Ecco da dove possiamo ripartire per tornare ad essere gli innovatori di un tempo

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Prendo spunto dal bellissimo articolo di Stefano Trumpy su “agenda digitale.eu” dal titolo “Trenta anni di Internet in Italia: chiediamoci cosa stiamo sbagliando”, e in particolare dalla sua seguente riflessione:

“Nel 1986 fummo il quarto paese europeo a connettersi ad Internet, nell’ordine dopo Norvegia, Regno Unito e Germania, mentre, oggi, secondo le statistiche DESI (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea, siamo tra i paesi meno digitali dell’Europa”.

Da tecnologo “duro” quale amo definirmi con riferimento sia alla predilezione per l’hardware, sia ad un certo livello di personale rigidità mentale, intendo partire dall’analisi del clamoroso progresso tecnologico e dalle applicazioni più rivoluzionarie a cui abbiamo assistito negli ultimi trenta anni, per riflettere sulla domanda di Stefano Trumpy: ”Cosa stiamo sbagliando?”.

I progressi della microelettronica

Secondo la ben nota legge di Moore ogni 2 anni la dimensione fisica del transistore si dimezza, e di conseguenza, poiché il transistore diventa contemporaneamente più stretto e più basso, il numero dei transistori incisi su un chip di date dimensioni si moltiplica per un fattore 4.

Nel 1986 la dimensione del transistore era pari a circa 60 millesimi di millimetro; oggi è pari a circa 10 nano metri, ossia 10 milionesimi di millimetro.

Si tenga presente che un globulo rosso ha una larghezza pari a 7.000 nanometri e un’altezza pari a 2.000 nanometri, mentre un capello ha uno spessore uguale a 100.000 nanometri; quindi lo spessore di un capello è 10.000 volte più grande della dimensione di un transistore.

Un microcircuito del 1986 conteneva tipicamente 250.000 transistori; un microcircuito di oggi può contenere centinaia di miliardi di transistori. Una “chiavetta” o “pendrive”, disponibile sul mercato di oggi al costo di poche decine di euro, ne contiene di più.

Oggi una piccola memoria portatile può contenere 256 miliardi di caratteri, ossia l’equivalente di una biblioteca di 100.000 volumi.

Quando la dimensione dei transistori si dimezza, la velocità del microcircuito che ospita quei transistori può crescere di un fattore 2, perché si riduce di un fattore 2 la dimensione dei percorsi che i portatori di carica devono descrivere. Così, in teoria, il progresso della microelettronica potrebbe essere misurato dal prodotto dell’incremento del numero dei transistori nell’arco di trenta anni, dell’ordine di 215, per l’incremento della velocità, dell’ordine di 27,5.

Questo calcolo è lievemente truffaldino perché non è sempre facile trasformare i volumi in velocità, ossia utilizzare contemporaneamente tutti i transistori di un microcircuito (problema del parallelismo).

Tuttavia ritengo si possa affermare che il progresso della microelettronica nell’arco degli ultimi trenta anni sia stato dell’ordine di un fattore pari a un milione, a costi molto lievemente crescenti.

Qualche studioso ha notato l’inizio di una flessione della curva di Moore. Ma altre tecnologie sono alle porte. Ad esempio, i transistori del futuro saranno a base di grafene e non più di silicio e diventeranno almeno 4 volte più piccoli dei transistori di oggi. Inoltre i transistori di domani potranno essere collocati su piani diversi, collegati fra loro da “nanoascensori” come avviene nei grattaceli degli uomini.

La trasmissione dei dati

Trenta anni fa i dati venivano trasmessi su doppini telefonici o su cavi coassiali. Oggi grossi volumi di dati -probabilmente la maggioranza – sono trasmessi via etere o fibra ottica.

Rapidamente si sono succedute quattro generazioni di canali trasmissivi via etere (1G, 2G,3G,4G) e sta iniziando la propria vita la generazione 5G, che è caratterizzata da velocità trasmissive dell’ordine di 300 milioni di bit al secondo. Ma si parla già di 6G, come dimostrato dal fatto che la diciassettesima voce più richiesta ai motori di ricerca è proprio la parola 6G.

Comunque, la regina della trasmissione dei dati rimane la fibra ottica, insostituibile nelle grandi dorsali di Internet.

Un sottilissimo filo di vetro, dello spessore di 10 millesimi di millimetro, del costo di 5 centesimi di dollaro al metro, con rapidissimi impulsi di luce può trasmettere a mille chilometri di distanza, senza ritrasmissioni intermedie, 10.000 miliardi di bit al secondo, una cifra che è dell’ordine di grandezza del volume dell’intero traffico telefonico mondiale.

Le nuove applicazioni

Le applicazioni nate negli ultimi anni erano assolutamente impensabili trenta anni fa. Esse sono così numerose ed importanti da rendere impossibile proporne anche solo un elenco. Pertanto, per brevità, mi limito qui a tre applicazioni emblematiche: la stampa tridimensionale, l’Internet delle cose, e i cosiddetti “big data”.

Quando ero bambino ero affascinato da una striscia del Corriere dei Piccoli che aveva come protagonista il professor Lambicchi e la sua fantastica invenzione chiamata “arcivernice”. L’arcivernice, spalmata sulle fotografie o le immagini di un oggetto, aveva la capacità di produrre l’immediata materializzazione di quella immagine.

Le stampanti tridimensionali di oggi realizzano proprio l’idea del professor Lambicchi.

Due miei allievi, dovendo risolvere il problema delle comunicazioni dei sordocechi, hanno realizzato il braccio robotico di cui avevano bisogno, del valore di mercato pari a 350 euro, producendo i pezzi su una stampante 3D.

In un futuro molto vicino ciascuno degli oggetti che ci circondano – dal frigorifero al forno, dallo scaldabagno alla sveglia – avrà il proprio indirizzo Internet e la propria unità di elaborazione per operare correttamente e trasmettere o ricevere messaggi. Così, ad esempio, lo scaldabagno sarà acceso 30 minuti prima della sveglia e il tostapane 40 minuti dopo lo scaldabagno. E’ la meravigliosa “Internet delle cose”.

In una sola giornata sono prodotti oggi più dati di quanti sono stati stampati in molti secoli di storia. Si pone così il problema della gestione di questi “big data” che hanno oggi la dimensione di 50.000 miliardi di caratteri.

Per attuare l’Internet delle cose e la gestione dei “big data”, occorre realizzare oltre 25 milioni di programmi applicativi che saranno residenti su oltre 25 miliardi di sottosistemi, per un business complessivo di oltre 4.000 miliardi di dollari.

Cosa stiamo sbagliando?

Il nostro è un paese meraviglioso, che ha una storia fantastica. Siamo stati tra i principali protagonisti a livello mondiale della storia del pensiero e del diritto, e possediamo un patrimonio culturale e artistico come nessun altro paese del mondo.

Paghiamo questi privilegi con una limitata vocazione per la cultura scientifica che riguarda soprattutto gli uomini della classe dirigente. Ad aggravare il quadro si è aggiunta la cultura economica dominante, che avrebbe dovuto essere scientifica, ma che, per comodità e asservimento agli interessi di pochi, è stata ridotta al noto catechismo:

  1. non avrai altro Dio al di fuori del mercato;
  2. privato è bello;
  3. libero è bello;

ecc. ecc…….

A testimonianza di questa affermazione cito, senza far nomi, le opinioni di alcune stelle di primissima grandezza nel firmamento della cultura e del potere del nostro paese.

  • Guru 1 (a proposito della chiusura della produzione di personal computer): “…occorreva abbandonare la cenerentola del settore”.
  • Guru 2 (a proposito della privatizzazione della Telecom) :”….nobile iniziativa…”
  • Guru 3: “non serve insegnare e imparare a programmare, perché i calcolatori nascono già programmati”.
  • Guru 4, dieci anni dopo l’avventura che oggi celebriamo: ”non c’è futuro per Internet”.

Penso che la più scellerata delle scelte del trentennio di cui parliamo (1986-2016) sia stata la privatizzazione della Telecom, su cui erano tutti d’accordo.

Quando si cominciò a parlare di privatizzazione io scrissi un articolo per il quotidiano che amo in cui prevedevo che saremmo diventati terra di conquista. Il direttore rifiutò il mio articolo. Facendo il furbo, proposi allora un articolo squisitamente scientifico sulle economie di scala, ma il direttore comprese dove andavo a parare e rifiutò anche quello.

Complessivamente ero stato ottimista. Non avevo infatti previsto che non avremmo più avuto un’azienda italiana operante nel settore delle telecomunicazioni. La cosa più triste di questa vicenda , a mio giudizio, è che la vendita della Telecom non abbia fatto praticamente notizia.

Un errore incombente ovvero la larga banda

La Strategia Europa 2020 e l’Agenda Digitale Europea prevedono gli obiettivi che gli Stati membri devono realizzare entro il 2020:

  • copertura banda larga a 2 Mbps (milioni di bit al secondo) per tutti i cittadini europei entro il 2013 (1° obiettivo);
  • copertura banda larga veloce, maggiore di 30 Mbps per tutti i cittadini europei entro il 2020 (2° obiettivo);
  • copertura banda larga ultraveloce, maggiore di 100 Mbps, per il 50% dei cittadini europei entro il 2020 (3° obiettivo).

La raccomandazione del governo comunitario contiene un grave errore dal punto di vista scientifico. Per comprendere il senso della mia affermazione, supponiamo che alla mia abitazione arrivi una connessione a 100 megabit al secondo. A questo punto mia moglie ed io rappresentiamo 2 unità nel novero dei cittadini che godono di una connessione a banda ultraveloce.

Supponiamo ora che io mi converta all’Islam e porti a casa tre mogli nuove e quattro concubine. Mia moglie non sarebbe contenta, ma il ministro competente sarebbe felice di annoverare 7 nuovi cittadini che godono di connessione a banda larga ultraveloce.

Al limite, se tutti i comuni italiani decidessero di aprire qualche locale dotato di personal computer e connessione a banda ultraveloce e a quei locali potessero accedere tutti i cittadini interessati, il dettato comunitario potrebbe essere onorato nell’arco di pochi mesi.

Il mio timore a questo punto è che si lasci fare al mercato, con la generazione di clamorose diseconomie di scala e l’amplificazione delle diseguaglianze. A casa mia arriverà la fibra di Telecom, a casa del mio vicino quella dell’ENEL e pertanto scaveranno due volte nella mia strada. A casa del cittadino ricco arriverà la fibra da 100 megabit al secondo e vedo per lui un’unica utilità: la visione interattiva contemporanea di trenta film pornografici. Alla maggioranza degli ospedali e delle scuole continuerà a non arrivare una banda adeguata alle esigenze.

Conclusioni sacrileghe

Avendo ampiamente superato il limite dei caratteri che mi sono stati suggeriti, sono costretto a una conclusione schematica delle mie proposte. Sfortunatamente, la schematizzazione renderà ancora più evidente la gravità del sacrilegio.

1. Il governo operi per rinazionalizzare la Telecom o, quanto meno, la struttura di gestione delle dorsali della Rete.

2. Nella gestione della banda si dia priorità assoluta, nell’ordine, agli ospedali, alle scuole, alle pubbliche amministrazioni e alle imprese.

3. Nessun incentivo per portare la fibra a casa del privato cittadino.

4. Il governo operi per ricostruire un’industria nazionale nel settore dell’elaborazione e della trasmissione dei dati, anche a costo di violare i principi comunitari. Senza un’adeguata industria nazionale in quel settore, il Paese è destinato al sottosviluppo.

5. Il successo di Internet ha dimostrato la validità di un modello dello sviluppo basato sulla collaborazione e non sulla competizione. È probabile che il futuro vada in quella direzione. Nella predisposizione dei programmi per lo sviluppo economico si prediligano le iniziative basate sulla collaborazione come i progetti di software e hardware liberi.

6. Il governo incrementi gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo.

7. Si avviino programmi di alfabetizzazione informatica per uomini importanti (ma questa è una battuta cattiva).

ANGELO RAFFAELE MEO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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