di guardare con nuovi occhi e svela l’utilità dell’arte e della fruizione artistica nella vita quotidiana e nel lavoro di ognuno.

È arrivato Michele Trimarchi a discutere con imprenditori e operatori culturali del benessere inteso come una sorta di rapporto mutuale tra impresa e organizzazioni culturali a partire da una legislazione poco utilizzata, quella sulle erogazioni liberali, e dunque opportunamente spiegata, la quale permette di defiscalizzare quella parte del reddito che l’impresa decide di erogare a supporto del privato no profit, andando oltre i vincoli delle classiche forme di sponsorship e partnership.

È arrivato Giampietro Pizzo per parlare di microfinanza. Si sono riuniti associazioni e cittadini coinvolti in tutta la Sicilia in processi di riappropriazione e gestione partecipata di spazi verdi per mettere in rete il loro operato.

È arrivato Giorgio Simonetti con le sue good news, alcune inedite, come quella del movimento ecuadoreno che ha ottenuto l’annullamento del debito pubblico del proprio paese. Sono arrivati Lia Fassari e Carlo Borgomeo di Fondazione con il Sud a confrontarsi sui processi di sviluppo locale in Sicilia fornendo input forti sulla capacitazione e la necessità di liberare l’immaginario.

È arrivata Manuela Trovato per esporre la sua ricerca sulla responsabilità sociale di impresa nell’area del catanese commissionata dal Centro di Servizio per il Volontariato Etneo i cui risultati sono stati il punto di partenza per una riflessione collettiva che diventerà azione.

Abbiamo incastrato i tanti pezzi di un puzzle che ci restituisce l’immagine di un mondo dove ogni giorno nascono, crescono e fioriscono germogli di felicità, un mondo meno in balia dei disastri economici e politici che sembrano condannarlo, un mondo in continua rigenerazione.

Vogliamo che, in Sicilia, un evento del genere non appaia più come qualcosa di straordinario. Vogliamo che quella persona che uscendo dal festival ci ha scritto che “manco a Milano succedono cose così”, l’anno prossimo possa dire con orgoglio che “cose così possono succedere solo a Catania!”

Alessia ZabatinoImpact Hub Siracusa,Zo Centro Culture Contemporanee e Sicanex

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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