Ecco la generazione low cost che cancellerà per sempre confini e paure

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Mi sono sempre ritenuta una privilegiata, le origini africane e il lavoro dei miei genitori mi hanno permesso di viaggiare fin da piccola in numerosi paesi che la maggior parte dei miei coetanei conoscevano solo attraverso i documentari o i libri di geografia.

Negli anni ’80, prendere un aereo e girare il mondo non era così diffuso. Ryanair, Easyjet e in generale i voli lowcost non avevano ancora rivoluzionato il nostro modo di viaggiare e di esplorare il globo. Le gite scolastiche si affrontavano con interminabili, anche se memorabili, ore di pullman o di treno e raggiungere anche solo Parigi diventava un’impresa, senza contare i “pit stop” alle dogane.

Non è passato molto tempo da quel periodo, in fondo non sono così anziana, ma se oggi dovessi raccontare queste esperienze ad un teenager sono sicura che considererebbe tutto ciò molto lontano dalla sua realtà.

C’è una nuova generazione di adolescenti ormai abituati ad un diverso concetto di mobilità internazionale, molto più accessibile e fluido. Un’apertura che per loro inizia in una quotidianità in cui le occasioni di confronto con culture diverse dalla propria si sono moltiplicate, in particolare a partire dall’ambito scolastico.

E mentre il dibattito pubblico si concentra sull’opportunità di far parte dell’Europa, sulla convenienza di condividere una moneta unica, o sull’eventuale pericolosità dell’aprirsi a nuovi cittadini italiani, i nostri giovani vanno per la loro strada, ci sorpassano e in molti casi ci doppiano sul terreno dell’internazionalità e dell’interculturalità. E’ quello che emerge da una ricerca effettuata dall’Università Cattolica di Milano e dalla Fondazione Intercultura Onlus.

La prof.ssa Anna Granata che ha condotto il progetto, ha intervistato un campione di diciottenni lombardi, andando a pescare da tre categorie specifiche:

  1. ragazzi che hanno vissuto un anno all’estero con Intercultura ( Tailandia, Cina, Germania, Stati Uniti, Russia, Nuova Zelanda, ecc.),
  2. ragazzi di origine straniera che crescono all’interno di famiglie immigrate
  3. ragazzi che crescono entro famiglie italiane, in un contesto di pluralismo quotidiano.

A loro sono state poste una serie di domande come ad esempio “In quali paesi sei stato?”, “ Quante lingue parli?”, “ Dove immagini il tuo futuro?”, “Ti sei mai sentito straniero”, “Chi è per te lo straniero?”.

Dalle risposte si evince che la maggior parte di loro parla più lingue, ha viaggiato all’estero e in alcuni casi ha fatto un’esperienza di un anno in paesi lontani. Le relazioni con il mondo internazionale sono vissute come opportunità e non come minaccia, la diversità culturale è vista come un fattore di competitività. Per loro, il concetto stesso di straniero nulla ha a che vedere con il colore della pelle, la religione o le diverse tradizioni. E’ straniero solo chi non parla italiano. La lingua diventa quindi il più efficace veicolo di integrazione perché fondamentalmente permette un’interazione tra le persone.

Questi ragazzi, nati nel 1995, si muovono all’interno di una rete di amicizia plurale che fino ad una ventina di anni fa in Italia sarebbe stata impossibile. Per questo, il nuovo melting pot italiano che spaventa molti cittadini e che alcuni politici descrivono come il male assoluto, per loro rappresenta invece un elemento con cui vivere serenamente e in cui ritrovare le fondamenta per costruire il proprio futuro.

Un approccio naturalmente aperto all’altro e all’altrove,al punto da spingere la ricercatrice a coniare una nuova definizione per i nostri giovani: nativi interculturali.

Ricordate la famosa espressione di nativi digitali inventata da Mark Prensky nel 2001? Ecco, i nostri diciottenni non solo crescono a pane e tecnologia, ma fin da piccoli sono immersi in contesti di multiculturalismo quotidiano. Per loro gli occhi a mandorla del compagno di classe o il velo indossato dalla vicina di banco sono dettagli che passano in secondo luogo rispetto alla relazione che instaurano tra di loro.

Competenze digitali e interculturali tipiche di questa generazione a cui le istituzioni e la politica non hanno in questi anni prestato particolare supporto e che anzi in alcuni casi hanno osteggiato e sminuito. Un bagaglio di know-how che invece andrebbe sostenuto con più forza proprio da parte degli enti che ci governano ed amministrano.

Sarebbe bello mappare anche i diciottenni delle altre regioni italiane. Sono sicura che da Nord a Sud troveremmo una nuova generazione di giovani italiani aperti al mondo e che con le loro capacità il mondo se lo andranno sicuramente a prendere.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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